316 - 02.03.07


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Ségolène vs Sarkò:
che inizi la sfida

Luca Sebastiani


Se ne dubitava parecchio, perfino nel suo proprio campo dove l’esitazione aveva dato il via ad un ondeggiamento che stava assumendo i contorni del panico. L’ora della verità è venuta, però, l’11 febbraio Ségolène è salita sul palco, ha dimostrato carattere, forza interiore e, soprattutto, con il suo “patto presidenziale”, una statura all’altezza della funzione. La sinistra ha ritrovato la propria candidata all’Eliseo, i socialisti si sono mobilitati e ora, finalmente, la campagna ha inizio.

Finora, infatti, più che dialettica, la campagna sembrava un monologo. Nicolas Sarkozy era sceso in pista un mese prima di madame Royal e, con il suo discorso pigliatutto, aveva dato l’impressione di dominare il gioco, dettare il ritmo, imporre l’agenda. Per un mese di fila e undici sondaggi consecutivi le cose e i numeri gli hanno dato ragione e i media anche. Invincibile, avanti a tutti, il suo consenso ha viaggiato alto conquistando spazi sulla destra con la sua impronta autoritaria (sicurezza, immigrazione), consolidando il suo campo e permettendosi scorribande al centro e a sinistra (difesa del lavoro, appropriazione dei padri nobili del socialismo). La scena è stata tutta la sua.

Dall’altra parte, a sinistra, Ségolène ha taciuto e atteso. Ha ascoltato i francesi coi 6mila “dibattiti partecipativi” e ha fissato il suo pubblico pronunciamento per la metà di febbraio. E ha tenuto duro, che l’apparato spingeva per una replica immediata ad un Sarkò debordante, pressava per avere in mano un’arma da brandire, un programma da portare in giro per il paese e far valer contro quello della destra.

Il suo tempo, madame Royal se lo determina da sola. La risposta ai “cahiers d’espérance”, annotazioni raccolte per la Francia, è un programma che Ségò ha srotolato davanti ai suoi sostenitori per due ore di fila. Discorso un po’ lungo, ma necessario per delineare una strategia complessa per l’Eliseo che risponde a più d’un blocco sociale, anche se la stampa e i socialisti hanno appuntato il loro interesse sulle proposte “di sinistra”.

In realtà il patto presidenziale della candidata, declinato in 100 differenti proposte – quelle di François Mitterrand nell’81 erano 110 – è un sapiente e più articolato dosaggio di classico, moderno e personale.

La virata a gauche della Royal c’è senz’altro stata, ma era prevedibile. I suoi sostenitori se l’aspettavano e, soprattutto, è una delle più tradizionali tattiche dei socialisti francesi. Fu Mitterrand a codificare la “legge” secondo cui per vincere le presidenziali in Francia bisogna collocarsi a sinistra per unire prima il partito, poi la sinistra intera e, infine, al secondo turno, il Paese tutto. Cinque anni fa Lionel Jospin, dopo aver serrato i ranghi del Ps dietro di sé, commise l’errore di dire in pubblico che in fin dei conti il suo programma “non era socialista” e provocò la dispersione dei voti di sinistra sui candidati trotzkisti che avevano approfittato dello spazio concessogli.

Nel suo discorso però, Ségò è andata oltre la lezione mitterrandiana e ha introdotto anche non poche strizzate d’occhio alla “seconda sinistra”, quella moderna appunto, più socialdemocratica che fa riferimento all’ex candidato alla candidatura Dominique Strauss Khan. Guardando anche al di là del suo campo, verso il centro, la candidata ha inquadrato il suo discorso con l’insostenibilità del debito pubblico, ha spinto sul proprio pedale blairiano criticando uno “Stato colbertista, giacobino, centralizzato all’accesso” e chiamando la gauche alla riconciliazione con l’impresa che produce lavoro e ricchezza per tutti, con gli imprenditori che investono e innovano.

Ségolène non ha rinunciato neanche a se stessa e a questa sintesi ha aggiunto il suo personalissimo tocco ribadendo i valori e le proposte che lo scorso anno avevano rotto qualche tabù nel mondo socialista e l’avevano trasformata all’improvviso nella star dei sondaggi. Un linguaggio che evidentemente arriva a tutti i francesi. Ségò ha innervato il suo discorso con i valori della famiglia e dell’educazione, ha parlato di scuola da riformare e di giovani da formare attraverso la responsabilizzazione, ha indicato diritti a cui sempre devono corrispondere doveri, ha riproposto perfino il celebre “inquadramento militare” in alternativa al carcere per i giovani delinquenti e la giuria popolare per valutare l’operato della politica. Infine, arma finale, la candidata ha messo in avanti la propria implicita “differenza” – con i politici tradizionali e Nicolas Sarkozy in particolare – quando si è posta di fronte ai francesi con spirito materno e ha affermato con forza di “volere come madre, per tutti i bambini che nascono e crescono in Francia, quello che ho voluto per i miei propri figli”.

Dal discorso dell’11 le cose sono chiare: da una parte, a sinistra, un discorso che privilegia solidarietà e giustizia, dall’altra, a destra, un discorso che privilegia libertà e merito individuali. Sarkozy da oggi divide la scena con Ségolène. La campagna inizia.

 


 

 

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