Chi varcherà
la soglia dell’Eliseo dopo il ballottaggio del
6 maggio? Chi orienterà la politica del paese
per i prossimi cinque anni? Le brevi vacanze pasquali
non hanno portato consiglio ai francesi e i dubbi con
cui sono partiti sono gli stessi con cui sono ritornati.
Al grande appuntamento elettorale mancano solo una decina
di giorni eppure l’unica cosa acquisita è
che gli elettori non hanno ancora deciso. Tutti i sondaggi
sono chiari in proposito: un francese su due non sa
quale sarà il nome che scriverà sulla
scheda. Il fatto non è di poco conto, dato che
in testa alla corsa ci sono ben quattro candidati suscettibili
di passare al secondo turno. Sull’elezione chiave
della Quinta Repubblica regna una grande indecisione
e, dunque, un’estrema incertezza degli esiti.
Da tre mesi i sondaggi fotografano un consenso fluttuante
e contraddittorio, con candidati che salgono una settimana
per poi, altrettanto improvvisamente, ridiscendere la
seguente. Nicolas Sarkozy sembrerebbe in testa davanti
a Ségolène Royal, mentre la novità
François Bayrou e l’inossidabile Jean Marie
Le Pen interpretano entrambe il ruolo di pericolosi
outsider.
Nel passato, però, i sondaggi si sono spesso
sbagliati e mai come quest’anno la loro facoltà
predittiva deve essere presa con grande cautela. Gli
iscritti alle liste elettorali sono aumentati come non
mai, segno di una grande volontà di dire la propria,
ma dire la propria in favore di chi, in che modo? Di
solito, dicono gli esperti, tra la fine di marzo e l’inizio
d’aprile avviene la “cristallizzazione”,
mentre questa volta la metà della popolazione
anche se sa che voterà, non sa ancora per chi,
fatto che rende difficile prevedere quale sarà
la scelta dopo che il ragionamento avrà attraversato
passaggi complessi e molto spesso negativi.
L’elezione del presidente della Repubblica, diceva
Charles de Gaulle, è “l’incontro
di un uomo con il popolo”, ma oggi le cose sembrano
andare in modo diverso. Nel 2002 fu un voto di protesta
che eliminò Lionel Jospin al primo turno, portò
al secondo Le Pen e consegnò la vittoria a Jacques
Chirac. Nel 2005 più che contro il Trattato costituzionale
europeo i francesi votarono la sfiducia ad una classe
dirigente con alla testa il presidente della Republique.
Quest’anno il 63 per cento di loro continua a
pensare che i politici non prendano in conto i problemi
e le aspettative del popolo, che siano troppo distanti
dalla realtà. Insomma, l’incertezza che
regna sovrana in quest’ultima fase di campagna
è il sintomo di un malessere che sta trasformando
la democrazia francese da processo di selezione positiva
a processo di “deselezione” negativa.
Alcuni a sinistra voteranno Bayrou non perché
aderiscano al suo programma, ma perché non vogliono
consegnare il proprio suffragio a Ségolène;
chi non vuole assolutamente che sia Sarkozy ad entrare
all’Eliseo voterà invece il candidato con
più probabilità di batterlo, chiunque
esso sia; a destra anche chi non ama l’ex ministro
dell’Interno forse ripiegherà su Bayrou
o magari sull’estrema destra. Infine, buono per
tutti i voti di protesta, Le Pen è lì
ad attendere la replica del 2002.
Quello che ne esce è un quadro fortemente instabile
in cui le scelte sono determinate da una logica negativa
e di protesta. Del resto tutti e quattro i candidati
maggiori hanno giocato la carta della “rottura”,
l’immagine del rinnovamento e la contestazione
della vecchia politica. Sarkozy si è levato contro
lo chiracchismo che da trent’anni domina la destra.
Ségolène contro la schizofrenia di un
socialismo anticapitalista all’opposizione e realista
al governo. Gli altri due semplicemente contestando
l’intero sistema, Bayrou dal centro e Le Pen da
fuori.
Il successo inaspettato e rapido del centrista è
sintomatico di questa situazione. Nonostante il suo
programma sia poco visibile, vago e per molti aspetti
misterioso, il suo consenso si è impennato per
una sorta di sedizione dal centro contro il sistema
politico che con le alternanze che si sono susseguite
ha governato la Francia degli ultimi trent’anni.
La strategia è stata talmente valida che nei
giorni scorsi, in calo di popolarità, il centrista
rivoluzionario ha rialzato la voce e ribadito: “La
rottura c’est moi”.
Chi invece rimane scientemente nell’ombra è
il candidato della protesta per antonomasia, il termometro
stesso della democrazia francese. Le Pen non si fa vedere
troppo, non spreca neanche il tempo di spiegare uno
straccio di programma perché è cosciente
che i suoi voti saranno tanti quanti saranno quelli
di protesta.
Del resto i due favoriti, Ségò e Sarkò,
hanno cominciato a perdere terreno a favore dei due
outsider antisistema proprio nel momento in cui hanno
cominciato a dettagliare i rispettivi programmi ed elargito
promesse a destra e manca. Segno che di questi tempi
in Francia gli impegni sono valuta fuori corso.
Dopo qualche giorno di vacanza in cui avranno rimuginato
e fatto chiarezza sulle proprie convinzioni, i francesi,
dicono gli esperti, con l’approssimarsi della
data del voto cominceranno a fare la propria scelta.
A quel punto potranno selezionare o deselezionare tra
quattro visioni: quella di Ségolène, che
privilegia solidarietà e giustizia, quella di
Sarkozy, incentrata su libertà e merito individuale,
quella di Bayrou, piuttosto vaga, e quella di Le Pen,
decisamente oscura.
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