A tre settimane
dal verdetto delle urne la partita tra i candidati principali
alle elezioni francesi è ancora tutta da giocare.
Un cittadino su due non ha ancora deciso a chi confidare
la propria fiducia e l’esito dello scrutinio è
più aperto che mai. In questo contesto i candidati
calibrano la propria strategia e limano la loro campagna
per il rush finale.
La prima novità consiste nel nuovo slancio che
Ségolène Royal sta imprimendo al dibattito.
Lo aveva già annunciato due settimane fa che
si sarebbe ripresa la sua “libertà”,
che si sarebbe affrancata dal partito, dal suo programma
e dalla sua tutela per andare verso i francesi. E così
è stato. La Royal è tornata alle origini
del suo successo e come per incanto ha ricominciato
a dare il tempo alla campagna elettorale e ad imporre
i temi al dibattito.
Come nel caso della Marsigliese e del Tricolore, i
simboli della Nazione che la candidata ha rispolverato
di fronte ad un Ps ammutolito dall’audacia di
una posizione che esce fuori dai dogmi socialisti. Al
di là delle polemiche che possono far apparire
quello di Ségolène come un passo maldestro,
la scelta del tema non è stata affatto casuale
o improvvisata, ma scientemente calcolata. Un esempio
dei più cristallini del metodo Ségò,
di quella concezione della politica che implica una
grande libertà dagli schemi della gauche e una
grande capacità di triangolazione, di sottrarre
cioè un tema all’avversario declinandolo
a sinistra. I mezzi che coniugati ad una grande capacità
d’ascolto della Francia le avevano permesso prima
di emergere nei sondaggi e poi di imporsi come la candidata
dei socialisti.
Prima che Ségò lasciasse di stucco la
sua parte politica e si attirasse il sarcasmo della
destra, era stato Nicolas Sarkozy a brandire il tema
della Nazione per strizzare l’occhio agli elettori
del Fronte Nazionale. Il candidato dell’Ump aveva
infatti proposto la creazione di un ministero dell’Immigrazione
e dell’Identità, suggerendo che la prima
sia alla fine una minaccia per la seconda. Per non lasciare
libero il campo Ségolène si è appropriata
del soggetto e ha trasformato il nazionalismo che divide
di Sarkozy in un’idea di Nazione che include e
unisce.
Che un socialista parlasse di un tema del genere invece
che della questione sociale non si era mai visto, ma
l’obiettivo della Royal è quello di andare
verso i francesi, gli stessi che nel 2005 avevano rigettato
in massa il Trattato costituzionale europeo. Rivalutare
la Nazione vuol dire per Ségò offrire
un punto di riferimento e un riparo a quelle classi
popolari che sono le prime vittime della mondializzazione
e un modo di recuperare il voto di quei settori che
nel 2002 avevano disertato i socialisti. Allora Lionel
Jospin perse anche perché per lui votò
solo il 14% degli operai.
Da quella sconfitta Ségolène ne deve
aver tratto una lezione e un modus operandi. Se si getta
uno sguardo indietro si può infatti cogliere
una certa coerenza nel suo stile. Cinque anni fa i socialisti
avevano consegnato alla destra e a Sarkozy il tema della
sicurezza non avendo saputo, per questioni ideologiche,
prendersi carico delle ansie dei cittadini. Durante
le primarie la Royal ha invece giocato la carta “dell’ordine
giusto” perché aveva capito che l’insicurezza
toccava soprattutto le classi popolari. Con questa sua
peculiare libertà dai tabù socialisti
è riuscita prima a diventare popolare e ora a
ritrovare quello slancio che era il suo marchio di fabbrica.
Di fronte alla ritrovata simmetria tra una Ségò
rinvigorita e un Nicolas Sarkozy sempre in testa nei
sondaggi, ma tallonato dalla rivale, il primo a farne
le spese è stato François Bayrou. Con
la polarizzazione del dibattito il centro diventa sempre
meno visibile e l’illusione centrista sembra allontanarsi.
Sono i sondaggi a dirlo, a fotografare un’inversione
della curva di consenso del candidato dell’Udf
che fin qui non aveva fatto che crescere. Ora il suo
score medio è passato sotto il 20 per cento,
la soglia che gli consentiva di minacciare Ségolène.
Con un programma incerto e una postura antisistema
Bayrou era riuscito ad emergere intercettando il consenso
dei francesi delusi da trent’anni di politica
gollisto-socialista. L’effetto novità,
però, brucia in fretta e ora che la campagna
è entrata nel pieno della sua ufficialità,
il presidente dell’Udf non è identificabile
con nessuna proposta chiara e concreta, tanto più
che il suo tentativo di attirare le personalità
di punta della destra e della sinistra è fallito
e ora appare più isolato che mai.
Il problema del centrista è che il suo elettorato
è estremamente volatile, pronto a partire verso
altri lidi. Sarkozy e Ségolène lo hanno
capito e per costringere gli elettori a scelte nette
hanno impostato l’ordine del giorno, aiutati anche
dall’attualità, su questioni come la Nazione,
la sicurezza e l’immigrazione. Su temi come questi
i francesi prendono posizioni nette e il né-né
centrista si ritrova asfissiato.
All’attacco congiunto degli avversari si aggiunga
che all’approssimarsi dello scrutinio finisce
lo spettacolo e gli elettori, dicono gli esperti, cominciano
a scegliere sulla base dei classici schemi della politica
francese.
Non trovando meglio da fare, Bayrou ha sfoggiato la
sua carica contestataria e per ritrovare visibilità
se l’è presa con la “manipolazione
dei sondaggi”. Non ha tutti i torti e in effetti
le previsioni delle ricerche d’opinione non sono
mai attendibili. Cinque anni fa, ad esempio, alle elezioni
presidenziali avevano attribuito a Jean Pierre Chevènement
il ruolo di terzo uomo, ma poi al primo turno prese
il 5 per cento e si scoprì che in realtà
il vero terzo uomo era Jean Marie Le Pen. Non è
che anche quest’anno abbiano preso lucciole per
lanterne e che alla fine sia ancora lui la sorpresa
che emergerà dalle urne?
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