L’Unione
riparte dal Consiglio europeo di Bruxelles del 16 giugno
2006. A più di un anno dalla doppia frustata
di Francia e Olanda, l’Ue cerca la strada per
reagire, ma non andrà da nessuna parte se non
si lascerà guidare da una chiara parola d’ordine:
democrazia.
Migliorare i poteri del parlamento, fare in modo che
i cittadini europei possano votare il governo dell’Unione,
eliminare la necessità del voto unanime dalle
istituzioni europee; questi alcuni passi indispensabili
affinché si crei una sfera politica che sia tutta
europea, nella quale non entrino individualismi nazionali
e far sì che l’Europa non sia più
una “democrazia immatura”. Parole di Pier
Virgilio Dastoli, oggi direttore della Rappresentanza
in Italia della Commissione europea, federalista convinto,
in passato assistente di Altiero Spinelli, uno dei padri
del progetto europeo, al centro di una serie di celebrazioni
in occasione dell’imminente centenario della nascita.
Il cammino del trattato riprende dal 2007 con
un programma di revisioni, terminerà l’anno
successivo e nel giugno 2009 sarà sottoposto
a referendum confermativo che si svolgerà contemporaneamente
in tutti i paesi membri. Come giudica le decisioni del
Consiglio europeo?
L’idea di un referendum contemporaneo in tutti
gli stati membri era già presente nella Convenzione
e fu appoggiata da molte associazioni, ma i governi
non la accettarono. Due elementi essenziali sono alla
base di questa idea. La prima è la necessità
di svincolare, nella misura del possibile, il dibattito
sulla Costituzione europea da elementi patologici di
dibattiti nazionali. Lo abbiamo già visto in
Francia: se il referendum è convocato dal governo
nazionale, qualunque sia l’argomento su cui si
deve decidere, una parte degli elettori andrà
a votare per sostenere le forze della maggioranza e
una parte voterà per esprimere dissenso verso
le forze di governo. Se invece il referendum ha una
chiara, evidente, ispirazione europea sin dalla sua
convocazione e chiama a votare contemporaneamente in
25 stati i cittadini in quanto cittadini europei, allora
si creano le condizioni affinché il dibattito
pubblico si orienti nel merito delle questioni europee
e della Costituzione, anziché indugiare su temi
di politica interna su scala nazionale.
Il secondo elemento importante riguarda il fatto che,
nel momento in cui l’approvazione del trattato
è affidata alla decisione attiva di tutti i cittadini
europei, allora esiste uno stimolo concreto a produrre
un testo comprensibile, destinato alla lettura e alla
comprensione di tutti i cittadini, pensato e scritto
per avere il più ampio consenso dell’opinione
pubblica. Insomma, se si decide di costruire un percorso
di revisione del trattato che lascerà nel giugno
2009 l’ultima parola agli europei, allora i governi
devono lavorare al testo tenendo conto di quello che
i cittadini vogliono e scrivere un trattato che sia
leggibile.
Secondo lei questo è sufficiente a creare
consenso intorno al testo del nuovo trattato?
Bisogna sapere che cosa fare da qui al referendum.
La Commissione Barroso e il Consiglio hanno puntato
l’accento su quella che si chiama l’Europa
dei progetti, e cioè, per rafforzare il consenso
dei cittadini sulla Costituzione, è necessario
rafforzare il consenso generale verso il progetto di
integrazione europea. E allora bisogna dare corpo all’Europa
delle politiche concrete, sull’immigrazione, sull’energia,
sulla strategia di Lisbona, sull’ambiente. La
Commissione ha anche stilato una lista di dieci proposte
concrete da realizzare per dimostrare ai cittadini che
l’Europa rappresenta una sorta di valore aggiunto.
È un’iniziativa molto positiva, ma il problema
è che in molti casi, fino a oggi, l’Unione
si è dimostrata incapace di realizzare politiche
concrete, come quelle per l’energia, il rilancio
economico o l’occupazione, perché l’Ue
non ha meccanismi decisionali sufficientemente efficaci
per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Possiamo vantarci di essere pragmatici e parlare di
progetti concreti, ma nella realtà non facciamo
che riferirci a un’utopia, perché non riusciremo
a realizzare nulla senza politiche comuni. Queste mancano,
sono inesistenti, e la loro inesistenza ci rende incapaci
di portare avanti la strategia di Lisbona, politiche
energetiche e sull’immigrazione. Piuttosto che
darci gli strumenti per prendere le decisioni, abbiamo
vincolat0 molte decisioni – come quelle relative
allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia
– sono vincolate al voto di unanimità.
