Dopo cinquant’anni esatti la violenza torna
nelle piazze d’Ungheria. Ma se nel ’56
fu una vera e propria rivoluzione che si ribellava
all’ordine sovietico e che fu repressa nel sangue,
oggi le proteste vanno contro il governo di Budapest,
colpevole di una gestione economico finanziaria accusata
di impoverire il paese e di avvolgere la politica
nella maggioranza nella corruzione e nell’opportunismo.
Per rispettare i parametri di Maastricth , il governo
socialista di Ferenc Gyurcsany ha imposto una serie
di misure liberiste per porre rimedio al deficit economico,
zavorra da alleggerire per la conversione in euro
della propria moneta, creando però il malcontento
degli ungheresi molti dei quali vivono con salari
bassissimi.
Il malcontento generale seguito alla approvazione
della legge finanziaria, tutta lacrime e sangue, varata
dal governo si è trasformato in manifestazioni
popolari che hanno causato disordini e feriti.
La scintilla che ha acceso i tumulti è stata
la rivelazione di un discorso a porte chiuse pronunciato
dal primo ministro di fronte all’assemblea del
partito. Qui il leader socialista ammetteva di aver
mentito, durante la campagna elettorale di aprile,
alla popolazione sulle reali condizioni del paese,
trascurando la grave crisi economica in cui versa
lo stato.
La registrazione clandestina trasmessa alla radio
ha scatenato l’ira della popolazione: migliaia
di dimostranti si sono recati nella famosa piazza
Kossuth tér tristemente famosa dopo i fatti
del’56. Le manifestazioni di questi giorni hanno
avuto la regia di David Kovacs leader del partito
di estrema Jobbik (il Movimento per un'Ungheria
migliore) il quale, la sera del 18, ha esortato la
gente a riunirsi di fronte all'edificio dell'Mtv,
la televisione di stato, per la lettura di un proclama
in cui si chiedevano le dimissioni del primo ministro.
Non avendo Kovacs ottenuto il permesso di leggere
il documento in diretta tv, la situazione è
degenerata. La testa dei manifestanti, guidata da
estremisti di destra e da hooligans locali, ha scatenato
una rivolta tentando di impadronirsi della stazione
televisiva. Sono seguiti scontri con le forze dell’ordine
durati fino all’alba, che hanno causato decine
di feriti.
All’azione dei diversi attivisti e simpatizzanti
della destra radicale, secondo i quotidiani ungheresi,
non è mancato il contributo della destra borghese
che siede al parlamento riunita nel Fidesz,
il principale partito dell'opposizione. Il cui leader,
Viktor Orban, invita da tempo la gente a ribellarsi
a questo governo illegittimo e colpevole, nelle parole
dello stesso leader, di impoverire il paese.
La piazza e l'opposizione chiedono le dimissioni
di Gyurcsany, riconoscendo in lui la causa del malcontento
generale. Il premier però, visto il sostegno
dei socialisti e dei liberal-democratici, l'altra
forza di governo, non intende cedere e ha chiesto
alla polizia un atteggiamento severo e risoluto nei
confronti dei dimostranti violenti e di coloro che
manifestano senza autorizzazione. Governo e opposizione
comunque, visto il clima rovente e le minacce dinamitarde
di questi giorni hanno firmato un documento congiunto
che condanna la violenza e si sono impegnati per risolvere
in modo democratico e pacifico la delicata situazione
che si è venuta a creare.
Gli scontri così sono diminuiti, anche in
vista delle elezioni amministrative del 1 ottobre,
e la scena è tornata alla piazza, vero motore
del malcontento generale. Oltre infatti ai facinorosi
di estrema destra larghe fasce di popolazione protestano
contro la politica economica e sociale del governo
socialista.
Libera da ogni strumentalizzazione politica, la protesta
fa parte di un più ampio disagio che investe
quasi tutti i paesi dell’Europa dell’est,
entrati nell’Unione. Le drastiche misure adottate
dai vari governi per abbassare il debito pubblico
e uniformarsi ai parametri europei cozzano contro
le reali condizioni dei paesi post comunisti.
In Ungheria ad esempio, il tracollo dell’Unione
sovietica ha visto nascere una nuova democrazia, ma
la velocità di questa trasformazione non ha
ancora garantito al Paese stabilità per i nuovi
assetti politici ed economici.
Una classe politica che eredita numerosi nomi dall’esperienza
sovietica ha garantito continuità per oltre
un decennio, ma ha messo anche in evidenza la necessità
di alternative che mancano. Così, da una parte
le coalizioni di centro-sinistra che hanno radicato
il loro potere nelle istituzioni, dall’altra
parte la destra xenofoba e nazionalista che non offre
alternative valide, sono i fattori trainanti di una
situazione che vede il paese ostaggio della corruzione
e del debito pubblico, ormai arrivato al limite.
La nuova finanziaria serve appunto a riguadagnare
il terreno perso rispetto all’Unione, tralasciando
però i costi sociali delle riforme. Questo
l’eterno dilemma dei nuovi entrati nel club
Europa: libero mercato, privatizzazioni deregulation
godono dell’attenzione principale, mentre i
temi sociali sono condannati all’attesa. Intanto
la popolazione si agita e il malcontento può
essere un veicolo feroce che può essere condotto
da chiunque sia abbastanza abile e scaltro da mettersi
alla guida.
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