L’origine
di tutto è stata una frase che il giovane premier
ungherese Ferenc Gyurcsány ha rivolto ai suoi
ministri nel segreto di una riunione di gabinetto: “Per
quattro anni non abbiamo fatto altro che mentire”.
La diffusione pirata di questa osservazione, a metà
settembre, ha scatenato le violente proteste dell’opposizione,
che ha sfruttato il cinquantenario della rivolta del
1956 per paragonare il regime di allora al governo di
oggi. Un accostamento che per alcuni non è fuori
luogo, e non solo perché il partito socialista
di governo è in parte erede del vecchio partito
filosovietico, ma anche perché nel 1956 un quotidiano
ungherese usò un’espressione pressoché
identica per descrivere l’atteggiamento del regime
comunista: “Mentire giorno e notte”. Poche
settimane fa, sul prestigioso International Herald Tribune
(la versione europea del giornale realizzata da New
York Times e Washington), è stato lo studioso
László Csaba a segnalarlo. “E’
stato lo stile arrogante di Gyurcsány a ricordare
ai manifestanti il regime del ’56, è sua
la colpa di questo pasticcio – ci dice oggi Csaba,
che insegna economia e studi europei alla Central European
University di Budapest (dove è collega dell’ex
commissario europeo Péter Balazs) – La
commemorazione del ’56 è stata la dimostrazione
che l’Ungheria ha ancora una memoria divisa, che
sono ben tre le memorie di quella data storica”.
Csaba ci descrive un paese che deve ancora sconfiggere
la vecchia corruzione e le nuove inquietudini, ma che
è ormai un paese normale, pienamente integrato
nella realtà europea, con la destra vicina alle
posizioni del centrodestra tedesco e la sinistra che
guarda al New Labour di Blair.
La commemorazione del cinquantenario della
rivolta del 1956 è stata trasformata dall’opposizione
in una protesta contro il governo del socialista Ferenc
Gyurcsany. Si è trattato di un semplice pretesto,
oppure in qualche modo lo stile del premier ha effettivamente
ricordato lo stile dei governanti filosovietici del
’56?
Credo che siano vere entrambe le cose. Il fatto è
che, inavvertitamente, il primo ministro Gyurcsány
ha utilizzato un’espressione che era stata usata
anche per descrivere il regime comunista, e proprio
nel 1956. “Mentire giorno e notte” è
la stessa frase che usò allora il quotidiano
Szabad Nep per riferirsi ai propri leader. E’
stato lo stile di Gyurcsány a ricordare ai manifestanti
il regime del ’56, è sua la colpa.
Gli scontri in piazza nel giorno più
importante della storia ungherese dimostrano che il
paese ha una memoria divisa?
Assolutamente sì, in questo caso abbiamo avuto
addirittura tre differenti memorie. Quella del governo,
che ha cercato di trascurare ogni differenza nella ricostruzione
storica. Quella del maggiore partito dell’opposizione,
secondo cui le differenze ci sono e sono ancora evidenti.
Quella, infine, della destra radicale, che non accetta
compromessi e che ha cercato di sfruttare l’evento
per scatenare le violenze. Una situazione complessa
che ricorda in qualche modo quella del 1956 stesso,
quando si fronteggiavano i comunisti riformisti, i radicali
e il blocco moderato. Dunque c’è più
di un’analogia con quell’anno cruciale.
Tuttavia mi pare interessante osservare che i manifestanti
di oggi non hanno nulla da dire a proposito dell’economia,
del pacchetto sull’austerità e delle riforme.
Orban ovviamente ne ha parlato, perché è
un politico, ma i manifestanti chiedono solo le dimissioni
di Gyurcsany.
Che tipo di destra è quella dell’ex
premier Viktor Orban?
Direi che ormai hanno saputo legittimarsi come una
formazione del centrodestra, come parte del Partito
popolare europeo. Certo a volte usano un linguaggio
populista, ma quand’erano al governo non hanno
fatto mai nulla di estremista. Hanno elaborato e votato
il trattato di adesione all’Ue, hanno partecipato
all’intervento umanitario nella ex Jugoslavia,
sono entrati nella Nato.
La dipinge come una destra rispettabile…
Sono simili alla Csu tedesca. Ho ascoltato con attenzione
l’ultimo discorso di Orban, per vedere se si stia
spostando verso l’estrema destra, ma mi pare che
invece sia stato molto attento a evitare ogni commistione.
Anche l’iniziativa del referendum sulle riforme
mostra una volontà di ridare centralità
al parlamento. Solo Orban poteva avanzare una proposta
simile, e penso che sia estremamente importante in questo
momento che si voglia riportare la battaglia politica
in parlamento.
E che tipo di sinistra è il partito
socialista del premier Gyurcsány? La destra li
accusa di essere gli eredi dei comunisti, ma intanto
sono europeisti e decisamente favorevoli al libero mercato.
Anche loro sono una realtà vasta, complessa,
con varie posizioni al loro interno. La maggioranza
è favorevole al mercato, è vero. E Gyurcsany,
in particolare, è uno che vuole ricostruire la
sinistra modellandola sull’esempio di Toni Blair
e del New Labour. Quanto lontano andrà nell’attuazione
pratica di questo progetto non so, anche perché
la corrente filosindacale è ancora forte. Ma
è importante dire che questi sono i suoi obiettivi.
Cosa rappresenta oggi l’Unione europea
per i cittadini e per i politici ungheresi?
Rappresenta una realtà con cui è impossibile
non fare i conti. Qualunque cosa si faccia la si fa
in un quadro europeo, confrontandosi con le politiche
dei propri vicini. L’Europa è al realtà
dell’Ungheria di oggi: magari non suscita più
gli entusiasmi di una volta, ma non abbiamo nemmeno
delle forze politiche euroscettiche che mettono in dubbio
la membership europea.
Come spiega la diffusione di forti movimenti
di estrema destra nell’Europa dell’Est?
In ogni paese c’è una ragione diversa.
Alle ultime elezioni amministrative ungheresi, che sono
state devastanti per la sinistra, il partito comunista
ha avuto lo 0,6% e tutti i movimenti dell’estrema
destra hanno raggiunto insieme solo l’1,4%, mentre
il partito ultranazionalista “Vita e giustizia”
(Miep) non è più rappresentato nel municipio
di Budapest. Dunque le ali estreme hanno ottenuto soltanto
il 2% alle ultime elezioni, ed è un risultato
piuttosto unico per l’Europa intera, non solo
per l’Europa dell’Est.
Come è cambiato il paese negli ultimi
anni, quanto a performance economica e a livelli di
corruzione? E’ un paese che viaggia verso la normalità?
Direi di sì. Ovviamente la corruzione esiste.
Abbiamo avuto un grande scandalo che ha coinvolto il
nostro governo e quello austriaco, ma non si tratta
di situazioni ignote a tanti altri paesi dell’Unione
europea. Tutto quello che sta succedendo non avrà
grandi conseguenze sul mercato, finché ci sarà
il programma di convergenza gli investitori non smetteranno
di credere nell’Ungheria. Nonostante le proteste
della piazza.
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