Ségolène ha detto questo, Ségolène
ha fatto quello. Da dieci mesi a questa parte una
cosa è indubitabile: madame Royal
si è piazzata al centro della politica francese,
nel mezzo del dibattito. Non c’è tema
di confronto che non ispiri o disputa nella quale
non intervenga con posizioni dirompenti. In molti
fanno ancora fatica ad accettarlo, ma è Ségolène
Royal che detta l’agenda, nel paese come nel
partito.
L’anno scorso la regina dei sondaggi era ancora
una personalità di secondo piano ai piani alti
della segreteria del Partito socialista. Certo aveva
iniziato presto la sua carriera politica e in posizione
di tutto rispetto come consigliera presso la segreteria
generale dell’Eliseo, alle dipendenze dirette
niente meno che di François Mitterrand, il
monarca della sinistra francese.
Poi il suo percorso prese una piega abbastanza convenzionale.
Un collegio a Deux-Sevres, un agglomerato di cantoni
rurali ad Ovest della Francia, e qualche incarico
governativo senza particolare prestigio, nel ’92
come ministro dell’Ambiente nel breve governo
di Pierre Bérégovoy e nella compagine
guidata da Lionel Jospin prima una delega all’Insegnamento
e poi una, sempre senza portafoglio, alla Famiglia.
Nell’ultimo governo socialista una certa visibilità
Ségolène l’aveva pur avuta nella
battaglia per la difesa delle Zone d’educazione
prioritaria (Zep) e quando sostenne a spada tratta
la distribuzione della pillola del giorno dopo negli
istituti scolastici. Notorietà episodica che
a ben guardare però, mettevano già in
rilievo la tenacia della donna e l’individuazione
di valori come la famiglia e l’educazione come
terreno privilegiato d’azione politica.
Ma è alle regionali del 2004 che Ségolène
comincia a farsi veramente largo quando, portata anche
dal successo generale del Ps, conquista la presidenza
della Poitou-Charentes contro il presidente uscente
e allora primo Ministro Jean-Pierre Raffarin.
Fin qui niente di particolare e il dibattito socialista
vede protagoniste altre persone, spesso uomini, come
il compagno stesso della Royal, François Hollande,
segretario e grande tessitore dell’unità
di un partito sempre spaccato tra riformisti e radicali;
o come Laurent Fabius, vecchio animale politico, primo
ministro sotto Mitterrand, ritornato sul proscenio
quando ricollocandosi a sinistra guidò il no
interno al Trattato costituzionale europeo contro
la posizione ufficiale del partito. O ancora: Dominique
Strauss-Khan, grande tecnico, uomo d’idee ed
ex-ministro dell’Economia, Jack Lang, celebre
ex-ministro della Cultura e uomo popolare tra gli
elettori, Martin Aubry, numero due del governo Jospin
e donna delle trentacinque ore.
Tutte personalità di grande esperienza al
livello più alto delle istituzioni repubblicane
e di governo, tutti, soprattutto, “elefanti”
del partito, cioè dotati di una longevità
tale nella vita d’apparato da conoscerne i segreti.
Tutti, per finire, presidenziabili, cioè tutti
in condizione da poter aspirare all’investitura
del partito per conquistare la presidenza della Repubblica,
chiave di volta della polita francese.
E in effetti erano tutti lì a brigare, a disegnare
strategie e armeggiare tattiche ardite, a manovrare
le proprie truppe, ad accreditarsi per l’elezione
sovrana. A far mischia intorno a quell’unico
posto per cui tutti si sentono all’altezza e
si ritengono i migliori.
Tutto questo fino a quando il fenomeno Ségolène
non è arrivato all’inizio dell’anno
a sparigliare le carte in gioco. Ma gli “elefanti”,
si sa, sono mammiferi talmente lenti ed impacciati
da essere entrati nella lingua proverbiale. La novità
Royal non l’hanno capita subito e forse ancora
adesso stentano a comprendere.
