318 - 30.03.07


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Bayrou, il centrista scomodo mette
a nudo la crisi della V Repubblica

David Bidussa


Tratto da il Secolo XIX

A cinque settimane esatte dal primo turno e a sette dall’eventuale ballottaggio, lo scenario per le presidenziali francesi si è trasformato. Che cosa significa l’inserimento di François Bayrou nel confronto secco destra-sinistra rapresentato da Nicilas Sarkozy e Ségolène Royal? Forse una crisi strutturale della Quinta Repubblica.

Lo scontro Nicolas Sarkozy-Ségolène Royal doveva essere la raffigurazione della Francia nuova. Non era solo una questione di età, era anche una questione di scenografia. Una scenografia che rendeva – e infatti ha reso – sul piano della rappresentazione mediatica dello scontro politico: lo scontro tra due duri; il confronto uomo-donna; le due vite private di entrambi. Senza dimenticare il fatto che entrambi sono il risultato di una spaccatura interna ai rispettivi partiti di provenienza.

François Bayrou potrebbe essere l’uomo nuovo in questa Francia che giunge preoccupata e in affanno all’appuntamento elettorale. Se Bayrou passa il turno e va al ballottaggio ci va alle spese di Ségolène Royal, Ma se supera il turno è facile prevedere che sarà lui il vincitore dal confronto diretto con Sarkozy. Viceversa se sarà la Royal a superare il turno e a toccasse a lei il confronto diretto con Sarkozy, tutti i dati a oggi lasciano intendere che sarebbe l’uomo di ferro a spuntarla.

L’eventuale vittoria di Bayrou sarebbe il segnale di una incertezza dell’elettorato: un elettorato che viene sia da destra che da sinistra, ma che si sente incerto, insicuro, pronto a investire sul candidato del centro, perché apparentemente meno inquietante e “impegnativo” dei suoi contendenti.

Tuttavia, non è solo una questione di elettorato incerto. L’uscita di scena di Chirac è il segno più evidente della crisi attuale della V Repubblica. Una crisi che nasce perché sono venuti meno due tratti essenziali del regime repubblicano inaugurato da De Gaulle nel 1958: da una parte il nazionalismo politico francese, dall’altra una funzione di leadership della Francia in Europa. Il filo comune era un’idea di antiamericanismo diverso da quello proprio di tradizione italiana (costruito sul l’idea di “nazione proletaria”). Un antiamericanismo che ha attraversato, profondamente e a lungo, sia la destra che la sinistra nella Francia del ‘900. Un antiamericanismo che solo in parte è risolto dalla scelta europeista, perché quella scelta ha, anche, un contenuto non nazionalistico.

Ciò che dunque è all’ordine del giorno è forse una diversa stagione culturale che si traduce anche in una rinnovata fisionomia delle culture politiche. L’effetto potrebbe essere – senza scardinare radicalmente il meccanismo bipolare – la scoperta di una nuova repubblica dei partiti almeno tripolare. Il terzo polo è dato da un centro che per ora non ha che l’attrazione della stanchezza dei due schieramenti storici, ma che domani potrebbe, proprio per un progressivo indebolimento dei due poli tradizionali attrarre quella fascia di tecnici di “grandi uomini di Stato” espressi dall’ Ena – l’Alta Scuola di amministrazione – che da sempre esprime l’ossatura del governo e della cosa pubblica. Sarebbe sbagliato fare una traduzione e costruire un parallelismo rispetto al lungo travaglio italiano, ma è certo che se l’ipotesi Bayrou fosse qualcosa di più che una momentanea sbandata rispetto a un percorso regolare, allora molte cose anche qua dovrebbero essere riviste e meditate. Soprattutto quella che riconosce nel meccanismo elettorale la soluzione in sé del conflitto politico e culturale.

 

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