“In
Europa e in Turchia si sta formando quella che io chiamo
‘la coalizione dei non-volenterosi’ per
impedire l’ingresso di Ankara nell’Ue”.
Cengiz Aktar, professore di Studi europei all’Università
Bahcesehir di Istanbul e columnist del Turkish Daily
News, ammette che la Turchia deve fare ancora dei
passi in avanti prima di poter entrare in Europa, ma
ricorda come “nessun candidato fosse pronto all’inizio
dei negoziati”: “Se viene oscurata la via
europea della Turchia, allora temo che le cose andranno
nel verso peggiore, e la Turchia potrebbe perdersi”.
Così, nonostante sia un turco euroentusiasta
(e per questo appare spesso su importanti media internazionali,
dalla Cnn alla Bbc, dal Guardian a Der Spiegel),
ha parole dure verso l’Europa: “Ha deluso
la Turchia – ci dice da Istanbul Aktar, che è
anche autore del libro Lettres aux turco-sceptiques
– Nemmeno l’Italia si sta muovendo. I politici
europei dovrebbero avere più visione, e non guardare
i dettagli dell’attualità, perché
l’ingresso di Ankara è nell’interesse
di tutti”.
Il parlamento francese medita di punire per
legge chi nega il genocidio armeno. La Germania sembra
sempre più turcoscettica: ora persino un importante
esponente della sinistra, come il capogruppo del Pse
Martin Schulz, ammette che le difficoltà esistono,
su tutte il riconoscimento di Cipro da parte di Ankara.
Professor Aktar, non è un gran momento per il
processo di adesione della Turchia all’Ue…
Purtroppo sì. La Turchia è il candidato
più particolare, tra tutti i paesi che stanno
entrando o sono da poco entrati nell’Ue. E’
l’unico paese la cui europeicità e la cui
possibile adesione sono messe sistematicamente e duramente
alla prova, ed è un candidato a cui non stanno
assolutamente arrivando gli incentivi dell’Unione
Europea: non ha ancora una data per l’ingresso,
e riceve solo un sesto dei pre-accession funds
che sono stati assicurati agli altri candidati. Quando
guardiamo al punto di vista europeo, vediamo che il
processo di adesione della Turchia non riveste alcuna
importanza agli occhi di molti stati e anche di alcune
istituzioni, come il Parlamento di Strasburgo. Dal punta
di vista turco, il governo ha perso ogni interesse dopo
il 17 dicembre 2004, quando l’Ue riconobbe ad
Ankara lo status di candidato. Da allora il processo
di avvicinamento ha rallentato bruscamente.
Per quale motivo, secondo lei?
Per diverse ragioni, ma la più importante è
certo la presenza di quella che io chiamo la “coalition
of the unwilling”, la coalizione dei non volenterosi
che agisce da entrambe le parti. In Europa è
rappresentata dai cristiano-democratici del Nord, ovvero
in Germania, Francia e Austria, anche se il Cancelliere
tedesco Angela Merkel ha una posizione possibilista.
In Turchia, invece, sono i nazionalisti a remare contro.
I due schieramenti, ovviamente, non si consultano, ma
fatto sta che lavorano nella stessa direzione: far fallire
i negoziati.
Diversi stati dell’Ue lamentano che la
Turchia ha rallentato le riforme. Secondo lei questa
è la ragione principale dello scetticismo europeo,
o è solo una scusa?
Certamente la Turchia non è perfetta, non soddisfa
ancora tutti i criteri richiesti dall’adesione.
Ma quale paese era in regola all’inizio dei negoziati?
La cosa importante è mantenere aperta e ben visibile
davanti alla Turchia la prospettiva dell’ingresso,
perché essa possa orientarsi con fiducia e raggiungere
l’obiettivo anche in 15-20 anni. L’Europa
sta deludendo la Turchia. Se viene oscurata la via europea
di Ankara, allora temo che le cose andranno nel verso
peggiore, e la Turchia potrebbe perdersi. Il processo
delle riforme potrebbe andare certamente meglio, ma
se escludiamo 3-4 stati e la commissione europea nessuno
sta incoraggiando Ankara. Dalla parte della Turchia
ci sono solo la Svezia, l’Olanda, la Gran Bretagna
e fondazioni tedesche come la Konrad Adenauer Stiftung.
Chi altro?
Anche l’Italia è favorevole.
No, purtroppo, l’Italia non è molto attiva
in questo momento. Non sto dicendo che non sostenga
l’ingresso della Turchia, ma non sta sostenendo
attivamente l’adesione all’interno della
Turchia stessa. La Svezia è ovunque, per spiegare
cosa è l’Europa e quali sono i valori dell’Ue.
L’Italia sostiene la Turchia, ma soprattutto a
parole.
Qual è l’ostacolo maggiore al
momento?
Non ce ne è uno in particolare.
Però alcuni giorni fa il generale Yasar
Buyukanit ha detto che il fondamentalismo islamico è
una minaccia sempre più concreta per la Turchia.
E’ così?
La Turchia ha problemi come li hanno tanti altri paesi,
e comunque non spetta a un generale dell’esercito
sottolineare queste questioni. Spetta alla società
civile, alla società in generale.
Possiamo dire che la differenza religiosa rimane
un ostacolo alla reciproca comprensione tra Europa e
Turchia, come dimostrano le dure reazioni ufficiali
seguite al discorso di papa Benedetto XVI a Regensburg?
Non solo dopo il discorso del Papa, ma anche dopo la
questione delle vignette danesi i vertici turchi hanno
rilasciato dichiarazioni sproporzionate. Detto ciò,
tuttavia, la citazione di Manuele il Paleologo da parte
del Papa è stata molto sfortunata. Manuele il
Paleologo spese la sua intera vita, i suoi 75 anni,
a chiedere l’aiuto della Chiesa di Roma nei confronti
della Chiesa d’Oriente. Non ricevette mai l’aiuto
di Roma, ed è ironico che un successore di quella
Chiesa rivendichi oggi l’eredità di Manuele
il Paleologo.
Cosa dovrebbero fare le due parti, Turchia
e Ue, per venirsi incontro?
Io credo che l’adesione turca non sia per domani.
Si tratta di una prospettiva che è nell’interesse
di tutti, è una win-win situation per
tutti: per la Turchia, per l’Europa, per la regione
in cui si trova la Turchia. E anche per il mondo, se
posso aggiungere. Perché il messaggio che si
manda al mondo è che l’Europa sa gestire
la sua pluralità, che i valori locali dei singoli
paesi possono ritrovarsi senza problemi sotto l’ombrello
dei valori comuni dell’Ue. I politici europei
dovrebbero avere più visione, dovrebbero guardare
il grande quadro generale più che concentrarsi
sui dettagli dell’attualità politica.
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