307 - 12.10.06


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La novità si chiama
Madame Royal
Luca Sebastiani

Ségolène ha detto questo, Ségolène ha fatto quello. Da dieci mesi a questa parte una cosa è indubitabile: madame Royal si è piazzata al centro della politica francese, nel mezzo del dibattito. Non c’è tema di confronto che non ispiri o disputa nella quale non intervenga con posizioni dirompenti. In molti fanno ancora fatica ad accettarlo, ma è Ségolène Royal che detta l’agenda, nel paese come nel partito.

L’anno scorso la regina dei sondaggi era ancora una personalità di secondo piano ai piani alti della segreteria del Partito socialista. Certo aveva iniziato presto la sua carriera politica e in posizione di tutto rispetto come consigliera presso la segreteria generale dell’Eliseo, alle dipendenze dirette niente meno che di François Mitterrand, il monarca della sinistra francese.

Poi il suo percorso prese una piega abbastanza convenzionale. Un collegio a Deux-Sevres, un agglomerato di cantoni rurali ad Ovest della Francia, e qualche incarico governativo senza particolare prestigio, nel ’92 come ministro dell’Ambiente nel breve governo di Pierre Bérégovoy e nella compagine guidata da Lionel Jospin prima una delega all’Insegnamento e poi una, sempre senza portafoglio, alla Famiglia.

Nell’ultimo governo socialista una certa visibilità Ségolène l’aveva pur avuta nella battaglia per la difesa delle Zone d’educazione prioritaria (Zep) e quando sostenne a spada tratta la distribuzione della pillola del giorno dopo negli istituti scolastici. Notorietà episodica che a ben guardare però, mettevano già in rilievo la tenacia della donna e l’individuazione di valori come la famiglia e l’educazione come terreno privilegiato d’azione politica.

Ma è alle regionali del 2004 che Ségolène comincia a farsi veramente largo quando, portata anche dal successo generale del Ps, conquista la presidenza della Poitou-Charentes contro il presidente uscente e allora primo Ministro Jean-Pierre Raffarin.

Fin qui niente di particolare e il dibattito socialista vede protagoniste altre persone, spesso uomini, come il compagno stesso della Royal, François Hollande, segretario e grande tessitore dell’unità di un partito sempre spaccato tra riformisti e radicali; o come Laurent Fabius, vecchio animale politico, primo ministro sotto Mitterrand, ritornato sul proscenio quando ricollocandosi a sinistra guidò il no interno al Trattato costituzionale europeo contro la posizione ufficiale del partito. O ancora: Dominique Strauss-Khan, grande tecnico, uomo d’idee ed ex-ministro dell’Economia, Jack Lang, celebre ex-ministro della Cultura e uomo popolare tra gli elettori, Martin Aubry, numero due del governo Jospin e donna delle trentacinque ore.

Tutte personalità di grande esperienza al livello più alto delle istituzioni repubblicane e di governo, tutti, soprattutto, “elefanti” del partito, cioè dotati di una longevità tale nella vita d’apparato da conoscerne i segreti. Tutti, per finire, presidenziabili, cioè tutti in condizione da poter aspirare all’investitura del partito per conquistare la presidenza della Repubblica, chiave di volta della polita francese.

E in effetti erano tutti lì a brigare, a disegnare strategie e armeggiare tattiche ardite, a manovrare le proprie truppe, ad accreditarsi per l’elezione sovrana. A far mischia intorno a quell’unico posto per cui tutti si sentono all’altezza e si ritengono i migliori.

Tutto questo fino a quando il fenomeno Ségolène non è arrivato all’inizio dell’anno a sparigliare le carte in gioco. Ma gli “elefanti”, si sa, sono mammiferi talmente lenti ed impacciati da essere entrati nella lingua proverbiale. La novità Royal non l’hanno capita subito e forse ancora adesso stentano a comprendere.