Quando i primi sondaggi d’opinione cominciarono
a collocare la compagna del segretario ai vertici
del gradimento popolare, le reazioni nella cerchia
dei candidabili furono di dileggio machista e arroganza
politica. Di un fatto erano tutti certi: la signora
Royal non ha idee, non ha esperienza, non ha la statura
e il vuoto che la sua immagine cela verrà presto
svelato facendo sgonfiare il fenomeno mediatico.
I conti erano evidentemente sbagliati perché
non tenevano conto delle attese dei francesi, attese,
se vogliamo, già ampiamente manifeste dopo
il voto che nel 2002 portò al secondo turno
delle presidenziali il razzista Jean-Marie Le Pen,
o dopo il no alla Costituzione europea. Insomma, la
politica in Francia soffre di un discredito generalizzato
e i francesi non credono che possa rispondere al loro
bisogno di sicurezza e ripari da una mondializzazione
che trita lo status quo e le sue certezze economiche
e sociali.
Tratta dalla penombra direttamente dai sondaggi,
probabilmente Ségolène Royal ha analizzato
la base della sua popolarità e ci ha costruito
sopra la sua immagine di “donna” al di
fuori delle logiche di potere degli “uomini”
di partito e di paladina dei valori tradizionali,
della famiglia, della sicurezza. E se il popolo l’aveva
chiamata direttamente, allora era a lui che direttamente
doveva parlare. Con i media.
Con un sito internet, www.desirdavenir.org,
nella cui home page un azzurro cielo rassicurante
che ricorda quello di un altro partito di “plastica”
come Forza Italia, accoglie i cittadini-navigatori
in qualità di “esperti legittimi”
e li invita a partecipare all’elaborazione del
programma di Ségolène. Con un’onnipresenza
sui media nazionali con dichiarazioni che rompono
i tabù della sinistra e si fanno carico dei
desideri inconfessabili dei cittadini, “ordine
giusto” e “sicurezza durabile”.
Senza dimenticare la famiglia, la tradizione e, ovviamente,
i temi della sinistra con la difesa del sociale e
del lavoro.
Da più parti si è strillato al populismo,
alla democrazia virtuale che sbriciola lo spazio pubblico
assicurato dagli organismi collettivi intermedi, all’opportunismo
e al pericolo. Ségolène ha tenuto la
rotta e ogni volta che qualcuno l’ha criticata,
lei ha guardato diritto avanti a sé non replicando
e consolidando il suo consenso. Il confronto politico
è fatto per i politici, la Royal preferisce
smarcarsi e parlare ai cittadini di valori e di una
democrazia da rifondare dando loro la parola.
Otto mesi fa aveva iniziato praticamente da sola,
oggi la regina dei sondaggi può contare su
oltre quattrocento comitati locali del suo sito Desir
d’avenir in cui hanno cominciato a trasmigrare
sia i quadri territoriali del partito, sia i militanti
socialisti che, con l’80%, formano il corpo
duro del segolenismo militante. Di questi molti sono
nuovi aderenti che hanno preso la tessera del partito
attirati dal carisma della presidentessa di Poitou-Charentes
e dalla possibilità di contribuire a novembre
alla sua “elezione” alla candidatura durante
le primarie interne del Ps, mentre altri sono vecchi
militanti che vedono in Ségolène e il
suo consenso popolare la chance di battere il candidato
della destra Nicolas Sarkozy.
Certo i giochi non sono ancora chiusi al Partito
socialista. Lionel Jospin è tornato dal suo
pensionamento politico per sbarrare la strada alla
donna più amata dai francesi e si possono immaginare
durante la campagna per le primarie interne alleanze
o addirittura candidature unitarie da opporre a quella
di Royal.
Il popolo francese sembra però aver scelto,
e nell’immaginario collettivo saranno Ségolène
Royal e Nicolas Sarkozy, la prossima primavera, a
contendersi al secondo turno la presidenza della Repubblica.
Del resto i due sono speculari. Entrambi in rottura
con gli apparati tradizionali, uno con quello gollista
l’altra con quello socialista. Entrambi paladini
di una nuova politica, uno di destra l’altra
di sinistra. Entrambe, in fine, sapienti manipolatori
della mediosfera pubblica.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it