308 - 26.10.06


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Avanza la Coalizione
dei non-volenterosi

Cengiz Aktar con
Daniele Castellani Perelli


“In Europa e in Turchia si sta formando quella che io chiamo ‘la coalizione dei non-volenterosi’ per impedire l’ingresso di Ankara nell’Ue”. Cengiz Aktar, professore di Studi europei all’Università Bahcesehir di Istanbul e columnist del Turkish Daily News, ammette che la Turchia deve fare ancora dei passi in avanti prima di poter entrare in Europa, ma ricorda come “nessun candidato fosse pronto all’inizio dei negoziati”: “Se viene oscurata la via europea della Turchia, allora temo che le cose andranno nel verso peggiore, e la Turchia potrebbe perdersi”. Così, nonostante sia un turco euroentusiasta (e per questo appare spesso su importanti media internazionali, dalla Cnn alla Bbc, dal Guardian a Der Spiegel), ha parole dure verso l’Europa: “Ha deluso la Turchia – ci dice da Istanbul Aktar, che è anche autore del libro Lettres aux turco-sceptiques – Nemmeno l’Italia si sta muovendo. I politici europei dovrebbero avere più visione, e non guardare i dettagli dell’attualità, perché l’ingresso di Ankara è nell’interesse di tutti”.

Il parlamento francese medita di punire per legge chi nega il genocidio armeno. La Germania sembra sempre più turcoscettica: ora persino un importante esponente della sinistra, come il capogruppo del Pse Martin Schulz, ammette che le difficoltà esistono, su tutte il riconoscimento di Cipro da parte di Ankara. Professor Aktar, non è un gran momento per il processo di adesione della Turchia all’Ue…

Purtroppo sì. La Turchia è il candidato più particolare, tra tutti i paesi che stanno entrando o sono da poco entrati nell’Ue. E’ l’unico paese la cui europeicità e la cui possibile adesione sono messe sistematicamente e duramente alla prova, ed è un candidato a cui non stanno assolutamente arrivando gli incentivi dell’Unione Europea: non ha ancora una data per l’ingresso, e riceve solo un sesto dei pre-accession funds che sono stati assicurati agli altri candidati. Quando guardiamo al punto di vista europeo, vediamo che il processo di adesione della Turchia non riveste alcuna importanza agli occhi di molti stati e anche di alcune istituzioni, come il Parlamento di Strasburgo. Dal punta di vista turco, il governo ha perso ogni interesse dopo il 17 dicembre 2004, quando l’Ue riconobbe ad Ankara lo status di candidato. Da allora il processo di avvicinamento ha rallentato bruscamente.

Per quale motivo, secondo lei?

Per diverse ragioni, ma la più importante è certo la presenza di quella che io chiamo la “coalition of the unwilling”, la coalizione dei non volenterosi che agisce da entrambe le parti. In Europa è rappresentata dai cristiano-democratici del Nord, ovvero in Germania, Francia e Austria, anche se il Cancelliere tedesco Angela Merkel ha una posizione possibilista. In Turchia, invece, sono i nazionalisti a remare contro. I due schieramenti, ovviamente, non si consultano, ma fatto sta che lavorano nella stessa direzione: far fallire i negoziati.

Diversi stati dell’Ue lamentano che la Turchia ha rallentato le riforme. Secondo lei questa è la ragione principale dello scetticismo europeo, o è solo una scusa?

Certamente la Turchia non è perfetta, non soddisfa ancora tutti i criteri richiesti dall’adesione. Ma quale paese era in regola all’inizio dei negoziati? La cosa importante è mantenere aperta e ben visibile davanti alla Turchia la prospettiva dell’ingresso, perché essa possa orientarsi con fiducia e raggiungere l’obiettivo anche in 15-20 anni. L’Europa sta deludendo la Turchia. Se viene oscurata la via europea di Ankara, allora temo che le cose andranno nel verso peggiore, e la Turchia potrebbe perdersi. Il processo delle riforme potrebbe andare certamente meglio, ma se escludiamo 3-4 stati e la commissione europea nessuno sta incoraggiando Ankara. Dalla parte della Turchia ci sono solo la Svezia, l’Olanda, la Gran Bretagna e fondazioni tedesche come la Konrad Adenauer Stiftung. Chi altro?

Anche l’Italia è favorevole.

No, purtroppo, l’Italia non è molto attiva in questo momento. Non sto dicendo che non sostenga l’ingresso della Turchia, ma non sta sostenendo attivamente l’adesione all’interno della Turchia stessa. La Svezia è ovunque, per spiegare cosa è l’Europa e quali sono i valori dell’Ue. L’Italia sostiene la Turchia, ma soprattutto a parole.

Qual è l’ostacolo maggiore al momento?

Non ce ne è uno in particolare.

Però alcuni giorni fa il generale Yasar Buyukanit ha detto che il fondamentalismo islamico è una minaccia sempre più concreta per la Turchia. E’ così?

La Turchia ha problemi come li hanno tanti altri paesi, e comunque non spetta a un generale dell’esercito sottolineare queste questioni. Spetta alla società civile, alla società in generale.

Possiamo dire che la differenza religiosa rimane un ostacolo alla reciproca comprensione tra Europa e Turchia, come dimostrano le dure reazioni ufficiali seguite al discorso di papa Benedetto XVI a Regensburg?

Non solo dopo il discorso del Papa, ma anche dopo la questione delle vignette danesi i vertici turchi hanno rilasciato dichiarazioni sproporzionate. Detto ciò, tuttavia, la citazione di Manuele il Paleologo da parte del Papa è stata molto sfortunata. Manuele il Paleologo spese la sua intera vita, i suoi 75 anni, a chiedere l’aiuto della Chiesa di Roma nei confronti della Chiesa d’Oriente. Non ricevette mai l’aiuto di Roma, ed è ironico che un successore di quella Chiesa rivendichi oggi l’eredità di Manuele il Paleologo.

Cosa dovrebbero fare le due parti, Turchia e Ue, per venirsi incontro?

Io credo che l’adesione turca non sia per domani. Si tratta di una prospettiva che è nell’interesse di tutti, è una win-win situation per tutti: per la Turchia, per l’Europa, per la regione in cui si trova la Turchia. E anche per il mondo, se posso aggiungere. Perché il messaggio che si manda al mondo è che l’Europa sa gestire la sua pluralità, che i valori locali dei singoli paesi possono ritrovarsi senza problemi sotto l’ombrello dei valori comuni dell’Ue. I politici europei dovrebbero avere più visione, dovrebbero guardare il grande quadro generale più che concentrarsi sui dettagli dell’attualità politica.

 



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