A 50 anni
dal Trattato di Roma, la politica estera europea vista
con gli occhi di chi in quest’Europa è
entrato da poco e tuttavia sa che anche il suo paese
oggi può scrivere un capitolo importante nella
politica estera dell’Ue.
“I paesi dell’Europa centro-orientale guardano
con favore sia all’allargamento sia alla creazione
di un ministro degli Esteri europeo, come si è
visto anche durante i lavori della Convenzione”,
David Král parla da Praga, dove presiede l’Istituto
per la Politica estera Europeum, insegna studi europei
all’Università Carlo, ed è stato
consigliere del governo ceco durante la Convenzione
e la Conferenza intergovernativa per la stesura della
Costituzione europea.
“Su alcuni temi, come la democratizzazione dei
paesi che vogliono oggi entrare nell’Ue possiamo
dire la nostra” aggiunge Král, che scrive
anche per Opendemocracy e fa parte dell’associazione
Pasos, vicina a George Soros. “È la lezione
che abbiamo imparato dall’Ue, ed è la nostra
specificità”.
Come guardano i paesi dell’Europa centro-orientale
alla politica estera europea?
Per noi la politica estera europea ha una storia relativamente
recente. In qualche modo a volte la guardiamo con sospetto,
perché è solo dal 1990 che abbiamo potuto
godere di una politica estera indipendente: fino ad
allora, infatti, era Mosca che la decideva per noi.
Ci sono però alcuni punti sui quali sentiamo
di poter avere voce in capitolo, e mi riferisco soprattutto
alla transizione democratica, un aspetto della governance
che oggi rappresenta una sfida decisiva per paesi
come l’Ucraina e soprattutto la Bielorussia. Noi
siamo passati con successo attraverso la fase di democratizzazione,
e possiamo ora aiutare quei paesi a procedere lungo
la stessa strada.
Rivendicate insomma una sensibilità
diversa, in questo campo, rispetto ai paesi dell’Europa
occidentale.
In un certo senso sì. I nostri ministri degli
esteri, e i funzionari dei loro stessi ministeri, sentono
di avere una missione in particolare, che è quella
di aiutare la diffusione della democrazia nei paesi
europei in cui essa stenta a svilupparsi. E’ la
nostra specificità.
Come vedono i paesi dell’Europa centro-orientale
l’ulteriore allargamento dell’Ue, dai Balcani
alle ultime repubbliche ex sovietiche?
Qui è molto evidente lo scarto tra l’Europa
occidentale e quella orientale. I primi guardano all’allargamento
senza entusiasmo, mentre noi ne vediamo molto di più
gli aspetti positivi. Ci rassicura pensare che un ulteriore
allargamento porterebbe maggiore benessere e sicurezza
ai paesi coinvolti, e di conseguenza anche a noi, che
stando all’attuale periferia dell’Europa
non potremmo che beneficiare della stabilizzazione di
quei paesi. Tuttavia non voglio generalizzare troppo.
I due blocchi non sono tali, e all’interno dell’Europa
occidentale ci sono paesi decisamente favorevoli all’allargamento,
come la stessa Italia.
Lo stesso discorso vale per l’ingresso
della Turchia?
Se guardiamo ai sondaggi e alle dichiarazioni delle
classi dirigenti, sembrerebbe che i paesi dell’Europa
centro-orientale siano più aperti all’ingresso
di Ankara. Tuttavia è un tema che non ci preme
più di tanto, non ci tocca troppo, perché
le nostre popolazioni musulmane non sono comparabili
a quelle di paesi come Austria, Francia, Gran Bretagna
o Germania.
I paesi dell’Est Europa vedono con favore
la creazione di un vero ministro degli Esteri europeo?
E crede che aiuterebbe la nascita di una politica estera
più coerente dell’Ue?
Sono due domande molto diverse. L’idea del ministro
degli Esteri è benvenuta, come si evince dal
fatto che durante la Convenzione i paesi dell’Europa
centro-orientale non hanno avanzato critiche su questo
punto. Al momento, però, dubito che la creazione
di questa figura possa far nascere un’autentica
politica estera europea. Da come è descritto
nello stesso trattato costituzionale, c’è
il rischio che finisca per essere un mero portavoce
del Consiglio dei ministri. Come funzionerà il
“doppio cappello”, che lo farà appartenere
sia alla Commissione sia al Consiglio dei ministri?
Credo che altrettanto importante, perché l’Ue
abbia una politica estera unica e coerente, sia la creazione
di un servizio diplomatico unico, già tratteggiato
nella Costituzione.
Il tema dello scudo missilistico americano
in Polonia e Repubblica Ceca, che ha lasciato un po’
scettici alcuni paesi europei, dimostra che tra Est
e Ovest ci sono ancora sensibilità diverse, soprattutto
per quanto riguarda i rapporti con Mosca?
Sì, anche se persino tra Praga e Varsavia c’è
un atteggiamento diverso. La Polonia, qualunque sia
il governo al potere, ha posizioni molto filoamericane.
Lo stesso non vale per la Repubblica Ceca, dove, un
po’ come succede in Germania, il centrodestra
(oggi al governo) è più vicino alle posizioni
degli Stati Uniti, mentre i socialdemocratici fanno
notare che lo scudo missilistico potrebbe rovinare i
rapporti con altri stati dell’Ue. Per questo chiedono
un referendum sulle basi americane, consapevoli del
fatto che la maggioranza dell’opinione pubblica
è contraria al progetto. Questo dimostra che
la maggioranza dei cechi è a favore di una politica
estera europea autonoma, che sia a volte anche in contrasto
con quella americana. Per quanto riguardo lo scudo missilistico,
credo che la questione sia molto politicizzata, che
l’aspetto politico sia molto più importante
rispetto a quello militare: lo si fa perché ce
l’hanno chiesto gli Stati Uniti, per dimostrare
che siamo più alleati loro che di Mosca.
Cosa rappresenta l’Europa per un giovane
ceco?
Difficile dirlo, però si può avvertire
una differenza tra questa generazione e quella che l’ha
preceduta. Oggi si riconoscono molto di più le
opportunità, soprattutto di lavoro e di storia,
che sono rappresentate dall’Ue.
Quali sono, per lei, gli aspetti più
positivi e più negativi della politica estera
europea?
Sono le due facce della stessa medaglia. Da un lato
c’è l’orgoglio per le capacità
del soft power europeo (apprezzato dai cechi
anche nella questione irachena), dall’altro c’è
il timore che questo soft power possa risultare
un’arma spuntata, rendere impotente l’Europa
nei momenti di maggiore difficoltà, come nell’ex
Jugoslavia degli anni Novanta.
Come giudica il modo in cui l’Europa
sta negoziando con l’Iran?
Il negoziato dell’Ue è stato molto positivo
ed efficace. Finora è stato un successo, perché
l’Ue ha dimostrato di essere un interlocutore
affidabile per tutte le parti in causa, dall’Iran
agli Usa all’Aiea.
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