Ripensare
e rifondare la cittadinanza. È questo l’ambizioso
obiettivo che Enrica Rigo si propone di affrontare all’interno
di “Europa di confine. Trasformazioni della cittadinanza
nell’Unione allargata”. A questo tema, su
cui si è dibattuto a lungo negli anni, l’autrice
riesce ad apportare un contributo fondamentale, sia
in termini di analisi che in termini di teoria e riflessione
sullo scenario europeo attuale, contrassegnato dal complesso
fenomeno delle migrazioni. E tra i meriti che vanno
riconosciuti a questo lavoro, c’è soprattutto
la capacità da parte della studiosa di saper
proporre un punto di vista nuovo, altro: la cittadinanza
europea a partire dai suoi confini.
Il concetto di confine, segnatamente connesso a quello
di territorio, diventa per Rigo, e dunque per il lettore,
una sorta di filo rosso attraverso il quale si snoda
la questione stessa della cittadinanza “fino a
parlare di una cittadinanza dei confini”, come
ci avverte il filosofo Étienne Balibar nella
prefazione. A partire dall’analisi dell’allargamento
dell’Unione europea ai paesi dell’Est e
dei suoi effetti, per arrivare ad una riflessione delle
dottrine giuridiche classiche sull’appartenenza
ad un territorio.
Emerge così una realtà duplice, ambivalente
e contraddittoria. Da un lato quella di un’Europa
impantanata nella discussione sulla sua costituzione
formale con lo scopo di garantire il diritto al di sopra
degli stati nazionali, ma incapace di seguire un processo
lineare. Dall’altro c’è invece l’Europa
“reale”, sotto gli occhi di tutti, basata
su una continua espansione ad est e verso il sud, e
che produce una continua differenziazione al suo interno,
attraverso dispositivi di inclusione ed esclusione variabili
e, soprattutto dinamici. Ovvero quell’Europa,
insomma, che elevando “i nazionali dei paesi membri
alla condizione superiore di “cittadini europei”,
la regola fondante dell'Unione abbassa i non-cittadini
(in particolare i migranti residenti in modo stabile,
se non permanente, ma non «naturalizzati»)
alla condizione inferiore non di stranieri nel senso
classico, ma a residenti privi di diritti (in particolare,
ma non solo, dei diritti politici)”, come commenta
ancora Balibar.
L’autrice dunque riesce a porre al centro della
discussione una gamma di situazioni in conflitto e in
movimento,che sconfinano, appunto, in entrambi gli estremi.
Vale a dire che accanto a dei “semicittadini”
che vivono come residenti stabili e godono di diritti
di circolazione quasi identici a quelli dei “cittadini”,
“integrati” nella vita sociale europea,
esistono anche e soprattutto - provocazione per provocazione
- i “cittadini illegali”, sui quali Rigo
fa luce fin dalle prime pagine del suo libro. In questa
definizione rientrano i migranti falsamente clandestini,
ovvero quanti chiedono solo di riconoscere quello che
già sono, vivendo una realtà di continua
entrata e altrettanto uscita all'interno dei confini
dell'Europa, che attualizzano la «virtualità»
dei confini per il solo fatto di «passare»
e «attraversare».
Il “cittadino illegale”, rappresenta perciò
una figura emblematica dei paradossi europei, anche
perché l’essere regolare, irregolare, passibile
di espulsione, emarginato, integrato o perfino naturalizzato
non sono condizioni date una volta per tutte, ma di
frequente si rivelano come fasi di una stessa vita migrante.
Un’ultima considerazione sul testo di Enrica
Rigo non può che riguardare la frontiera comune
europea e perciò l’europeizzazione delle
frontiere nazionali, accompagnata da una penalizzazione
del “soggiorno illegale” che rappresenta
di per sé un riconoscimento, sebbene negativo
ma pur sempre un riconoscimento, della cittadinanza.
Insomma, occorre ricordare che punire il “cittadino
illegale”, con l’espulsione concepita come
una pena, implica necessariamente il riconoscimento
della sua cittadinanza.
Enrica Rigo,
Europa di confine.
Trasformazioni della
cittadinanza nell’Unione allargata,
Meltemi, pp.240, euro 19,50.
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