Nessuno ci
avrebbe scommesso un soldo. Per essere presidente della
Repubblica in Francia bisogna infatti corrispondere
ad un certo profilo ideale, bisogna essere uomini del
destino in grado di incontrare il popolo nel momento
sacro del suffragio universale. Dominique Strauss-Khan
questo carisma da padre della patria non lo ha e non
lo ha mai avuto, ma ha tenuto duro, e alla fine, la
sera del primo dibattito dei candidati alle primarie
del Partito socialista per l’investitura alle
presidenziali era lì, tra Laurent Fabius e Ségolene
Royal, a spiegare ai militanti che dovranno decidere
la sua visione politica.
“Sono candidato perché infine, nel nostro
Paese, si mettano in opera le soluzioni di una socialdemocrazia
moderna. L’obiettivo è il sociale, il metodo
la democrazia”. Tra un Laurent, politicamente
posizionato a sinistra, e una Ségolène,
concentrata sui valori e un certo pragmatismo regionalista,
Dsk, come lo chiamano i francesi, ha scelto di sostenere
una posizione marcatamente socialdemocratica, di incarnare
una sinistra moderna e radicalmente riformista.
Una posizione del resto in linea con la sua storia
personale, con la sua azione politica, con l’immagine
che già tutti nel partito hanno di lui. Certo
in molti, soprattutto nella frangia massimalista del
Ps, lo ritengono il rappresentante di una certa deriva
liberista, ma tutti sono unanimi nel riconoscergli una
grande capacità tecnica nel dominio economico
e a considerarlo la vera riserva d’idee del socialismo
francese.
Economista di formazione, materia che per qualche tempo
ha anche insegnato, entra in politica legandosi a Lionel
Jospin che ne sarà il mentore fino a tempi recenti,
fino a quando l’ambizione presidenziale dei due
s’incrocerà e il padre sarà costretto
a lasciare il posto a quello che fino al giorno prima
era stato il figlioccio politico. Le sue prime esperienze
politiche Dsk le muove all’ombra della segreteria
del Ps di Jospin all’inizio degli anni Ottanta,
ma è solo nel ’91 che dà la prima
vera prova di sé quando il presidente François
Mitterrand lo nomina ministro delegato all’Industria
e al Commercio estero. Gli ambienti economico finanziari
imparano ad apprezzarlo ma gli esecutivi di Edith Cresson
e di Pierre Bérégovoy durano poco e anche
Dsk, finiti quelli con la vittoria della destra alle
elezioni del ‘93, lascia le responsabilità
ministeriali.
Il vero anno della svolta per lui è il 1997
quando la sinistra vince le elezioni politiche, Jospin
forma l’esecutivo di coabitazione con Jacques
Chirac e gli affida il ruolo chiave di ministro dell’Economia.
Stauss-Kahn impone il suo marchio all’orientamento
del governo e, da europeista convinto della grande opportunità
che l’Unione costituisce in un orizzonte mondializzato,
costringe Jospin alla scelta risoluta dell’euro
e del patto di stabilità. Riduce il deficit,
coglie una delle crescite più importanti della
recente storia francese e crea occupazione. Riformista
radicale, apre il capitale pubblico di Telecom France
e Gaz de France e si attira quel marchio liberista che
gli riuscirà difficile scrollarsi di dosso. Implicato
in un inchiesta si dimette nel 1999 per non compromettere
l’immagine del governo e dovrà attendere
il 2001 per vedersi completamente assolto.
Dopo la sconfitta alle presidenziali del 2002, quando
Jospin esce di scena, Dsk comincia a pensare alla prospettiva
dell’Eliseo e a correggere la sua immagine troppo
a destra condendo il suo discorso con parole e soluzioni
più a gauche. Poi, una volta costruitasi
quell’identità chiaramente socialdemocratica
che secondo i suoi piani gli avrebbe permesso di essere
sostenuto dalla segreteria del Ps di François
Hollande, accade l’inatteso: esplode il fenomeno
Ségolène e Dsk viene scavalcato a destra
niente meno che da colei che, nel pieno dello scandalo
che lo aveva travolto, riferendosi alle presunte malversazioni,
aveva dichiarato che “la politica si fa per servirla,
non per servirsene”.
Ma Strauss Kahn è un uomo determinato e non
si è fatto spaventare da quella che considera
solo una “populista”. Per poterla sfidare
alle primarie è addirittura entrato in rotta
di collisione con Jospin, il quale, tornato dal suo
pensionamento politico per provare a presentarsi alle
primarie in funzione anti Ségolène, non
aveva avuto il minimo dubbio che il fido figlioccio
si sarebbe fatto da parte per aprirgli la strada. Invece
Dsk ha risposto picche e ha rotto con il padre politico.
Ora il rischio più grosso che corre Dsk è
quello di rimanere intrappolato in un’immagine
di uomo capace ma non carismatico, in uno schema, che
ha già cominciato a circolare, secondo cui Ségolène,
popolare e dotata di carisma, dovrebbe andare all’Eliseo,
mentre Strauss-Kahn, competente ma non troppo popolare,
alla guida del governo.
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