Si era visto
durante la campagna elettorale, e il giorno della sconfitta
le contraddizioni sono esplose. La candidata, Ségolène
Royal, da una parte e il partito, il Ps, o almeno una
sua parte, dall’altra. Una divisione che è
costata la vittoria alla candidata socialista che si
trovava ad affrontare una macchina da guerra compatta
ed efficace come quella della destra di Nicolas Sarkozy.
Una divisione che è il prodotto di una leadership
mai accettata, di una strategia mai rinnovata, di un’ideologia
mai aggiornata.
Anche se Ségolène presentandosi cinque
minuti dopo l’annuncio della sconfitta per dichiarare
che non deporrà le armi ha riaffermato la sua
intenzione d’imporsi come leader naturale dei
socialisti, anche se il segretario François Hollande
ha sotterrato i regolamenti di conti per non peggiorare
le cose prima delle legislative di giugno, la crisi
del Ps scoppierà appena dopo il prossimo appuntamento
elettorale.
Una crisi che viene da lontano, dalla perenne guerra
delle correnti, dei clan che tra parole pragmatiche
e retorica anticapitalista non ha mai intrapreso un
serio processo di revisione e hanno ridotto la politica
a gestione del governo e lotta tribale per la leadership
all’opposizione.
Basta guardare a quello che è successo negli
ultimi anni, quelli che hanno seguito l’epoca
della gauche pluriel e la sconfitta al primo
turno delle elezioni del 2002 del suo leader Lionel
Jospin.
Subito dopo la batosta inflitta dalle urne ai socialisti,
la crisi scoppia eclatante, ma per salvare il salvabile
il segretario Hollande riesce a tenere insieme i pezzi
rimandando il rinnovamento al futuro e mettendo insieme,
al congresso di Digione del 2003, una maggioranza precaria
con i jospiniani orfani del loro capo, gli uomini di
Laurent Fabius e quelli di Dominique Strauss Kahn. Solo
due correnti minoritarie, Nuovo partito socialista dei
giovani rinnovatori Arnaud Montebourg e Vincent Peillon
e Nuovo mondo dei gauchisti Henri Emmanuelli e Jean
Luc Mélenchon, rimangono fuori.
La tregua tiene, ma resta armata e dell’aggiornamento
nessun segno. I socialisti, grazie al rifiuto popolare
delle politiche dei governi di Jacques Chirac, riescono
addirittura a vincere le regionali e le europee del
2004 e, convinti di essere dalla parte giusta, restano
immobili ognuno preparando la sua strategia per la conquista
della candidatura per le presidenziali del 2007.
Le contraddizioni scoppiano però prima del previsto
con il referendum sul Trattato costituzionale europeo
del 2005, quando il partito si divide tra il sì
e il no dando luogo ad un’incredibile battaglia
fratricida. In realtà l’obiettivo sono
le presidenziali e Laurent Fabius, fino ad allora considerato
troppo a destra nel partito, si reinventa una verginità
radicale guidando il no alla vittoria. La strategia
dell’ex “primo ministro più giovane
di Francia” - quello che negli anni Ottanta spingeva
per la rifondazione e all’inizio del nuovo millennio
abbassava le tasse e criticava lo statalismo - era una
delle più classiche manovre, concepita per vincere
la candidatura presidenziale presentandosi come l’unico
in grado di proiettare al di là dei suoi confini
di sinistra l’egemonia del Ps; l’unico in
grado, cioè, di mettere in atto la strategia
dell’Unione delle sinistre disegnata da François
Mitterrand al congresso d’Epinay del 1971 e da
allora sempre applicata dai socialisti.
Tempi magri per la tanto invocata Bad Godesberg francese,
tanto che interpretato il no alla Costituzione come
una conferma della svolta a sinistra, anche il socialdemocratico
Strauss Kahn assume nel suo discorso una buona dose
di retorica gauchista. Al congresso che segue il referendum,
quello di Le Mans del 2005, sarà ancora Hollande
a riuscire a tenere insieme i pezzi di un partito centrifugo
disegnando i confini di una maggioranza eclettica in
cui vengono messi insieme fabiusiani, strausskahniani
e pezzi delle correnti minoritarie. Il risultato di
questa sintesi sarà la redazione di un programma
per le elezioni del 2007 piuttosto contraddittorio e
poco coerente.
Ma mentre a Le Mans gli elefanti preparavano un’altra
tregua armata su posizioni di retroguardia rispetto
alle domande della società e rimandavano la battaglia
alle primarie interne dell’autunno 2006, è
un altro il fatto rilevante: Ségolène
Royal, da sempre estranea alle faide e ai giochi d’apparato,
comincia a crescere nel gradimento popolare. È
lei a sinistra ad intendere le richieste che vengono
dalla Francia e piano piano comincia a dare delle risposte.
Una leadership del rinnovamento sta nascendo e per incoraggiarne
l’ascesa al Ps, Hollande, pensa bene di aprire
il partito e propone un tesseramento su internet a soli
20 euro. Entrano nell’organizzazione con diritto
di voto alle primarie quasi centomila nuovi aderenti
che cambiano la geografia e la fisionomia del partito.
Il nuovo militante è più giovane, più
diplomato e spesso donna: l’elettore perfetto
per Ségolène Royal.
Appoggiandosi su una buona parte dell’apparato,
che la sostiene in virtù dei sondaggi che la
danno avanti al rivale di destra Nicolas Sarkozy, e
sui nuovi tesserati, la madonna socialista vince le
primarie contro Fabius e Strauss Kahn con il 60 per
cento dei voti.
È lei la candidata alle presidenziali, ma le
cicatrici che hanno lasciato gli scontri delle primarie
non si rimargineranno mai. Ségolène non
associa le correnti del partito alla campagna e queste
l’aspettano al varco. Lo si è visto la
sera della sconfitta del 6 maggio, quando dagli schermi
televisivi sia Fabius che Strauss Kahn commentavano
la cocente sconfitta mettendosi a disposizione per guidare
la campagna successiva.
Per ora le divisioni sono rimandate al dopo legislative,
ma questa volta oltre che su buona parte delle strutture
territoriali del partito e i nuovi aderenti, Ségolène
può contare su un capitale di diciassette milioni
di francesi che l’hanno votata al ballottaggio.
Disarcionarla sarà difficile, ma la sua leadership
è intimamente legata alla doppia scommessa di
aggiornare in senso socialdemocratico il Ps e rinnovarne
la strategia delle alleanze. Con la quasi scomparsa
della gauche della gauche si chiude infatti il ciclo
storico d’Epinay e si apre l’esigenza di
aprirsi verso il centro. Se riuscirà a portare
a termine questo processo, Ségolène ha
buone possibilità di restare alla guida del Ps
fino alle elezioni presidenziali del 2012.
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