Allo stato attuale i meccanismi decisionali dell’Unione
non sono né democratici né efficaci, e
suo questa grave mancanza non abbiamo mai sviluppato
una discussione vera e propria. Forse varrebbe la pena
di iniziarla.
Ha appena detto che i meccanismi decisionali
dell’Ue non sono democratici, che cosa intende?
Una decisione è democratica quando il parlamento
europeo vi è completamente implicato, mentre
allo stato attuale, circa il 40% di direttive e regolamenti
vengono emanati esclusivamente dal Consiglio.
Se l’unione vuole essere democratica, dovrà
rafforzare i poteri del parlamento, solo allora troverà
strade per politiche efficaci.
Esiste poi un problema di democrazia nella definizione
più ampia del termine. Nelle nostre democrazie
nazionali i cittadini determinano con il proprio voto
la formazione del governo, il che significa che chi
ha la maggioranza governa ed è responsabile del
proprio lavoro di fronte all’elettorato.
L’accountability, per usare un termine anglofono,
è un elemento essenziale di ogni democrazia,
ma a livello europeo non esiste, perché gli elettori
non determinano il governo dell’Europa, ma solo
la formazione del parlamento e nessuno degli eletti
si assume di fronte ai cittadini la responsabilità
del modo in cui l’Unione deve essere governata.
E allora non basta aumentare il potere del parlamento
europeo, non basta introdurre il voto a maggioranza
nel Consiglio, per realizzare una democrazia dell’Europa
è necessario che il voto degli elettori europei
determini in qualche modo la formazione del governo
europeo. Non c’è altra via, si può
discutere su quali argomenti l’Ue è chiamata
ad avere potere, su quali invece la sovranità
assoluta rimane ai singoli stati, ma una volta deciso
questo, il governo europeo deve poter rispondere del
proprio operato di fronte agli elettori. E così
si eviterà la confusione che viviamo oggi alle
elezioni europee, dove vengono trasferiti in campagna
elettorale temi e argomenti di interesse squisitamente
nazionale.
Altiero Spinelli è stato uno dei padri
fondatori dell’Unione. Che cosa possiamo leggere
dell’opera e del pensiero di Spinelli nell’Ue
che abbiamo di fronte?
Tutto quanto è ispirato da un’idea federale.
Come l’elezione diretta del parlamento che nasce
dall’intenzione di dare potere ai cittadini europei
e non solo agli stati. La corte di giustizia, la banca
centrale e la moneta unica. Sono tutti elementi ispirati
al progetto spinelliano di un’Europa federale.
Cosa, invece, non piacerebbe a Spinelli di
questa Europa?
Non gli piacerebbe vedere un’Europa che si presenta
come una democrazia immatura, in cui è completamente
assente l’idea del governo. Il parlamento, per
poter fare fino in fondo il suo dovere, deve avere un
governo come suo interlocutore. Finché l’Ue
non avrà un chiaro organo di governo il parlamento
non potrà raggiungere una sua vera identità.
E poi, l’idea che guidava la visione europea di
Spinelli era che non si possa costruire la democrazia
con metodi non democratici. E la conferenza intergovernativa
non è un organo democratico, perché è
composta da persone che non hanno ricevuto alcun mandato
popolare per decidere sulle questioni sulle quali decidono.
Per questo Spinelli sosteneva la formazione di un’assemblea
costituente votata dai cittadini. La convenzione che
ha scritto il trattato non rappresentava che un embrione
di questa idea, non era stata eletta, non aveva ricevuto
alcun mandato dai cittadini, era frutto di designazioni
del parlamento europeo, dei parlamenti e dei governi
nazionali, e per questo alla fine ha prodotto un risultato
mediocre: non era dotata di legittimità democratica.
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