Un esempio
da valorizzare, un errore da scongiurare, un’occasione
da sfruttare. Per Umberto Ranieri, presidente della
Commissione Affari Esteri della Camera, nel negoziato
tra Turchia e Unione Europea c’è tutto
questo.
L’esempio sta nel dimostrare al mondo intero quanto
i valori della democrazia e dell’Islam siano in
grado di convivere, di integrarsi e di coesistere; l’errore,
al contrario, sarebbe quello di dissolvere quanto di
buono si è costruito fino ad oggi, e correre
il rischio pericolosissimo che la Turchia smetta di
guardare ad occidente per volgere il proprio sguardo
a realtà scarsamente o per niente democratiche;
l’occasione, infine, nelle parole di Ranieri ha
due facce: una che guarda al mondo intero - e sta nella
possibilità che l’Unione ha di continuare
ad essere motore di espansione della democrazia e del
suo rafforzamento - l’altra invece guarda al cuore
dell’Unione, ai centri istituzionali che dall’entrata
di Ankara possono trarre la spinta per riformare e consolidare
i meccanismi decisionali, a partire dalla Costituzione.
“È vero che l’atteggiamento dell’opinione
pubblica turca verso l’Ue – dice Ranieri
– si è raffreddato; anche se rimane una
forte porzione di consenso all’adesione, sia l’Unione
Europea sia la classe dirigente turca devono riflettere
su questo calo di fiducia”, facendo bene attenzione
a non far maturare l’erronea visione che accomuna
questo negoziato a “un traguardo irraggiungibile”.
Presidente, in che cosa dovrebbero consistere
le riflessioni dell’Ue e del governo di Ankara
su questo calo di popolarità dell’Unione
tra l’opinione pubblica turca?
È probabile che una parte dell’opinione
pubblica turca veda l’Europa come una specie di
meta che richiede una continua, estenuante corsa a ostacoli,
e così forse l’Ue è percepita come
un soggetto che avanza richieste di riforme e cambiamenti
tali da far sembrare che la Turchia non sia mai nelle
condizioni sufficienti per raggiungere la necessaria
fiducia europea.
Il negoziato è destinato a essere inevitabilmente
lungo perché ci sono riforme che Ankara deve
ancora portare a compimento e che richiedono un arco
temporale ampio. Bisogna procedere con pazienza e senza
lasciarsi scoraggiare dalla complessità e dalla
lunghezza del percorso.
Da una parte, quindi, la classe dirigente turca deve
avere consapevolezza che il negoziato è un processo
di lunga durata, dall’altra parte l’Unione
deve esigere cambiamenti e riforme, ma allo stesso tempo
deve mostrare la maggiore disponibilità affinché
il negoziato proceda e si realizzino le condizioni per
l’ingresso della Turchia.
Il negoziato presenta diverse difficoltà,
tra cui una di carattere politico: la Turchia diventerebbe
il secondo paese più popoloso dell’Unione
(dopo la Germania) quindi, in un meccanismo decisionale
che prevede la maggioranza ponderata,
Ankara giocherebbe un ruolo di grande rilievo in eventuali
votazioni future.
Che peso ha questo aspetto nel processo di adesione?
Nessuno sottovaluta la complessità dell’impresa
e non può non esserci consapevolezza del fatto
che la Turchia è un grande paese, anche dal punto
di vista demografico.
Il problema esiste ma non è irrisolvibile, soprattutto
se affrontato con gradualità e con uno sforzo
comune da entrambe le parti.
L’Europa ha grande interesse nel portare avanti
il processo di integrazione della Turchia, un grande
paese a maggioranza musulmana che fa propri principi
e standard della vita democratica, dal rispetto dei
diritti e alle regole del mercato.
Lasciare allontanare la Turchia dall’Unione sarebbe
un errore che pagheremmo a caro prezzo.
È chiaro, però, che l’Ue deve anche
affrontare esigenze di riforma, rafforzamento e riorganizzazione
dei propri meccanismi decisionali; è un problema
che si è posto da tempo e che si rafforza con
le domande poste dall’allargamento. Non vogliamo
che l’Unione si risolva solo in un più
ampio mercato, in un’area più ampia di
libero scambio, vogliamo che l’Unione resti un
soggetto politico e istituzionale con una efficace capacità
di decisione, con una propria politica estera e di sicurezza,
con una politica economica. Tutto questo richiede riforme
e comporta, anche, che il processo di costituzionalizzazione
dell’Ue vada avanti.
Emma Bonino, ministro delle politiche europee,
ha auspicato una pronta accelerazione nei negoziati:
“Vogliamo agganciare la Turchia alle istituzioni
europee – ha detto il ministro – oppure
vogliamo che si avvicini ai paesi arabi?”. Come
giudica questa affermazione?
Condivido la preoccupazione del ministro Bonino: se
il processo di graduale avvicinamento della Turchia
all’Ue si bloccasse, le conseguenze sarebbero
gravi, forse rovinose. Se non riuscissimo a portare
a termine questo progetto, sarebbe molto più
difficile promuovere idee di convivenza civile tra assetti
democratici e paesi a maggioranza mussulmana. Noi scommettiamo
sul fatto che non esista alcuna incompatibilità
assoluta tra la democrazia e il mondo musulmano, crediamo
invece che esistano delle condizioni per cui il mondo
musulmano e la democrazia si incontrino dando vita a
realtà politiche caratterizzate dal rispetto
pieno dei diritti umani, delle libertà religiose
e di pensiero.
Se non riuscissimo a coinvolgere la Turchia nel processo
di integrazione nell’Unione Europea, tutto diventerebbe
molto più difficile.
L’Unione Europea, e la prospettiva di
farvi parte, rimangono quindi un acceleratore di riforme
democratiche, un solido invito alla democrazia?
L’Ue non è soltanto un edificio economico
e commerciale, ma è soprattutto una potenza civile
portatrice di principi di libertà e democrazia;
il rispetto di questi principi è la condizione
per farne parte, per questo l’Unione Europea ha
assolto a un compito di rafforzamento ed estensione
delle istanze democratiche. È avvenuto per i
paesi dell’Europa centro orientale, speriamo possa
avvenire anche per i Balcani occidentali. Certamente
l’incontro positivo con la Turchia costituirà
un contributo ulteriore al rafforzamento della democrazia
sulla base del dialogo tra realtà storico-religiose
diverse.
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