311 - 08.12.06


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E vinse la Royal, contro il partito

Luca Sebastiani


Colpi bassi, attacchi diretti, parole rubate. Gli ultimi giorni della campagna elettorale per le primarie del Partito socialista francese si sono svolti in un clima abbastanza teso se paragonati alla relativa tranquillità delle settimane precedenti. Il risultato finale non era per niente scontato e gli sfidanti, Laurent Fabius e Dominique Strauss Kahn, puntavano ad erodere il consenso di Ségolène Royal fin sotto la soglia critica del 50 per cento per dimostrare la battibilità delle “Madonna socialista” e provare ad invertire i rapporti di forza al secondo turno.

Non ce n’è stato bisogno. L’impianto tattico della strategia presidenziale dei due sfidanti è crollato come un castello di carte di fronte all’evidenza di un voto plebiscitario che i militanti hanno tributato alla nuova Giovanna D’Arco di Francia. Neanche la diffusione pirata di un video che avrebbe potuto mettere i “professori” contro Ségolène è riuscito a disarcionarla. I militanti hanno votato per lei ancor più delle attese e ora proverà l’assalto all’Eliseo.

L’elezione di madame Royal al ruolo ufficiale di candidata socialista per le presidenziali dell’anno prossimo è un fatto storico, lo si è detto un po’ ovunque, giacché una donna per la prima volta ha buone possibilità di accedere a quella carica che finora è stata ricoperta solo da uomini, padri della patria, uomini del destino come Charles de Gaulle o François Mitterrand.

Ci sono però almeno un paio di dati ancor più rilevanti nell’ascensione di Ségolène alla candidatura Ps: la svolta del socialismo francese e una vittoria della democrazia diretta su quella rappresentativa. Attraverso la seconda Ségolène ha determinato la prima e ora il quadro della politica francese ne esce ridisegnato.

Le primarie del Ps non sono certo state una Bad Godesberg alla francese, ma se al 61 per cento dei voti che hanno investito Ségolène si sommano anche quelli, il 20, 57 per cento, del socialdemocratico Dominique Strauss Kahn, si ha la misura di una scelta precisa dei militanti, una scelta in direzione di quella sinistra sin qui minoritaria e che per questo veniva chiamata seconda.

Marxisti all’opposizione e pragmatici all’esecutivo, la contraddizione tra la retorica massimalista e la realtà socialdemocratica dell’azione di governo che ha fatto sin qui del Ps un’anomalia del socialismo europeo è stata sciolta da una donna che ai riferimenti dottrinari e alla retorica à gauche toute ha fatto prevalere, pur nel suo barocchismo a volte farraginoso, una voglia di riformismo moderno e pragmatico.

Chi mai l’avrebbe detto che proprio lei, cresciuta all’ombra di François Mitterrand, avrebbe fatto prevalere la linea di Michel Rocard, il nemico giurato del presidente monarca. Certo non si tratta ancora di un aggiornamento della dottrina, per questo bisognerà aspettare i congressi, non si tratta neanche di una vittoria definitiva, per questo bisognerà stare a guardare le capacità politiche della donna del cambiamento, ma di sicuro si può dire che un passo in avanti decisivo sia stato compiuto.

Per arrivarvi Ségolène ha dovuto prendere il partito dal di fuori facendo appello all’opinione prima ancora che all’apparato. Una vittoria che corona la sua scelta tattica, ma soprattutto la sua intuizione profonda: che nella crisi attuale della democrazia in generale e di quella francese in particolare c’è lo spazio per una politica che sia in grado di ricostruire la fiducia e il legame tra rappresentati e rappresentanti. Una politica di prossimità col territorio e il cittadino, che sappia ascoltare e coinvolgere, una politica che riattivi circuiti diretti di partecipazione.

Questa crisi si era già manifestata in mille modi. Alle elezioni presidenziali del 2002 con il voto di protesta di cui aveva beneficiato da una parte Jean Marie Le Pen e dall’altra leninisti e trotzkisti vari. Un anno e mezzo fa col “no” al referendum sulla Costituzione europea quando i francesi contraddirono i loro rappresentanti al parlamento che si erano schierati all’80 per cento per il sì. Messaggi chiari, manifestazioni di un rifiuto, segni di una democrazia della sanzione che non si organizza più intorno ad un progetto positivo.

In quello spazio aperto dalla crisi della democrazia rappresentativa il pericolo di una deriva populista è sempre presente, ma Ségolène ha saputo ascoltare, interpretare e intervenire offrendo una visione, un “desiderio d’avvenire” (il nome del suo sito internet). Almeno finora. Da domani si apre per lei una nuova fase in cui dovrà dimostrare di saper strutturare quel desiderio in una strada praticabile verso l’Eliseo.

 



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