307 - 12.10.06


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Budapest, in piena crisi
esplode il malcontento
Mario Sorano

Dopo cinquant’anni esatti la violenza torna nelle piazze d’Ungheria. Ma se nel ’56 fu una vera e propria rivoluzione che si ribellava all’ordine sovietico e che fu repressa nel sangue, oggi le proteste vanno contro il governo di Budapest, colpevole di una gestione economico finanziaria accusata di impoverire il paese e di avvolgere la politica nella maggioranza nella corruzione e nell’opportunismo.

Per rispettare i parametri di Maastricth , il governo socialista di Ferenc Gyurcsany ha imposto una serie di misure liberiste per porre rimedio al deficit economico, zavorra da alleggerire per la conversione in euro della propria moneta, creando però il malcontento degli ungheresi molti dei quali vivono con salari bassissimi.

Il malcontento generale seguito alla approvazione della legge finanziaria, tutta lacrime e sangue, varata dal governo si è trasformato in manifestazioni popolari che hanno causato disordini e feriti.
La scintilla che ha acceso i tumulti è stata la rivelazione di un discorso a porte chiuse pronunciato dal primo ministro di fronte all’assemblea del partito. Qui il leader socialista ammetteva di aver mentito, durante la campagna elettorale di aprile, alla popolazione sulle reali condizioni del paese, trascurando la grave crisi economica in cui versa lo stato.
La registrazione clandestina trasmessa alla radio ha scatenato l’ira della popolazione: migliaia di dimostranti si sono recati nella famosa piazza Kossuth tér tristemente famosa dopo i fatti del’56. Le manifestazioni di questi giorni hanno avuto la regia di David Kovacs leader del partito di estrema Jobbik (il Movimento per un'Ungheria migliore) il quale, la sera del 18, ha esortato la gente a riunirsi di fronte all'edificio dell'Mtv, la televisione di stato, per la lettura di un proclama in cui si chiedevano le dimissioni del primo ministro.

Non avendo Kovacs ottenuto il permesso di leggere il documento in diretta tv, la situazione è degenerata. La testa dei manifestanti, guidata da estremisti di destra e da hooligans locali, ha scatenato una rivolta tentando di impadronirsi della stazione televisiva. Sono seguiti scontri con le forze dell’ordine durati fino all’alba, che hanno causato decine di feriti.
All’azione dei diversi attivisti e simpatizzanti della destra radicale, secondo i quotidiani ungheresi, non è mancato il contributo della destra borghese che siede al parlamento riunita nel Fidesz, il principale partito dell'opposizione. Il cui leader, Viktor Orban, invita da tempo la gente a ribellarsi a questo governo illegittimo e colpevole, nelle parole dello stesso leader, di impoverire il paese.

La piazza e l'opposizione chiedono le dimissioni di Gyurcsany, riconoscendo in lui la causa del malcontento generale. Il premier però, visto il sostegno dei socialisti e dei liberal-democratici, l'altra forza di governo, non intende cedere e ha chiesto alla polizia un atteggiamento severo e risoluto nei confronti dei dimostranti violenti e di coloro che manifestano senza autorizzazione. Governo e opposizione comunque, visto il clima rovente e le minacce dinamitarde di questi giorni hanno firmato un documento congiunto che condanna la violenza e si sono impegnati per risolvere in modo democratico e pacifico la delicata situazione che si è venuta a creare.

Gli scontri così sono diminuiti, anche in vista delle elezioni amministrative del 1 ottobre, e la scena è tornata alla piazza, vero motore del malcontento generale. Oltre infatti ai facinorosi di estrema destra larghe fasce di popolazione protestano contro la politica economica e sociale del governo socialista.
Libera da ogni strumentalizzazione politica, la protesta fa parte di un più ampio disagio che investe quasi tutti i paesi dell’Europa dell’est, entrati nell’Unione. Le drastiche misure adottate dai vari governi per abbassare il debito pubblico e uniformarsi ai parametri europei cozzano contro le reali condizioni dei paesi post comunisti.

In Ungheria ad esempio, il tracollo dell’Unione sovietica ha visto nascere una nuova democrazia, ma la velocità di questa trasformazione non ha ancora garantito al Paese stabilità per i nuovi assetti politici ed economici.
Una classe politica che eredita numerosi nomi dall’esperienza sovietica ha garantito continuità per oltre un decennio, ma ha messo anche in evidenza la necessità di alternative che mancano. Così, da una parte le coalizioni di centro-sinistra che hanno radicato il loro potere nelle istituzioni, dall’altra parte la destra xenofoba e nazionalista che non offre alternative valide, sono i fattori trainanti di una situazione che vede il paese ostaggio della corruzione e del debito pubblico, ormai arrivato al limite.
La nuova finanziaria serve appunto a riguadagnare il terreno perso rispetto all’Unione, tralasciando però i costi sociali delle riforme. Questo l’eterno dilemma dei nuovi entrati nel club Europa: libero mercato, privatizzazioni deregulation godono dell’attenzione principale, mentre i temi sociali sono condannati all’attesa. Intanto la popolazione si agita e il malcontento può essere un veicolo feroce che può essere condotto da chiunque sia abbastanza abile e scaltro da mettersi alla guida.


 

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