Se ne dubitava
parecchio, perfino nel suo proprio campo dove l’esitazione
aveva dato il via ad un ondeggiamento che stava assumendo
i contorni del panico. L’ora della verità
è venuta, però, l’11 febbraio Ségolène
è salita sul palco, ha dimostrato carattere,
forza interiore e, soprattutto, con il suo “patto
presidenziale”, una statura all’altezza
della funzione. La sinistra ha ritrovato la propria
candidata all’Eliseo, i socialisti si sono mobilitati
e ora, finalmente, la campagna ha inizio.
Finora, infatti, più che dialettica, la campagna
sembrava un monologo. Nicolas Sarkozy era sceso in pista
un mese prima di madame Royal e, con il suo discorso
pigliatutto, aveva dato l’impressione di dominare
il gioco, dettare il ritmo, imporre l’agenda.
Per un mese di fila e undici sondaggi consecutivi le
cose e i numeri gli hanno dato ragione e i media anche.
Invincibile, avanti a tutti, il suo consenso ha viaggiato
alto conquistando spazi sulla destra con la sua impronta
autoritaria (sicurezza, immigrazione), consolidando
il suo campo e permettendosi scorribande al centro e
a sinistra (difesa del lavoro, appropriazione dei padri
nobili del socialismo). La scena è stata tutta
la sua.
Dall’altra parte, a sinistra, Ségolène
ha taciuto e atteso. Ha ascoltato i francesi coi 6mila
“dibattiti partecipativi” e ha fissato il
suo pubblico pronunciamento per la metà di febbraio.
E ha tenuto duro, che l’apparato spingeva per
una replica immediata ad un Sarkò debordante,
pressava per avere in mano un’arma da brandire,
un programma da portare in giro per il paese e far valer
contro quello della destra.
Il suo tempo, madame Royal se lo determina da sola.
La risposta ai “cahiers d’espérance”,
annotazioni raccolte per la Francia, è un programma
che Ségò ha srotolato davanti ai suoi
sostenitori per due ore di fila. Discorso un po’
lungo, ma necessario per delineare una strategia complessa
per l’Eliseo che risponde a più d’un
blocco sociale, anche se la stampa e i socialisti hanno
appuntato il loro interesse sulle proposte “di
sinistra”.
In realtà il patto presidenziale della candidata,
declinato in 100 differenti proposte – quelle
di François Mitterrand nell’81 erano 110
– è un sapiente e più articolato
dosaggio di classico, moderno e personale.
La virata a gauche della Royal c’è
senz’altro stata, ma era prevedibile. I suoi sostenitori
se l’aspettavano e, soprattutto, è una
delle più tradizionali tattiche dei socialisti
francesi. Fu Mitterrand a codificare la “legge”
secondo cui per vincere le presidenziali in Francia
bisogna collocarsi a sinistra per unire prima il partito,
poi la sinistra intera e, infine, al secondo turno,
il Paese tutto. Cinque anni fa Lionel Jospin, dopo aver
serrato i ranghi del Ps dietro di sé, commise
l’errore di dire in pubblico che in fin dei conti
il suo programma “non era socialista” e
provocò la dispersione dei voti di sinistra sui
candidati trotzkisti che avevano approfittato dello
spazio concessogli.
Nel suo discorso però, Ségò è
andata oltre la lezione mitterrandiana e ha introdotto
anche non poche strizzate d’occhio alla “seconda
sinistra”, quella moderna appunto, più
socialdemocratica che fa riferimento all’ex candidato
alla candidatura Dominique Strauss Khan. Guardando anche
al di là del suo campo, verso il centro, la candidata
ha inquadrato il suo discorso con l’insostenibilità
del debito pubblico, ha spinto sul proprio pedale blairiano
criticando uno “Stato colbertista, giacobino,
centralizzato all’accesso” e chiamando la
gauche alla riconciliazione con l’impresa che
produce lavoro e ricchezza per tutti, con gli imprenditori
che investono e innovano.
Ségolène non ha rinunciato neanche a
se stessa e a questa sintesi ha aggiunto il suo personalissimo
tocco ribadendo i valori e le proposte che lo scorso
anno avevano rotto qualche tabù nel mondo socialista
e l’avevano trasformata all’improvviso nella
star dei sondaggi. Un linguaggio che evidentemente arriva
a tutti i francesi. Ségò ha innervato
il suo discorso con i valori della famiglia e dell’educazione,
ha parlato di scuola da riformare e di giovani da formare
attraverso la responsabilizzazione, ha indicato diritti
a cui sempre devono corrispondere doveri, ha riproposto
perfino il celebre “inquadramento militare”
in alternativa al carcere per i giovani delinquenti
e la giuria popolare per valutare l’operato della
politica. Infine, arma finale, la candidata ha messo
in avanti la propria implicita “differenza”
– con i politici tradizionali e Nicolas Sarkozy
in particolare – quando si è posta di fronte
ai francesi con spirito materno e ha affermato con forza
di “volere come madre, per tutti i bambini che
nascono e crescono in Francia, quello che ho voluto
per i miei propri figli”.
Dal discorso dell’11 le cose sono chiare: da
una parte, a sinistra, un discorso che privilegia solidarietà
e giustizia, dall’altra, a destra, un discorso
che privilegia libertà e merito individuali.
Sarkozy da oggi divide la scena con Ségolène.
La campagna inizia.
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