E’ vero che, con l’Europa, ci vuole
pazienza. Ma questa pazienza dev’essere attiva,
fondarsi sull’azione e non sull’attesa.
Nel suo ultimo libro Europa. Una pazienza attiva
il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa
fa il punto sulla costruzione europea, ne indaga i
limiti e le prospettive e lancia un appello affinché
il grande sogno di un’Europa unita non muoia
sotto i colpi di quello che, a suo parere, è
il grande male del continente: la malinconia.
Molte questioni vengono affrontate nel libro. La maggior
parte sono note e però utilissime a chi voglia
orientarsi nel dibattito attuale sull’Europa,
come quando vengono descritti i 5 modelli di Europa,
dal vecchio concerto delle nazioni al superstato federale,
e come quando si fa una piccola storia dell’europeismo
nostrano, con l’omaggio a Altiero Spinelli.
L’argomento della malinconia è però
probabilmente il più curioso e quello che più
coglie nel segno: “Non credo che l’Europa
sia oggi malinconica perché in crisi –
scrive l’ex membro dell’esecutivo della
Bce e editorialista del Corriere della Sera –
Credo che essa sia in crisi perché la nostra
società è malinconica”.
Il male tipicamente novecentesco dell’Ue rischia
di segnarne le capacità competitive in campo
economico e culturale, soprattutto se pensiamo al
confronto con il dinamismo americano e con l’aggressività
orientale. Tuttavia, per l’autore, “nella
malinconia vi sono anche il desiderio di perfezione
e la tensione verso l’alto cui si può
attingere per realizzare un grande disegno. Vale per
l’economia, vale per la politica”. L’Europa
ha in sé la forza per ripartire, nonostante
la scarsa crescita del Pil e lo stallo del progetto
di Costituzione. Come farà l’Europa a
uscire dalla malinconia? “Guardando in alto
dentro se stessa”. Il che implica che anzitutto
bisogna sgombrare il campo dai falsi miti (perché,
ad esempio, “la Regione Lombardia o il Comune
di Monaco hanno più dipendenti della Commissione
di Bruxelles”), che si deve trovare una vera
leadership, e che bisogna dare all’Europa quel
che è dell’Europa: ha la più alta
qualità della vita, una più rigorosa
protezione della privacy, una più stringente
tutela dell’ambiente, un grado di solidarietà
sociale più elevato e tanto altro ancora.
Nei momenti più ispirati, il libro vale come
un manifesto per un nuovo europeismo italiano, come
quando invita tutti a “adottare l’Europa
quale punto di riferimento tanto nella vita lavorativa,
quale che sia il mestiere specifico che si svolge,
quanto come cittadini italiani, quale sia la personale
preferenza politica”. Un nuovo europeismo italiano,
e un nuovo ottimismo europeista, che liberi il continente
dai sintomi della malinconia (“Sfiducia, inazione,
perdita d’interesse per il mondo esterno, ripiegamento
su se stessi, scarsa opinione di sé”),
perché, come diceva Roosevelt all’America
della Grande Depressione, “la sola cosa che
dobbiamo temere è la paura stessa”.
Vale la pena soffermarsi però su una frase
del libro, scritta a proposito del fallimento dei
referendum francese e olandese: “L’esperienza
storica dovrebbe avere insegnato a tutti che la folla
ragiona poco, cambia facilmente idea e talvolta sragiona”.
In questi toni da euroburocrate (ci si perdoni il
termine) si
scorge il pregio del politically uncorrect,
ma anche il limite di un europeismo dall’alto
che non fa bene alla causa. Troppo facile, qualche
pagina avanti, la distinzione tra popolo e élite,
come se le due entità fossero così agevolmente
separabili, e come se ci si potesse accontentare di
un europeismo delle elite, di un europeismo senza
popolo (ammesso che le elite siano effettivamente
europeiste): visione limitata e desolante, proprio
negli anni in cui i voli low cost, il desiderio di
una cultura transnazionale, le manifestazioni pacifiste
in contemporanea nelle capitali del continente e i
viaggi-studio Erasmus stanno lì a testimoniare
il diffondersi di una voglia di Europa tra i cittadini
(il “popolo”).
Il libro è interessante, infine, anche per
chi voglia capire, attraverso le opinioni di uno dei
più importanti esponenti del nuovo esecutivo,
che direzione prenderà la politica estera italiana.
A questo riguardo possono confortare le pagine in
cui l’autore bacchetta le violazioni del Patto
di stabilità commesse negli ultimi anni da
Parigi e Berlino: sembrano rassicurare che l’Italia
guarderà prima di tutto all’Europa, e
che non si limiterà a suonare uno spartito
già scritto dal duo franco-tedesco. In mezzo
a tante parole, l’autore ha una grande fortuna.
Ora che è uno dei più autorevoli esponenti
di un governo europeista, potrà subito mettere
in pratica questi suoi convincimenti, questo suo ideale
di “pazienza attiva”.
Tommaso Padoa Schioppa
Europa. Una pazienza attiva
Rizzoli, pagine 181, 16,50 euro
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it