Un’alleanza che chiamare innaturale è
dir poco. È una coalizione inquietante quella
che Robert Fico, leader del partito socialdemocratico
slovacco (Smer) che è arrivato in testa alle
elezioni politiche di metà giugno, ha composto
insieme alle due formazioni di estrema destra, il
Movimento per una Slovacchia democratica (Hzds) e
il Partito nazionale slovacco (Sns).
Vladimir Meciar, presidente dell’Hzds, aveva
guidato il governo del paese tra il ’94 e il
’98, quando a causa delle sue derive autoritarie
la Slovacchia si ritrovò isolata e non poté
integrare la Nato insieme ai vicini ungheresi, cechi
e polacchi; mentre Jan Slota, leader dell’Sns,
è famoso per le sue uscite xenofobe e contro
la minoranza ungherese. Per dire: solo recentemente
ha suggerito che i carri armati slovacchi avanzino
in direzione di Budapest!
Ma cosa ci fa allora un partito socialdemocratico
in compagnia dei rappresentanti del peggior nazional-populismo
razzista? Per comprendere quello che sta accadendo
nel piccolo Stato slovacco occorre allargare il campo
e inquadrarlo nella tendenza che sta conquistando
terreno in tutti i paesi dell’Europa centrale
entrati nell’Unione europea nel maggio 2004.
Dopo la transizione democratica seguita al crollo
dei regimi comunisti, negli anni Novanta tutti questi
paesi si sono impegnati in una serie di riforme necessarie
a raggiungere l’Unione europea e i suoi parametri.
Un po’ per reazione alla precedente economia
pianificata, un po’ per necessità, un’ondata
neoliberista ha guidato per tutto questo periodo le
politiche condotte dai governi, sia di destra sia
di sinistra. Le elezioni in Slovacchia, in qualche
modo confermano la fine di una fase. Ora che questi
paesi hanno raggiunto l’obiettivo di entrare
nell’Ue e nel mercato mondializzato, il riformismo
radicale degli anni precedenti ha perso la sua ragion
d’essere e cominciano a pesare politicamente
i guasti sociali e territoriali di un lungo ciclo
di cambiamenti repentini.
La reazione, ovviamente, si esprime con un antiliberismo
dagli accenti spiccatamente nazionalisti e antieuropei.
Seppur con modalità differenti il cambio di
rotta ha già conquistato il potere in diversi
paesi. La Polonia, che sconta il tasso di disoccupazione
più alto dei Venticinque (18% circa), è
il caso più virulento. A Varsavia lo scorso
autunno il partito conservatore Diritto e giustizia
(Pis) dei gemelli Kaczynski ha vinto le elezioni politiche
e quelle presidenziali promettendo una politica antiliberale
ed euroscettica e, un paio di un mesi fa, ha portato
nella compagine governativa anche la Lega delle famiglie
polacche (Lpr) e Autodifesa (Samoobrona), due partiti
populisti, nazionalisti d’estrema destra che
condividono lo stesso orientamento economico.
In Ungheria, lo scorso aprile, gli elettori hanno
scelto la continuità e hanno rieletto il premier
socialista Ferenc Gyurcsany che si è impegnato
in una maggiore “coesione sociale”, mentre
all’inizio di giugno i cechi hanno premiato
la destra euroscettica di Mirek Topolanek.
In Slovacchia Fico ha condotto una campagna contro
il governo uscente del cristiano-democratico Mikulas
Dzurinda che dopo due legislature alla guida di una
coalizione dall’orientamento piuttosto liberale,
ha scontato il suo posizionamento troppo “anti-sociale”.
Le privatizzazioni, l’apertura ai capitali stranieri
attirati con manovre di dumping fiscale e le riforme,
hanno fatto negli ultimi anni della Slovacchia un
paese dalla crescita robusta, del 6,1% quest’anno,
ma dagli innumerevoli problemi in campo sociale. La
politica economica tutta sbilanciata sull’esportazione
ha lasciato sul campo un potere d’acquisto piuttosto
basso per i salari, una disoccupazione del 12%, con
punte che si aggirano intorno al 15 e il 20% nella
zona Est del Paese, una regione tra le dieci più
povere dell’Unione europea, un posto dove più
del 20% della popolazione vive sotto la soglia della
povertà.
Fico durante la campagna elettorale ha promesso di
invertire la tenenza: meno mercato e più Stato.
Ha promesso di ritornare sulla riforma della sanità,
di aumentare le prestazioni sociali, di abolire il
tasso unico del 19% dell’iva, d’incrementare
le imposte sulle imprese diminuite in questi anni
da Dzurinda e alla fine l’ha spuntata arrivando
in testa alle elezioni con il 29,14% dei consensi.
Troppo poco per governare. Con i partiti populisti
e ultranazionalisti è riuscito a trovare una
convergenza per “ridistribuire più equamente
i frutti della crescita”.
Mentre nel caso polacco le istituzioni europee non
si sono fatte sentire, questa volta da Strasburgo
iniziative concrete sono state prese dal gruppo socialista
del Parlamento che ha condannato all’unanimità
l’alleanza e ha chiesto, alla quasi unanimità,
che lo Smer di Fico sia sospeso dal Partito socialista
europeo (Pse) di cui è membro e che la sua
candidatura all’Internazionale socialista sia
sospesa. Il presidente del Pse, Poul Nyrup Rasmussen,
e il capogruppo dei socialisti, Martin Schulz, hanno
scritto una lettera congiunta a Fico esprimendo “le
più gravi preoccupazioni”. Il gruppo
dei 201 parlamentari socialisti europei ha deciso
di non ricevere il premier slovacco come era previsto.
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