Sono passati
più di cinque anni dalla guerra, ma l’Afghanistan
sembra lungi dall’essere pacificato. La coalizione
degli stati che partecipano alle operazioni sotto la
bandiera della Nato sembra ben solida, nonostante in
Italia la questione abbia messo in crisi il governo
Prodi.
Per fare un bilancio della situazione in Afghanistan
e della guerra al terrorismo lanciata dagli Stati Uniti
abbiamo incontrato Fabio Liberti, ricercatore presso
l’Iris (Istituto di relazioni internazionali e
strategiche) di Parigi ed esperto di questioni europee
e politiche di difesa.
La guerra in Afghanistan fu il primo atto della
guerra al terrorismo. Quale fu allora la posizione dei
paesi dell’Unione europea?
Ci fu in tutta Europa una solidarietà spontanea
e totale con gli Stati Uniti. Si era solo qualche giorno
dopo gli attentati alle Torri gemelle e il “Corriere”
titolava “siamo tutti americani”. Certo
non si può parlare per quella d’allora
di una missione europea, ma nel quadro della coalizione
dei volenterosi tutti gli stati membri dell’Ue
mandarono le loro truppe. La coalizione è ancora
presente sul terreno con la missione Nato Isaf, mentre
la missione Enduring Freedom, passata alla Nato, continua
sulle montagne tra Afghanistan e Pakistan.
D’altra parte la solidarietà Atlantica
rispetto alla Guerra al terrorismo si è spezzata
con la guerra in Iraq e gli stati dell’Ue si sono
divisi tra chi ha deciso di continuare a sostenere la
strategia statunitense - Blair, la Spagna e l’Italia
d’Aznar e Berlusconi – e chi, invece - come
la Francia e la Germania – ha rifiutato di partecipare
all’impresa militare.
Sull’Afghanistan, invece, dopo cinque
anni quali sono le posizioni dei membri dell’Unione?
Sull’Afghanistan le posizioni sembrano rimanere
stabili. Le truppe sono ancora laggiù e anzi
si rafforzano. La Spagna ha aumentato i suoi soldati,
il Regno Unito deve annunciarne 400 ulteriori e l’Italia
rafforza il suo contingente in materia d’equipaggiamento
con l’invio dei Predator, aerei senza pilota che
servono per missioni di ricognizione. Dicono che mandiamo
gli aerei per bombardare, ma è ridicolo, il Predator
è un aereo vuoto e non ha la possibilità
d’imbarcare armi.
Quindi l’Afghanistan non fa dibattito
in Europa?
È un dibattito che interessa solo la sinistra
radicale, come ad esempio il Linkspartei di Oskar Lafontaine.
Anche in Spagna è questa componente politica
a discuterne col governo, ma, insomma, molto meno che
in Italia. A parte questi due paesi in cui l’Afghanistan
è stato usato come moneta di scambio con il ritiro
dall’Iraq per non rovinare i rapporti con gli
Stati Uniti, negli altri non ci sono problemi. In Francia,
ad esempio, pur essendoci stati dei morti, le forze
speciali e i caccia bombardieri sono usati regolarmente
senza nessun dibattito.
Ma non ci sono divergenze strategiche sulla
condotta della missione?
Ce ne saranno tra poco, ma bisogna spiegare il quadro.
Si parla di Afghanistan ma in realtà la coalizione
non controlla nient’altro che Kabul. Per il resto
del paese i signori della guerra hanno un po’
ripreso il loro dominio come in epoca pre-talebana.
Data la situazione i comandi della Nato hanno annunciato
che con l’arrivo della primavera bisognerà
sferrare un’offensiva per mettere finalmente in
ginocchio la resistenza dei talebani. Non credo, e si
vede in Italia, che tutti gli stati membri saranno d’accordo
con questa strategia. Del resto l’immobilismo
comporta dei rischi militari. Non si può continuare
a vivacchiare bisogna riportare successi strategici
prima che siano i talebani a conseguirli. È chiaro
che cercheranno visibilità nei prossimi mesi.
Qual è la posizione dell’Unione
europea sulla guerra al terrorismo e quale sul principio
statunitense di guerra preventiva?
Il mezzo della guerra preventiva per condurre quella
al terrorismo è stato accettato in Europa soltanto
da pochi governi come quello di Blair, Aznar o Berlusconi.
La visione europea in materia di lotta al terrorismo
è diversa da quella americana ed è specificata
nella Strategia europea di sicurezza preparato dai servizi
di Javier Solana, l’Alto rappresentante della
politica estera dell’Unione. Nel documento si
parla della necessità di interventi multidimensionali,
di usare tutti i mezzi a disposizione. Non si può
pensare di sradicare il terrorismo soltanto con i bombardamenti.
L’assenza di una posizione comune a livello
europeo ha favorito all’amministrazione statunitense
che di volta in volta si è cercata singoli alleati?
Certamente all’epoca faceva comodo e i rapporti
bilaterali erano ricercati proprio per dividere. Oggi
la situazione è diversa perché gli statunitensi
si sono resi conto che effettivamente, nonostante la
forza militare, non hanno abbastanza forza politica
per imporre le soluzioni. L’approccio usato con
l’Iran è diverso da quello usato con l’Iraq.
Inoltre molti paesi europei, come ad esempio quelli
dell’Est, sono rimasti delusi dalla loro adesione
alla guerra americana al terrorismo.
Questo sentimento potrebbe favorire una posizione
comune dell’Europa?
In effetti c’è una delusione generale
in Europa rispetto alle relazioni con gli Stati Uniti
però, purtroppo, non c’è una leadership.
La congiuntura è favorevole perché c’è
una sensibilità britannica che sta evolvendo,
le posizioni dei paesi dell’Est sono cambiate
e in Spagna e in Italia ci sono al governo esecutivi
molto più filoeuropei dei precedenti. Ci vorrebbe
qualcuno che sia capace di catalizzare lo smarrimento
per creare e rafforzare una posizione comune europea.
Questa leadership potrebbe uscire dalle prossime
elezioni presidenziali in Francia?
Purtroppo sia Nicolas Sarkozy che Ségolène
Royal non sono europeisti convinti, come non lo era
del resto Chirac all’inizio. Poi non si sa mai.
Per ora se si guarda ai programmi, le proposte di entrambe
i candidati non sembrano così differenti e in
nessuno dei due si intravede la volontà di un
gran rilancio dell’Ue.
La guerra al terrorismo ha prodotto almeno
dei cambiamenti nella difesa comune?
C’è una coordinazione e un aumento della
collaborazione tra le varie intelligence, ma niente
di strutturale perché si pone il problema della
segretezza e della tutela delle fonti. Per quanto riguarda
invece il tema della difesa europea si può dire
che è l’unico cantiere che è andato
avanti, che è avanzato. L’Agenzia europea
alla difesa prevista dalla Costituzione, ad esempio,
è stata creata nonostante la bocciatura del trattato.
D’altra parte è vero che non si potrà
avere una vera politica di difesa comune fin quando
non si avrà una politica estera comune. Questo,
oggi, è il vero problema per l’Ue.
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