Senza strategia
definita e leadership chiara. È in questa condizione
che il Partito socialista affronta l’ultima battaglia
di questa stagione elettorale. A sole tre settimane
dalle legislative ormai nessuno al Ps si fa illusioni
sull’esito delle urne, al massimo si cerca di
contenere i danni di un’ennesima ed eclatante
sconfitta.
I primi sondaggi usciti in questi giorni, del resto,
parlano di numeri impietosi: con il 40 per cento dei
consensi all’Ump andrebbero tra i 365 e i 415
seggi dell’Assemblea nazionale contro i 137/153
del Ps. Certo qualche accordo qui e là coi candidati
centristi del ribelle Movimento Democratico di François
Bayrou potrebbe portare qualche seggio aggiuntivo, ma
niente che possa cambiare l’aria di rassegnazione
che domina in casa socialista.
Di fronte ad un Ump che sullo slancio dell’elezione
di Nicolas Sarkozy e dell’ouverture del suo governo
pluriel procede unito come un rullo compressore, i socialisti
stanno infatti pagando lo scotto psicologico del sei
maggio e soprattutto le divisioni interne che sono riemerse
la sera stessa della sconfitta di Ségolène
Royal.
Solo la speranza di pervenire ad una disfatta almeno
onorevole riesce a conservare quel barlume d’unità
che ha spinto le varie correnti a sotterrare per ora
i regolamenti di conti.
Tutto è rimandato al poi, quando si comincerà
a fare il bilancio della sconfitta e del fallimento
di un ciclo e si inizierà quell’opera di
rinnovamento a cui tutti si richiamano, dai gauchisti
di Laurent Fabius ai socialdemocratici di Dominique
Strauss Kahn ai riformatori segolenisti.
In quel momento le correnti disporranno le rispettive
truppe e si contenderanno la leadership di un partito
che ora naviga a vista. La più chiara in proposito
è stata l’ex candidata, che dopo aver raccolto
17milioni di voti e riportato i socialisti al ballottaggio,
ad essere scalzata proprio non ci sta. All’ultimo
consiglio nazionale Ségo ha chiesto che subito
dopo le elezioni sia designato il candidato per le presidenziali
del 2012 in modo che quest’ultimo abbia tutto
il tempo che lei non ha avuto per costruire la propria
leadership nel partito e nel paese guidando l’opposizione
a Sarkozy. Anche Strauss Kahn vuole che il candidato
leader venga designato con un certo anticipo, ma non
prima del 2010, in modo da procedere preventivamente
all’aggiornamento ideologico e strategico.
Entrambi, ovviamente, puntano alla candidatura ed entrambi
vogliono ottenerla prendendo il partito disarcionando
François Hollande. Il segretario, infatti, è
considerato più o meno da tutti il responsabile
principale del fallimento del sei maggio. Dagli strausskahniani
e dai fabiusiani per aver costretto il Ps all’immobilismo
costruendo negli ultimi congressi maggioranze composite
e litigiose nella speranza di poter essere lui stesso,
al momento venuto, l’unico candidato unitario
possibile. Dai segolenisti, invece, perché la
sua gestione immobilista ha impedito il rinnovamento
che Ségolène ha dovuto portare sola e
contro tutti per sei mesi.
In uno scenario d’attesa come questo e senza
le truppe alle spalle, l’ultima linea che Hollande
è riuscito a mettere insieme per le legislative
è una strategia difensiva. Non potendo mobilitare
positivamente l’elettorato dietro un progetto
chiaro o una leadership definita, il segretario, infatti,
ha chiamato gli elettori a votare socialista per impedire
che Sarkozy si impossessi anche dell’Assemblea
completando così il puzzle del potere.
Tra l’assenza dei vari capicorrente dalla campagna
e il si salvi chi può degli oltre cinquecento
candidati del Ps, per ora la battaglia di Hollande assomiglia
più all’ultimo tentativo di un generale
fantasma.
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