317 - 16.03.07


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L’Unione, compatta,
mantiene le posizioni

Fabio Liberti con
Luca Sebastiani


Sono passati più di cinque anni dalla guerra, ma l’Afghanistan sembra lungi dall’essere pacificato. La coalizione degli stati che partecipano alle operazioni sotto la bandiera della Nato sembra ben solida, nonostante in Italia la questione abbia messo in crisi il governo Prodi.
Per fare un bilancio della situazione in Afghanistan e della guerra al terrorismo lanciata dagli Stati Uniti abbiamo incontrato Fabio Liberti, ricercatore presso l’Iris (Istituto di relazioni internazionali e strategiche) di Parigi ed esperto di questioni europee e politiche di difesa.

La guerra in Afghanistan fu il primo atto della guerra al terrorismo. Quale fu allora la posizione dei paesi dell’Unione europea?

Ci fu in tutta Europa una solidarietà spontanea e totale con gli Stati Uniti. Si era solo qualche giorno dopo gli attentati alle Torri gemelle e il “Corriere” titolava “siamo tutti americani”. Certo non si può parlare per quella d’allora di una missione europea, ma nel quadro della coalizione dei volenterosi tutti gli stati membri dell’Ue mandarono le loro truppe. La coalizione è ancora presente sul terreno con la missione Nato Isaf, mentre la missione Enduring Freedom, passata alla Nato, continua sulle montagne tra Afghanistan e Pakistan.
D’altra parte la solidarietà Atlantica rispetto alla Guerra al terrorismo si è spezzata con la guerra in Iraq e gli stati dell’Ue si sono divisi tra chi ha deciso di continuare a sostenere la strategia statunitense - Blair, la Spagna e l’Italia d’Aznar e Berlusconi – e chi, invece - come la Francia e la Germania – ha rifiutato di partecipare all’impresa militare.

Sull’Afghanistan, invece, dopo cinque anni quali sono le posizioni dei membri dell’Unione?

Sull’Afghanistan le posizioni sembrano rimanere stabili. Le truppe sono ancora laggiù e anzi si rafforzano. La Spagna ha aumentato i suoi soldati, il Regno Unito deve annunciarne 400 ulteriori e l’Italia rafforza il suo contingente in materia d’equipaggiamento con l’invio dei Predator, aerei senza pilota che servono per missioni di ricognizione. Dicono che mandiamo gli aerei per bombardare, ma è ridicolo, il Predator è un aereo vuoto e non ha la possibilità d’imbarcare armi.

Quindi l’Afghanistan non fa dibattito in Europa?

È un dibattito che interessa solo la sinistra radicale, come ad esempio il Linkspartei di Oskar Lafontaine. Anche in Spagna è questa componente politica a discuterne col governo, ma, insomma, molto meno che in Italia. A parte questi due paesi in cui l’Afghanistan è stato usato come moneta di scambio con il ritiro dall’Iraq per non rovinare i rapporti con gli Stati Uniti, negli altri non ci sono problemi. In Francia, ad esempio, pur essendoci stati dei morti, le forze speciali e i caccia bombardieri sono usati regolarmente senza nessun dibattito.

Ma non ci sono divergenze strategiche sulla condotta della missione?

Ce ne saranno tra poco, ma bisogna spiegare il quadro. Si parla di Afghanistan ma in realtà la coalizione non controlla nient’altro che Kabul. Per il resto del paese i signori della guerra hanno un po’ ripreso il loro dominio come in epoca pre-talebana. Data la situazione i comandi della Nato hanno annunciato che con l’arrivo della primavera bisognerà sferrare un’offensiva per mettere finalmente in ginocchio la resistenza dei talebani. Non credo, e si vede in Italia, che tutti gli stati membri saranno d’accordo con questa strategia. Del resto l’immobilismo comporta dei rischi militari. Non si può continuare a vivacchiare bisogna riportare successi strategici prima che siano i talebani a conseguirli. È chiaro che cercheranno visibilità nei prossimi mesi.

Qual è la posizione dell’Unione europea sulla guerra al terrorismo e quale sul principio statunitense di guerra preventiva?

Il mezzo della guerra preventiva per condurre quella al terrorismo è stato accettato in Europa soltanto da pochi governi come quello di Blair, Aznar o Berlusconi. La visione europea in materia di lotta al terrorismo è diversa da quella americana ed è specificata nella Strategia europea di sicurezza preparato dai servizi di Javier Solana, l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione. Nel documento si parla della necessità di interventi multidimensionali, di usare tutti i mezzi a disposizione. Non si può pensare di sradicare il terrorismo soltanto con i bombardamenti.

L’assenza di una posizione comune a livello europeo ha favorito all’amministrazione statunitense che di volta in volta si è cercata singoli alleati?

Certamente all’epoca faceva comodo e i rapporti bilaterali erano ricercati proprio per dividere. Oggi la situazione è diversa perché gli statunitensi si sono resi conto che effettivamente, nonostante la forza militare, non hanno abbastanza forza politica per imporre le soluzioni. L’approccio usato con l’Iran è diverso da quello usato con l’Iraq. Inoltre molti paesi europei, come ad esempio quelli dell’Est, sono rimasti delusi dalla loro adesione alla guerra americana al terrorismo.

Questo sentimento potrebbe favorire una posizione comune dell’Europa?

In effetti c’è una delusione generale in Europa rispetto alle relazioni con gli Stati Uniti però, purtroppo, non c’è una leadership. La congiuntura è favorevole perché c’è una sensibilità britannica che sta evolvendo, le posizioni dei paesi dell’Est sono cambiate e in Spagna e in Italia ci sono al governo esecutivi molto più filoeuropei dei precedenti. Ci vorrebbe qualcuno che sia capace di catalizzare lo smarrimento per creare e rafforzare una posizione comune europea.

Questa leadership potrebbe uscire dalle prossime elezioni presidenziali in Francia?

Purtroppo sia Nicolas Sarkozy che Ségolène Royal non sono europeisti convinti, come non lo era del resto Chirac all’inizio. Poi non si sa mai. Per ora se si guarda ai programmi, le proposte di entrambe i candidati non sembrano così differenti e in nessuno dei due si intravede la volontà di un gran rilancio dell’Ue.

La guerra al terrorismo ha prodotto almeno dei cambiamenti nella difesa comune?

C’è una coordinazione e un aumento della collaborazione tra le varie intelligence, ma niente di strutturale perché si pone il problema della segretezza e della tutela delle fonti. Per quanto riguarda invece il tema della difesa europea si può dire che è l’unico cantiere che è andato avanti, che è avanzato. L’Agenzia europea alla difesa prevista dalla Costituzione, ad esempio, è stata creata nonostante la bocciatura del trattato. D’altra parte è vero che non si potrà avere una vera politica di difesa comune fin quando non si avrà una politica estera comune. Questo, oggi, è il vero problema per l’Ue.


 


 

 

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