Tratto da
il Secolo
XIX
A cinque settimane esatte dal primo turno e a sette
dall’eventuale ballottaggio, lo scenario per le
presidenziali francesi si è trasformato. Che
cosa significa l’inserimento di François
Bayrou nel confronto secco destra-sinistra rapresentato
da Nicilas Sarkozy e Ségolène Royal? Forse
una crisi strutturale della Quinta Repubblica.
Lo scontro Nicolas Sarkozy-Ségolène Royal
doveva essere la raffigurazione della Francia nuova.
Non era solo una questione di età, era anche
una questione di scenografia. Una scenografia che rendeva
– e infatti ha reso – sul piano della rappresentazione
mediatica dello scontro politico: lo scontro tra due
duri; il confronto uomo-donna; le due vite private di
entrambi. Senza dimenticare il fatto che entrambi sono
il risultato di una spaccatura interna ai rispettivi
partiti di provenienza.
François Bayrou potrebbe essere l’uomo
nuovo in questa Francia che giunge preoccupata e in
affanno all’appuntamento elettorale. Se Bayrou
passa il turno e va al ballottaggio ci va alle spese
di Ségolène Royal, Ma se supera il turno
è facile prevedere che sarà lui il vincitore
dal confronto diretto con Sarkozy. Viceversa se sarà
la Royal a superare il turno e a toccasse a lei il confronto
diretto con Sarkozy, tutti i dati a oggi lasciano intendere
che sarebbe l’uomo di ferro a spuntarla.
L’eventuale vittoria di Bayrou sarebbe il segnale
di una incertezza dell’elettorato: un elettorato
che viene sia da destra che da sinistra, ma che si sente
incerto, insicuro, pronto a investire sul candidato
del centro, perché apparentemente meno inquietante
e “impegnativo” dei suoi contendenti.
Tuttavia, non è solo una questione di elettorato
incerto. L’uscita di scena di Chirac è
il segno più evidente della crisi attuale della
V Repubblica. Una crisi che nasce perché sono
venuti meno due tratti essenziali del regime repubblicano
inaugurato da De Gaulle nel 1958: da una parte il nazionalismo
politico francese, dall’altra una funzione di
leadership della Francia in Europa. Il filo comune era
un’idea di antiamericanismo diverso da quello
proprio di tradizione italiana (costruito sul l’idea
di “nazione proletaria”). Un antiamericanismo
che ha attraversato, profondamente e a lungo, sia la
destra che la sinistra nella Francia del ‘900.
Un antiamericanismo che solo in parte è risolto
dalla scelta europeista, perché quella scelta
ha, anche, un contenuto non nazionalistico.
Ciò che dunque è all’ordine del
giorno è forse una diversa stagione culturale
che si traduce anche in una rinnovata fisionomia delle
culture politiche. L’effetto potrebbe essere –
senza scardinare radicalmente il meccanismo bipolare
– la scoperta di una nuova repubblica dei partiti
almeno tripolare. Il terzo polo è dato da un
centro che per ora non ha che l’attrazione della
stanchezza dei due schieramenti storici, ma che domani
potrebbe, proprio per un progressivo indebolimento dei
due poli tradizionali attrarre quella fascia di tecnici
di “grandi uomini di Stato” espressi dall’
Ena – l’Alta Scuola di amministrazione –
che da sempre esprime l’ossatura del governo e
della cosa pubblica. Sarebbe sbagliato fare una traduzione
e costruire un parallelismo rispetto al lungo travaglio
italiano, ma è certo che se l’ipotesi Bayrou
fosse qualcosa di più che una momentanea sbandata
rispetto a un percorso regolare, allora molte cose anche
qua dovrebbero essere riviste e meditate. Soprattutto
quella che riconosce nel meccanismo elettorale la soluzione
in sé del conflitto politico e culturale.
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