Il giorno
dell’investitura, sul podio, di fronte ad ottantamila
persone venute per ascoltarlo, l’ha detto lui
stesso: “Sono cambiato perché l’elezione
presidenziale è una prova di verità cui
nessuno può sottrarsi”. E allora: qual
è la verità del candidato Nicolas Sarkozy
che da qualche giorno ricopre ufficialmente il ruolo
di challenger di Ségolène Royal
per l’ascensione al palazzo reale dell’Eliseo?
O meglio, meno naivement: qual è l’immagine
di verità che Sarko vuole dare ai francesi per
convincerli che lui, e non Sego, è quello migliore
per sedere sul trono che fu di De Gaulle o Mitterrand
ed è, ancora per poco, di Chirac?
Il discorso che ha pronunciato al culmine di un evento
non evento per delle primarie non primarie – era
il solo candidato alla candidatura dell’Ump, il
partito di maggioranza di cui è presidente e
padrone unico – è stato la dichiarazione
della sua strategia per la presa del palazzo. Un discorso
cui deve aver lavorato parecchio, fino all’ultimo
minuto, limando fino all’ultimo giro di frase,
scelta d’aggettivo, visto che il fine era di presentare
ai francesi non Sarkozy, bensì il suo doppio,
o meglio i suoi doppi.
Un uomo inedito ha parlato dalla tribuna, la cui unica
preoccupazione sembra essere stata quella di smentire
il se stesso di prima, quello che, secondo i sondaggi,
“inquieta” il 51 per cento dei francesi,
spaventa l’elettorato spingendo al massimo il
suo desiderio d’incarnare “la rottura”,
atterrisce con il suo discorso spesso al limite della
violenza, sgomenta per la sua iperattività. Occhei
il cambiamento, sembrano dire i francesi, ma nella continuità
delle certezze costruite negli anni d’oro del
modello sociale.
Sarkozy, l’ha detto più volte: alle ortiche
l’ideologia, quello che conta è l’azione,
il movimento, il pragmatismo. E allora niente di più
in linea con il sarkopensiero che mostrarsi altrimenti.
I gollisti puri dell’Ump, quelli del clan chiracchiano
insieme a parte dell’elettorato hanno paura di
spingere sul liberismo? Ecco allora una buona dose di
sociale. Nel suo discorso ai militanti e, al di là,
ai francesi, Sarkozy, in passato tacciato d’essere
nemico dei lavoratori e prossimo dell’elite dei
padroni, ha rimesso al centro il valore del lavoro “che
la sinistra ha abbandonato” e ha fustigato un
capitalismo immorale. Ai molti giovani che lo detestano
per il disprezzo che hanno sentito risuonare più
di una volta nelle sue parole ha promesso un’allocazione
di formazione di 300 al mese e la possibilità
di “accedere al prestito a tasso zero con la garanzia
dello Stato” per finanziare un progetto personale.
Eccolo allora il doppio di Sarko, meno liberale e più
sociale, meno autoritario e più ecumenico. Agli
ex nemici interni, quegli chirachiani che da poco lo
hanno raggiunto, ha promesso dal palco quelle contropartite
che probabilmente li avevano aiutati ad avvicinarsi:
ad Alain Juppé di occuparsi dell’ambiente,
a Michèlle Alliot-Marie di non toccare la Costituzione
concepita da De Gaulle. Anche per Chirac, che pur non
ha dichiarato la propria posizione, ci sono state parole
di riconoscenza, quando il candidato ha affermato che
il Presidente “ha fatto onore alla Francia quando
s’è opposto alla guerra in Iraq che era
un errore”. A quest’omaggio inatteso qualcuno
deve aver strabuzzato gli occhi: ma come? Proprio lui
che qualche settimana prima in visita a Washington aveva
denunciato “l’arroganza della diplomazia
francese” sulla vicenda irachena?
Qualcun altro, invece, al posto di stupirsi avrà
cominciato a leggere in quel gioco di specchi cui Sarko
si è librato con grande efficacia e a scoprirvi
un ritocco tattico d’immagine. Sin dall’inizio
quando, per cancellare quella sua figura d’uomo
cinico assetato di potere, ha esordito parlando “dei
sentimenti che ha nascosto per così tanto tempo”,
delle sconfitte che gli sono state inflitte nel corso
della carriera e di come queste gli abbiano insegnato
a non nascondere le debolezze, ad esser vero, così
come lui, adesso che è cambiato, vuole, la sua
“verità, darla ai francesi”.
Rifacendosi ai padri della Francia, Sarkozy non ha
tenuto fuori dai suoi riferimenti neanche i padri del
socialismo, Jaurès e Blum, ha citato e si è
appropriato di gente come Camus, Zola e Gambetta. Del
resto per vincere un’elezione presidenziale bisogna
rivolgersi a tutti i cittadini e cercar voti in tutti
i campi, dall’estrema destra al centro e a sinistra.
I primi gli servono per passare il primo turno, il 22
aprile, gli altri per trionfare al secondo, il 6 maggio.
“Sono cambiato”, ha ripetuto per dodici
volte il candidato, sottolineando di essere un altro
da quello che si crede, il doppio di Sarkozy. La cosa
che avrà spaventato la rivale Royal sarà
stata l’efficacia dell’argomentazione: all’uscita
dal congresso dell’Ump, infatti, non si aveva
l’impressione di aver assistito al discorso dell’uomo
forte della maggioranza che ha governato negli ultimi
cinque anni.
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