Quando i primi sondaggi d’opinione cominciarono a collocare la compagna del segretario ai vertici del gradimento popolare, le reazioni nella cerchia dei candidabili furono di dileggio machista e arroganza politica. Di un fatto erano tutti certi: la signora Royal non ha idee, non ha esperienza, non ha la statura e il vuoto che la sua immagine cela verrà presto svelato facendo sgonfiare il fenomeno mediatico.

I conti erano evidentemente sbagliati perché non tenevano conto delle attese dei francesi, attese, se vogliamo, già ampiamente manifeste dopo il voto che nel 2002 portò al secondo turno delle presidenziali il razzista Jean-Marie Le Pen, o dopo il no alla Costituzione europea. Insomma, la politica in Francia soffre di un discredito generalizzato e i francesi non credono che possa rispondere al loro bisogno di sicurezza e ripari da una mondializzazione che trita lo status quo e le sue certezze economiche e sociali.

Tratta dalla penombra direttamente dai sondaggi, probabilmente Ségolène Royal ha analizzato la base della sua popolarità e ci ha costruito sopra la sua immagine di “donna” al di fuori delle logiche di potere degli “uomini” di partito e di paladina dei valori tradizionali, della famiglia, della sicurezza. E se il popolo l’aveva chiamata direttamente, allora era a lui che direttamente doveva parlare. Con i media.

Con un sito internet, www.desirdavenir.org, nella cui home page un azzurro cielo rassicurante che ricorda quello di un altro partito di “plastica” come Forza Italia, accoglie i cittadini-navigatori in qualità di “esperti legittimi” e li invita a partecipare all’elaborazione del programma di Ségolène. Con un’onnipresenza sui media nazionali con dichiarazioni che rompono i tabù della sinistra e si fanno carico dei desideri inconfessabili dei cittadini, “ordine giusto” e “sicurezza durabile”. Senza dimenticare la famiglia, la tradizione e, ovviamente, i temi della sinistra con la difesa del sociale e del lavoro.

Da più parti si è strillato al populismo, alla democrazia virtuale che sbriciola lo spazio pubblico assicurato dagli organismi collettivi intermedi, all’opportunismo e al pericolo. Ségolène ha tenuto la rotta e ogni volta che qualcuno l’ha criticata, lei ha guardato diritto avanti a sé non replicando e consolidando il suo consenso. Il confronto politico è fatto per i politici, la Royal preferisce smarcarsi e parlare ai cittadini di valori e di una democrazia da rifondare dando loro la parola.

Otto mesi fa aveva iniziato praticamente da sola, oggi la regina dei sondaggi può contare su oltre quattrocento comitati locali del suo sito Desir d’avenir in cui hanno cominciato a trasmigrare sia i quadri territoriali del partito, sia i militanti socialisti che, con l’80%, formano il corpo duro del segolenismo militante. Di questi molti sono nuovi aderenti che hanno preso la tessera del partito attirati dal carisma della presidentessa di Poitou-Charentes e dalla possibilità di contribuire a novembre alla sua “elezione” alla candidatura durante le primarie interne del Ps, mentre altri sono vecchi militanti che vedono in Ségolène e il suo consenso popolare la chance di battere il candidato della destra Nicolas Sarkozy.

Certo i giochi non sono ancora chiusi al Partito socialista. Lionel Jospin è tornato dal suo pensionamento politico per sbarrare la strada alla donna più amata dai francesi e si possono immaginare durante la campagna per le primarie interne alleanze o addirittura candidature unitarie da opporre a quella di Royal.

Il popolo francese sembra però aver scelto, e nell’immaginario collettivo saranno Ségolène Royal e Nicolas Sarkozy, la prossima primavera, a contendersi al secondo turno la presidenza della Repubblica. Del resto i due sono speculari. Entrambi in rottura con gli apparati tradizionali, uno con quello gollista l’altra con quello socialista. Entrambi paladini di una nuova politica, uno di destra l’altra di sinistra. Entrambe, in fine, sapienti manipolatori della mediosfera pubblica.

 

 

 

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