315 - 16.02.07


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Serbia: fragili equilibri
e spettri del passato

Luca Sebastiani


Gli ultranazionalisti in testa, i democratici europeisti maggioritari ma divisi. Le elezioni serbe confermano l’incertezza che regnava nei mesi precedenti lo scrutinio di gennaio, incertezza che a sua volta è l’immagine di un paese confusamente alle prese con un passato che non passa e un presente che va troppo veloce, tra una Grande Serbia che non c’è più e un treno europeo da prendere il prima possibile.

Con una crisi socioeconomica importante e una disoccupazione che si aggira intorno al 31 per cento, certo i temi economici sono stati al centro della fin troppo lunga campagna elettorale. Su tutto però ha dominato, alla fine dei conti, il fattore K, la questione kosovara, che da qualche giorno l’inviato speciale dell’Onu per il Kosovo Martti Athisaari e il gruppo di contatto (Germania, Stati Uniti, Francia, Italia, Russia e Gran Bretagna) stanno discutendo anche alla luce dei risultati delle urne. Quale sarà il futuro statuto della provincia serba?

Non è questione da poco. In pochi anni i serbi hanno visto il loro Grande paese via via sgretolarsi fino allo smacco del referendum montenegrino che ha sancito la fine ufficiale della Jugoslavia e l’istituzione della Serbia come paese indipendente. Dopo aver accettato a denti stretti la secessione del Montenegro, una nuova Costituzione è stata approvata dai serbi, una Legge fondamentale che è anche un atto d’orgoglio nazionale e una sfida alla comunità internazionale. Recita il preambolo: “La provincia del Kosovo è parte integrante del territorio della Serbia, con un’autonomia sostanziale nel quadro dello stato sovrano di Serbia e dunque tutte le istituzioni dello Stato sono costituzionalmente obbligate a difendere gli interessi della Serbia in Kosovo”.

Tale è la portata del fattore K sulla vicenda politica serba. I democratici, per impedire che gli ultranazionalisti del Partito radicale (Srs) s’impossessassero del tema per far esplodere il proprio consenso e chissà cos’altro, avevano addirittura pensato d’anticipare le elezioni, inizialmente previste alla fine del 2007, ad una data che anticipasse la presentazione del piano delle Nazioni Unite sul destino del Kosovo.

La mossa tattica è servita a ben poco. “Nonostante avessimo contro i partiti del Primo ministro e del Presidente della Repubblica, abbiamo mostrato la nostra forza, abbiamo vinto come ci attendevamo anche se non avremo la possibilità di formare il governo”. Il presidente ad interim del Sds, Tomislav Nikolic, ha ragione, il suo partito ha una solida base nel paese, nonostante il presidente ufficiale dell’organizzazione, Vojislav Seselj, ex vice Primo ministro di Slobodan Milosevic, sia rinchiuso all’Aia nelle carceri del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia. Con il 28,7 per cento dei voti il Partito radicale si è confermato il primo gruppo politico dell’Assemblea nazionale. “Vedremo come si uniranno gli altri partiti”, ha aggiunto con tono di sfida Nikolic.

In effetti, “gli altri”, il Partito democratico (Ds) del presidente Boris Tadic - 22,9 per cento dei consensi - e il Partito democratico serbo (Dss) del Primo ministro uscente Vojislav Kustunica - 16,7 - per formare un governo dovranno accordarsi con altre formazioni minori come G17, 6,8 per cento, e il Partito liberal-democratico (Ldp), 5,3. Il punto non sta tanto qui. Fanno bene sia Tadic sia il ministro degli Esteri dell’Unione europea Javier Solana a felicitarsi che i due terzi dei seggi al parlamento serbo siano stati conquistati dai partiti pro europei. Probabilmente un governo che punterà all’Unione vedrà presto la luce. Il punto è che tutto rischia di rovinare sotto le decisioni sullo statuto del Kosovo e sul futuro delle trattative di adesione all’Ue interrotte il maggio scorso per mancanza di collaborazione tra il governo di Kustunica e il Tribunale penale internazionale dell’ex Jugoslavia.

Quella che si profila, dunque, è un sottile equilibrio politico che potrà mantenersi solo se le contraddizioni saranno gestite all’esterno, da una comunità internazionale a sua volta divisa tra sostenitori di un Kosovo serbo (Russia) e di un Kosovo indipendente (Stati Uniti), tra chi non vuole vincolare le trattative d’adesione alla collaborazione col Tpij (Italia – vedi posizioni di Prodi all’ultimo Consiglio europeo - Austria, Slovenia, Ungheria, Grecia) e chi, invece, vede nella consegna dei criminali di guerra un presupposto necessario a qualsiasi ipotesi di avanzamento. Tutto si giocherà sulla capacità a comporre insieme le due questioni.

 

 


 

 

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