312 - 28.12.06


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La nuova democrazia
sarà internazionale

Altiero Spinelli


Da “Come ho tentato di diventare saggio” (Il Mulino), le parole con cui Altiero Spinelli racconta l’inizio del suo confino, scrive di un periodo ricco di riflessioni e di idee che vedevano nell’Europa Unita una necessità per la pace futura. Per gentile concessione dell’editore, proponiamo qui di seguito degli estratti.

Il luogo dell’elezione

“Nel mezzo del cammin di nostra vita” mi ritrovai a Ventotene, dove rimasi quattro anni, dal luglio del 1939 al 17 agosto 1943, dall’età di 32 a quella di 36 anni, dall’inizio della seconda guerra mondiale alla caduta del fascismo. Quegli anni in quell’isola sono ancor oggi presenti in me con la pienezza che hanno solo i momenti ed i luoghi nei quali si compie quella misteriosa cosa che i cristiani chiamano l’elezione. Le membra disjecta dei sentimenti, pensieri, speranze e disperazioni si ricomposero allora in un disegno nuovo, per me stesso sorprendente; la mia debolezza si convertì in forza; sentii che una consonanza straordinaria si andava formando fra quel che accadeva nel mondo e quel che accadeva in me; compresi che fino a quel momento ero stato simile a un feto in formazione, in attesa di esser partorito, che in quegli anni in quel luogo nacqui una seconda volta, che il mio destino fu allora segnato, che io assentii ad esso e che la mia vera vita, quella che sto ora portando a termine, cominciò. Con sublime poetica laconicità la Bibbia descrive questo fenomeno così: “Jahvè vide che si era avvicinato per vedere, e Dio lo chiamò dal mezzo del roveto e disse: “Mosè, Mosè!” Rispose: “Eccomi”“. Per questo motivo sono tornato più volte a Ventotene, quasi in pellegrinaggio, con Ursula e con amici federalisti, vecchi e giovani, e vagheggio che le ceneri mie e di Ursula siano portate a Ventotene e di lì sparse dal vento sull’isola e sul mare .

Se Ventotene ha lasciato in me un segno indelebile, anch’io l’ho a mia volta segnata. Il Manifesto di Ventotene ha reso il nome dell’isola, prima oscuro, noto in tutta Europa fra coloro che portano avanti o studiano il moto verso l’unità. Una lapide all’ingresso della casa comunale ricorda che di lì è partito il primo nostro appello ad agire per la federazione Europea; ed il Consiglio comunale mi ha iscritto sui suoi registri come cittadino onorario.
(…)


Il Manifesto di Ventotene

Nel tetro inverno ’40-’41, quando quasi tutta l’Europa continentale era stata soggiogata da Hitler, l’Italia di Mussolini ansimava al suo seguito, l’Urss stava digerendo il bottino che era riuscita ad afferrare, gli Stati Uniti erano ancora neutrali e l’Inghilterra sola resisteva, trasfigurandosi agli occhi di tutti i democratici d’Europa in loro patria ideale, proposi ad Ernesto Rossi di scrivere insieme un “manifesto per un’Europa libera ed unita”, e di immetterlo nei canali della clandestinità antifascista sul continente.
Sei mesi dopo, mentre gli eserciti hitleriani si riversavano sulle terre russe, passando ancora, come l’anno prima in Europa, di vittoria in vittoria, il Manifesto era pronto.

Del Manifesto io scrissi i capitoli che trattavano della crisi della civiltà europea, dell’unità europea come compito preminente del dopoguerra e del “partito rivoluzionario” necessario per realizzarla. Ernesto Rossi scrisse il capitolo sulla riforma della società da affrontare nel dopoguerra. Ma ne discutemmo insieme ogni paragrafo, e riconosco ancora giri di pensiero caratteristici dell’uno di noi due nelle parti scritte dall’altro.

Mi sono spesso chiesto cosa abbiamo apportato di originale nel Manifesto. Non dicevano cose nuove, né quando parlavamo della crisi della civiltà europea, né quando presentavamo l’idea della federazione. Altri l’avevano già fatto, certamente meglio di noi. Il Manifesto conteneva inoltre alcuni errori politici di non lieve portata.

Il primo era l’ottimismo di tutti coloro che lanciando una nuova idea credono sempre che essa sia di imminente realizzazione. Poiché però questo errore si ritrova dal Vangelo che credeva di essere impostato tutto sull’idea dell’imminente fine del mondo, al Manifesto del partito comunista che credeva di essere fondato anch’esso tutto sull’imminente rivoluzione socialista, si può considerare veniale l’errore identico del Manifesto federalista.

Più grave era il fatto che non avevamo in alcun modo previsto che gli europei, dopo la fine della guerra, non sarebbero rimasti più padroni di sé nella ricerca del loro avvenire, ma, avendo cessato di essere il centro del mondo, sarebbero stati pesantemente condizionati da poteri extraeuropei.

Tutta la parte finale che invocava la necessità di un partito rivoluzionario federalista si è anche rivelata caduca, perché l’esigenza, giusta, di una guida consapevole della necessità di guidare e non di seguire le masse ed i loro moti, era espressa ancora in termini troppo rozzamente leninisti.

Ciononostante, il Manifesto è stato ed è ancora un testo vivo e significativo per molti suoi lettori, soprattutto grazie a due idee politiche che gli erano proprie. La prima era che la federazione non era presentata come un bell’ideale, cui rendere omaggio per occuparsi poi d’altro, ma come un obiettivo per la cui realizzazione bisognava agire ora, nella nostra attuale generazione. Non si trattava di un invito a sognare, ma di un invito ad operare.
La seconda idea significativa consisteva nel dire che la lotta per l’unità europea avrebbe creato un nuovo spartiacque fra le correnti politiche, diverso da quello del passato.

La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari – si può leggere nel Manifesto – cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.




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