322 - 07.06.07


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Sarko cala l’asso
della petite coalition

Luca Sebastiani


Una petite coalition, un governo composto di ministri di destra, di centro e di sinistra. Il nuovo presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, sta inscrivendo queste sue prime settimane in carica sotto il segno “dell’apertura” sia per incarnare quella funzione che il Generale De Gaulle ha voluto al di sopra delle divisioni partigiane, sia, e soprattutto, per completare la sua strategia politica.

Dopo aver vinto le elezioni presidenziali, è infatti a quelle legislative di giugno che il neo inquilino dell’Eliseo sta guardando per conquistare, con una solida maggioranza all’Assemblea nazionale, i mezzi politici che gli permettano di mettere in opera la sua rupture.

Per raggiungere il suo obiettivo Sarkozy non ha esitato ad allargare l’apertura ben al di là dei confini della destra, suscitando anche qualche malumore all’interno del suo partito. Non tutti nell’Ump vedono di buon occhio la nomina di un ministro socialista, Bernard Kouchner – oltre a quella di altri ex socialisti in posti minori - nel governo guidato da François Fillon, soprattutto quelli che si vedevano già di diritto nell’esecutivo sarkozysta.

Anche se in realtà l’ouverture Sarko non ha nessuna sostanza politica, è l’immagine che conta e il risultato che verrà capitalizzato in termini di consenso. Kouchner gode in Francia di una popolarità che solo l’anno scorso i sondaggi misuravano intorno a quella di Ségolène Royal. Come l’ex candidata socialista anche il fondatore di Medici senza frontiere e Medici del mondo è sempre stato allergico alle gerarchie dell’organizzazione e alle correnti. La sua è stata una posizione appartata e il suo percorso solitario. In quarant’anni di carriera si è recato in tutti i luoghi del mondo in cui lo spingeva la sua spinta morale: in Biafra, con i Boat people vietnamiti, nella Serajevo assediata in compagnia di François Mitterrand e più tardi alla guida della missione Onu in Kosovo. Puro prodotto di quel Sessantotto contro cui Sarkozy ha costruito la propria egemonia culturale, sarà interessante stare a vedere come riuscirà a comporre il “diritto d’ingerenza umanitaria” da lui stesso teorizzato, con la ragion di Stato di cui il ministero degli Affari esteri è il santuario.

Ma a sessantasette anni, e vista la situazione nel Partito socialista, quella offertagli da Sarkozy era la sua ultima opportunità di ricoprire un ruolo importante in patria. All’Eliseo lo sapevano perfettamente, hanno agito con le lusinghe e portato a casa il risultato. Quello che interessava era approfittare della debolezza dei socialisti per dare sfoggio di forza, mettere uno di fronte all’altro il campo terremotato della sconfitta e quello vigoroso della vittoria.

Vittoria principalmente del presidente della Repubblica, che è così che Sarkozy l’ha concepita. Completata la settimana scorsa la trasmissione delle cariche è infatti il nuovo profilo sarkozista del potere e delle istituzioni della Quinta Repubblica che comincia a stagliarsi con nettezza. Contrariamente a quanto avveniva spesso in passato, con un Eliseo più discreto che almeno apparentemente incarnava l’unità della Francia e lasciava al Primo ministro e al governo il proscenio, con la nuova coppia “esecutiva” Sarkozy-Fillon è un’altra concezione della funzione presidenziale che si fa avanti: Sarko sarà un presidente che governa e userà il Primo ministro come secondo, come una specie di supersegretario che gestisca i ministri ombra.

Del resto i due costituiscono un paio inseparabile da almeno due anni e col tempo sono diventati uno il complemento dell’altro: tanto è impulsivo Sarko quanto è calmo Fillon, tanto è frenetico l’uno quanto discreto e misurato il secondo. Se l’ex ministro dell’Interno è spesso stato accusato di brutalità, il neo capo dell’esecutivo, invece, è stato motteggiato più volte per l’eccessiva prudenza, tanto che ancora oggi nel suo partito usano chiamarlo “coraggio Fillon!”. Insomma, l’ideale per un presidente che non vuole lasciare spazio di manovra a chi potrebbe fargli ombra.

Anche nel partito Sarkozy ha agito allo stesso modo e ha immediatamente neutralizzato la possibilità che dalla sua famiglia emerga qualche nuova personalità in grado di rosicchiare un po’ del suo spazio che si vuole totalizzante. Nel lasciare la carica di presidente dell’Ump, Sarkozy ha infatti abolito l’elezione diretta del presidente attraverso il voto dei tesserati – che lui stesso aveva voluto per legittimarsi contro gli chiracchiani – e ha istituito una direzione collegiale coordinata da un segretario che sarà, manco a dirlo, un suo fedele, magari discreto e dissimulato come il primo ministro.

Il controllo dell’Ump gli è necessario oltre che per vegliare sul gruppo parlamentare che dovrà lavorare alla rupture di concerto col governo, anche per preparare l’elezione al suo secondo mandato, quello del 2012. Come l’uscente Tony Blair in Gran Bretagna (che a Parigi ha già fatto una capatina) ha impiegato dieci anni per installare in maniera duratura l’egemonia del blairismo, così Sarkozy è convinto che anche per il sarkozismo siano indispensabili un paio di mandati all’Eliseo. Un’eventualità che, data l’illusione centrista di François Bayrou e le divisioni che esploderanno eclatanti nel Partito socialista dopo le legislative di giugno, sembra tutt’altro che improbabile a quest’altezza.



 

 

 

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