La Francia
ha un nuovo presidente della Repubblica. Nicolas Sarkozy,
come avevano previsto duecento sondaggi consecutivi,
ce l’ha fatta e nei prossimi cinque anni sarà
il pivot della politica francese. A meno di inopinati
colpi di scena nominerà tra qualche giorno un
governo guidato dal suo consigliere politico, François
Fillon – uomo riservato che applicherà
la “rottura” senza mettere in ombra la centralità
dell’Eliseo – e, ci si può scommettere,
dopo le legislative di giugno avrà a disposizione
anche una larga maggioranza parlamentare. Colpo perfetto.
La République si appresta a sarkozyzzarsi.
Ma come è riuscito a farsi eleggere l’uomo
della maggioranza uscente, il numero due dei governi
degli ultimi cinque anni, gli esecutivi il cui bilancio
i francesi non si sono stancati di denunciare? Come
è riuscito Sarkozy a bloccare quel fenomeno tanto
caratteristico della democrazia francese, l’alternanza?
Forse le analisi più lucide in queste casi si
ritrovano nelle parole dei perdenti, in questo caso
in quelle dei socialisti. Non in quelle di Ségolène
Royal però, che cinque minuti dopo la sconfitta
di domenica aveva già lanciato la battaglia per
conservare una leadership che in queste ore gli viene
contestata da più parti, ma in quelle del segretario
del Ps, di François Hollande. Poco dopo i risultati
il compagno dell’ex candidata commentando la sconfitta
della sua parte politica ha detto che Sarkozy ha vinto
“perché è riuscito ad unire tutte
le destre”, dall’estrema fino al centro
destra. Corollario: noi, invece, abbiamo perso perché
siamo rimasti divisi e non abbiamo saputo unire le sinistre,
dall’estrema al centrosinistra.
Non si poteva dirlo con maggiore chiarezza. Del resto
il trionfo di Sarkozy viene da lontano, così
come da lontano viene la sconfitta di Ségolène,
effetto rispettivamente di un rinnovamento riuscito
e di un aggiornamento mancato.
Il nuovo inquilino dell’Eliseo conduce la lotta
per il mutamento della destra gollista da più
di dieci anni, anni caratterizzati da innumerevoli battaglie
contro l’ultimo erede del Generale de Gaulle,
Jacques Chirac. Se si vuole segnare una data d’inizio
di questo processo bisogna risalire almeno al 1995,
l’anno in cui Sarkozy, allora ministro del Bilancio
del governo di Edouard Balladur, decide di lasciare
Chirac e di fare campagna per il suo Primo ministro.
Già allora è un’opzione diversa
che Sarko sceglie, un’opzione più liberale,
più di destra rispetto al gollismo sociale riaffermato
da Chirac nella campagna che gli permetterà di
succedere a François Mitterrand. Negli anni seguenti
“il traditore” verrà tenuto ai margine
da colui che con la vittoria dell’Eliseo aveva
assicurato l’egemonia dei gollisti sulle destre
francesi. Solo dopo una lunga traversata del deserto
e un certosino lavoro sul terreno Sarkozy è riuscito
a tornare sul proscenio imponendosi come l’uomo
“indispensabile” prima all’Rpr e poi
all’Ump, il nuovo partito fondato da Chirac dopo
la rielezione del 2002 per raggruppare tutte le destre.
Conquistatosi sul campo un posto di rilievo nel governo
di Jean Pierre Raffarin, Sarkozy comincia a costruire
la sua ascesa. Da ministro dell’Interno fa sfoggio
di un grande attivismo e interviene su tutti i dossier,
anche quelli che non concernono strettamente le sue
competenze ministeriali. La strategia forse è
chiara solo ora: vincere nel paese prima che nelle urne,
conquistare l’egemonia nella testa dei cittadini
prima che questa si traduca in consenso elettorale.
Sarkozy impone i temi al dibattito, provoca e stupisce
attraverso una “triangolazione” audace che
lo spinge a incursioni nei domini riservati della sinistra
(chiude ad esempio il Cpt di Sangatte o propone il voto
agli immigrati) o all’estrema destra del Fronte
nazionale (sicurezza, ordine, autorità, immigrazione).
In pochi anni diviene l’immagine stessa di una
politica nuova, moderna, attenta ai risultati più
che all’ideologia, pragmatica ed efficace così
come quella di Chirac era retorica e immobile.
Il tema della “rottura” s’impone
e dietro al leader del rinnovamento si schierano tutte
le anime della destra francese, tutte quelle correnti
nate dai conflitti del XIX secolo: la destra “orleanista”
o liberale, quella “bonapartista” o autoritaria
e quella “legittimista” o reazionaria. Con
un programma coerente e una squadra compatta, il candidato
Sarkozy è potuto andare alla campagna elettorale
del 2007 con un’incredibile macchina da guerra
che gli ha permesso di allargare ancora di più
i margini della sua maggioranza includendovi anche i
centristi.
Il nuovo corso aperto da Sarkozy rende la destra francese
a se stessa, introducendola nell’era post gollista.
Nella concezione del Generale la Francia era una e indivisibile,
al di sopra delle divisioni partigiane e per anni, mentre
a sinistra ci si chiamava apertamente col proprio nome,
a destra ci si girava attorno. La nuova destra di Sarkozy
invece non ha più complessi a può assumersi
completamente, anche nei suoi aspetti più liberali.
Rispetto a Chirac, soprattutto in questo ambito, il
nuovo inquilino dell’Eliseo è veramente
altra cosa. Garante dell’égalitè
dei cittadini, l’ex presidente non aveva saputo
riformare il paese per farlo entrare nella mondializzazione
economica e aveva preferito tenerlo al riparo del mondo,
ripiegato su se stesso mentre l’ineguaglianza
aumentava. Il suo successore, invece, ha fatto un passo
in là e ha assunto l’individualismo e l’ineguaglianza
come motore economico e regolatore sociale.
Quella sakozysta sarà davvero una République
inedita.
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