Colpi bassi,
attacchi diretti, parole rubate. Gli ultimi giorni della
campagna elettorale per le primarie del Partito socialista
francese si sono svolti in un clima abbastanza teso
se paragonati alla relativa tranquillità delle
settimane precedenti. Il risultato finale non era per
niente scontato e gli sfidanti, Laurent Fabius e Dominique
Strauss Kahn, puntavano ad erodere il consenso di Ségolène
Royal fin sotto la soglia critica del 50 per cento per
dimostrare la battibilità delle “Madonna
socialista” e provare ad invertire i rapporti
di forza al secondo turno.
Non ce n’è stato bisogno. L’impianto
tattico della strategia presidenziale dei due sfidanti
è crollato come un castello di carte di fronte
all’evidenza di un voto plebiscitario che i militanti
hanno tributato alla nuova Giovanna D’Arco di
Francia. Neanche la diffusione pirata di un video che
avrebbe potuto mettere i “professori” contro
Ségolène è riuscito a disarcionarla.
I militanti hanno votato per lei ancor più delle
attese e ora proverà l’assalto all’Eliseo.
L’elezione di madame Royal al ruolo ufficiale
di candidata socialista per le presidenziali dell’anno
prossimo è un fatto storico, lo si è detto
un po’ ovunque, giacché una donna per la
prima volta ha buone possibilità di accedere
a quella carica che finora è stata ricoperta
solo da uomini, padri della patria, uomini del destino
come Charles de Gaulle o François Mitterrand.
Ci sono però almeno un paio di dati ancor più
rilevanti nell’ascensione di Ségolène
alla candidatura Ps: la svolta del socialismo francese
e una vittoria della democrazia diretta su quella rappresentativa.
Attraverso la seconda Ségolène ha determinato
la prima e ora il quadro della politica francese ne
esce ridisegnato.
Le primarie del Ps non sono certo state una Bad Godesberg
alla francese, ma se al 61 per cento dei voti che hanno
investito Ségolène si sommano anche quelli,
il 20, 57 per cento, del socialdemocratico Dominique
Strauss Kahn, si ha la misura di una scelta precisa
dei militanti, una scelta in direzione di quella sinistra
sin qui minoritaria e che per questo veniva chiamata
seconda.
Marxisti all’opposizione e pragmatici all’esecutivo,
la contraddizione tra la retorica massimalista e la
realtà socialdemocratica dell’azione di
governo che ha fatto sin qui del Ps un’anomalia
del socialismo europeo è stata sciolta da una
donna che ai riferimenti dottrinari e alla retorica
à gauche toute ha fatto prevalere, pur nel suo
barocchismo a volte farraginoso, una voglia di riformismo
moderno e pragmatico.
Chi mai l’avrebbe detto che proprio lei, cresciuta
all’ombra di François Mitterrand, avrebbe
fatto prevalere la linea di Michel Rocard, il nemico
giurato del presidente monarca. Certo non si tratta
ancora di un aggiornamento della dottrina, per questo
bisognerà aspettare i congressi, non si tratta
neanche di una vittoria definitiva, per questo bisognerà
stare a guardare le capacità politiche della
donna del cambiamento, ma di sicuro si può dire
che un passo in avanti decisivo sia stato compiuto.
Per arrivarvi Ségolène ha dovuto prendere
il partito dal di fuori facendo appello all’opinione
prima ancora che all’apparato. Una vittoria che
corona la sua scelta tattica, ma soprattutto la sua
intuizione profonda: che nella crisi attuale della democrazia
in generale e di quella francese in particolare c’è
lo spazio per una politica che sia in grado di ricostruire
la fiducia e il legame tra rappresentati e rappresentanti.
Una politica di prossimità col territorio e il
cittadino, che sappia ascoltare e coinvolgere, una politica
che riattivi circuiti diretti di partecipazione.
Questa crisi si era già manifestata in mille
modi. Alle elezioni presidenziali del 2002 con il voto
di protesta di cui aveva beneficiato da una parte Jean
Marie Le Pen e dall’altra leninisti e trotzkisti
vari. Un anno e mezzo fa col “no” al referendum
sulla Costituzione europea quando i francesi contraddirono
i loro rappresentanti al parlamento che si erano schierati
all’80 per cento per il sì. Messaggi chiari,
manifestazioni di un rifiuto, segni di una democrazia
della sanzione che non si organizza più intorno
ad un progetto positivo.
In quello spazio aperto dalla crisi della democrazia
rappresentativa il pericolo di una deriva populista
è sempre presente, ma Ségolène
ha saputo ascoltare, interpretare e intervenire offrendo
una visione, un “desiderio d’avvenire”
(il nome del suo sito internet). Almeno finora. Da domani
si apre per lei una nuova fase in cui dovrà dimostrare
di saper strutturare quel desiderio in una strada praticabile
verso l’Eliseo.
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