321 - 17.05.07


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Decisamente a destra, verso
una République inedita

Luca Sebastiani


La Francia ha un nuovo presidente della Repubblica. Nicolas Sarkozy, come avevano previsto duecento sondaggi consecutivi, ce l’ha fatta e nei prossimi cinque anni sarà il pivot della politica francese. A meno di inopinati colpi di scena nominerà tra qualche giorno un governo guidato dal suo consigliere politico, François Fillon – uomo riservato che applicherà la “rottura” senza mettere in ombra la centralità dell’Eliseo – e, ci si può scommettere, dopo le legislative di giugno avrà a disposizione anche una larga maggioranza parlamentare. Colpo perfetto. La République si appresta a sarkozyzzarsi.

Ma come è riuscito a farsi eleggere l’uomo della maggioranza uscente, il numero due dei governi degli ultimi cinque anni, gli esecutivi il cui bilancio i francesi non si sono stancati di denunciare? Come è riuscito Sarkozy a bloccare quel fenomeno tanto caratteristico della democrazia francese, l’alternanza?

Forse le analisi più lucide in queste casi si ritrovano nelle parole dei perdenti, in questo caso in quelle dei socialisti. Non in quelle di Ségolène Royal però, che cinque minuti dopo la sconfitta di domenica aveva già lanciato la battaglia per conservare una leadership che in queste ore gli viene contestata da più parti, ma in quelle del segretario del Ps, di François Hollande. Poco dopo i risultati il compagno dell’ex candidata commentando la sconfitta della sua parte politica ha detto che Sarkozy ha vinto “perché è riuscito ad unire tutte le destre”, dall’estrema fino al centro destra. Corollario: noi, invece, abbiamo perso perché siamo rimasti divisi e non abbiamo saputo unire le sinistre, dall’estrema al centrosinistra.

Non si poteva dirlo con maggiore chiarezza. Del resto il trionfo di Sarkozy viene da lontano, così come da lontano viene la sconfitta di Ségolène, effetto rispettivamente di un rinnovamento riuscito e di un aggiornamento mancato.

Il nuovo inquilino dell’Eliseo conduce la lotta per il mutamento della destra gollista da più di dieci anni, anni caratterizzati da innumerevoli battaglie contro l’ultimo erede del Generale de Gaulle, Jacques Chirac. Se si vuole segnare una data d’inizio di questo processo bisogna risalire almeno al 1995, l’anno in cui Sarkozy, allora ministro del Bilancio del governo di Edouard Balladur, decide di lasciare Chirac e di fare campagna per il suo Primo ministro. Già allora è un’opzione diversa che Sarko sceglie, un’opzione più liberale, più di destra rispetto al gollismo sociale riaffermato da Chirac nella campagna che gli permetterà di succedere a François Mitterrand. Negli anni seguenti “il traditore” verrà tenuto ai margine da colui che con la vittoria dell’Eliseo aveva assicurato l’egemonia dei gollisti sulle destre francesi. Solo dopo una lunga traversata del deserto e un certosino lavoro sul terreno Sarkozy è riuscito a tornare sul proscenio imponendosi come l’uomo “indispensabile” prima all’Rpr e poi all’Ump, il nuovo partito fondato da Chirac dopo la rielezione del 2002 per raggruppare tutte le destre.

Conquistatosi sul campo un posto di rilievo nel governo di Jean Pierre Raffarin, Sarkozy comincia a costruire la sua ascesa. Da ministro dell’Interno fa sfoggio di un grande attivismo e interviene su tutti i dossier, anche quelli che non concernono strettamente le sue competenze ministeriali. La strategia forse è chiara solo ora: vincere nel paese prima che nelle urne, conquistare l’egemonia nella testa dei cittadini prima che questa si traduca in consenso elettorale.

Sarkozy impone i temi al dibattito, provoca e stupisce attraverso una “triangolazione” audace che lo spinge a incursioni nei domini riservati della sinistra (chiude ad esempio il Cpt di Sangatte o propone il voto agli immigrati) o all’estrema destra del Fronte nazionale (sicurezza, ordine, autorità, immigrazione). In pochi anni diviene l’immagine stessa di una politica nuova, moderna, attenta ai risultati più che all’ideologia, pragmatica ed efficace così come quella di Chirac era retorica e immobile.

Il tema della “rottura” s’impone e dietro al leader del rinnovamento si schierano tutte le anime della destra francese, tutte quelle correnti nate dai conflitti del XIX secolo: la destra “orleanista” o liberale, quella “bonapartista” o autoritaria e quella “legittimista” o reazionaria. Con un programma coerente e una squadra compatta, il candidato Sarkozy è potuto andare alla campagna elettorale del 2007 con un’incredibile macchina da guerra che gli ha permesso di allargare ancora di più i margini della sua maggioranza includendovi anche i centristi.

Il nuovo corso aperto da Sarkozy rende la destra francese a se stessa, introducendola nell’era post gollista. Nella concezione del Generale la Francia era una e indivisibile, al di sopra delle divisioni partigiane e per anni, mentre a sinistra ci si chiamava apertamente col proprio nome, a destra ci si girava attorno. La nuova destra di Sarkozy invece non ha più complessi a può assumersi completamente, anche nei suoi aspetti più liberali. Rispetto a Chirac, soprattutto in questo ambito, il nuovo inquilino dell’Eliseo è veramente altra cosa. Garante dell’égalitè dei cittadini, l’ex presidente non aveva saputo riformare il paese per farlo entrare nella mondializzazione economica e aveva preferito tenerlo al riparo del mondo, ripiegato su se stesso mentre l’ineguaglianza aumentava. Il suo successore, invece, ha fatto un passo in là e ha assunto l’individualismo e l’ineguaglianza come motore economico e regolatore sociale.
Quella sakozysta sarà davvero una République inedita.


 

 

 

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