Niente di nuovo sotto il cielo europeo. Il Consiglio
che ha riunito alla metà di giugno i capi di
Stato e di Governo dei venticinque paesi dell’Unione
europea, si è concluso senza sussulti con un
accordo che prevede la riapertura del cantiere istituzionale
con una procedura che, se tutto va bene, dovrebbe
portare ad un nuovo trattato da adottare nel 2009,
giusto a ridosso delle elezioni che rinnoveranno il
Parlamento europeo.
Intesa prevedibile e realista.
Prevedibile perché già ampiamente anticipata
dagli incontri bilaterali preceduti al vertice, soprattutto
quello tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e
il presidente francese Jacques Chirac presso Rheinsberg,
e realista perché le condizioni non permettevano
niente di più e niente di meno.
In effetti la decisione scaturisce dalla constatazione,
maturata dai sedici paesi che hanno già ratificato
il Trattato costituzionale per via parlamentare o
referendaria, dell’impossibilità di ripresentare
lo stesso testo a francesi e olandesi che invece lo
hanno rifiutato un anno fa tramite referendum. La
Costituzione non potrà mai entrare in vigore
così com’è, dunque è definitivamente
morta.
A questa constatazione si è aggiunta la necessità,
che ha trovato il consenso unanime di tutti i partecipanti
al vertice, di concepire e adottare un nuovo trattato,
visto che quello di Nizza, attualmente in vigore,
non è in grado di garantire il buon funzionamento
delle istituzioni di un’Unione allargata a venticinque
e a breve ventisette membri con la sempre più
probabile integrazione di Romania e Bulgaria all’Ue.
Anche la procedura prevista per il raggiungimento
dell’obiettivo è abbastanza scontata.
Una proroga prolungherà di un ulteriore anno
la “pausa di riflessione” assunta nel
giugno 2005 doto il no di francesi e olandesi al Trattato
costituzionale. Alla fine di questo periodo, il prossimo
giugno, la presidenza tedesca, che ricoprirà
il ruolo nel primo semestre del 2007, dopo aver condotto
consultazioni con tutti gli stati membri presenterà
un rapporto che valuti lo stato dei fatti ed “esplori
le evoluzioni future possibili”. Sulla base
di questo toccherà alla presidenza francese
del secondo semestre 2008 concludere i negoziati che
porteranno al nuovo trattato. Tra le righe: sono stati
i francesi a condurre nell’impasse istituzionale
l’Ue e dovranno essere loro a tirarla fuori.
Questo percorso è stato calibrato sull’esigenza
di attendere che le elezioni presidenziali francesi
del 2007 cambino le condizioni nel paese del “no”
e taglino fuori uno Chirac ormai screditato in patria
e indebolito in seno all’Unione; e sull’esigenza,
inoltre, che un asse franco-tedesco rinnovato torni
ad essere il motore della costruzione politica del
Vecchio continente. Senza il nocciolo duro il futuro
dell’Ue è difficilmente immaginabile.
In Germania Merkel sta lavorando in questa direzione,
mentre oltre Reno manca ancora l’attore che
sappia incarnare questa prospettiva. Nel corso delle
precampagna presidenziale francese, infatti, l’argomento
Europa, sensibilissimo dopo il referendum dello scorso
anno quando i principali partiti si spesero per il
sì, non è stato ancora affrontato apertamente.
Oltre la forma all’ultimo Consiglio non si
è andati. Non una parola è stata spesa
sull’essenza del nuovo trattato e sui cambiamenti
che dovranno essere innestati sul vecchio compromesso.
Sotto la pressione degli stati che hanno ratificato
il Trattato costituzionale, da tutti è stato
convenuto che bisognerà mantenere la “sostanza”
di quest’ultimo aggiungendo dei “nuovi
elementi”. Formula abbastanza vaga per lasciare
spazio alle future negoziazioni. Più “sociale”
per andare incontro a francesi, olandesi e una buona
parte dell’opinione pubblica europea, più
“liberale” come vogliono gli anglosassoni:
per ora non è dato saperlo. Si vedrà.
Una contraddizione però, che è passata
abbastanza in sordina, è emersa dal vertice
dei capi di Stato e di Governo dei Venticinque. Riguardo
al tema dell’allargamento, prossimo, futuro
o solo immaginato, le posizioni sono diverse. Chi
vuole andarci cauto, chi lo vuole estendere ad altri
paesi dell’Est, chi lo vuole bloccare. In particolare
Chirac ha molto insistito che si mettesse l’accento
sulla “capacità d’assorbimento”
dell’Unione. Clausola peraltro già presente
nei dispositivi Ue. Questa sottolineatura di Chirac
vuol dire un paio di cose: in Francia l’allargamento
ai dieci nuovi paesi nel maggio del 2004 non è
stato capito e questo ha profondamente contribuito
al no del referendum; sempre in Francia una modifica
costituzionale ha introdotto la ratifica per referendum
per i futuri allargamenti. Attenzione, i francesi
dispongono di un mezzo per bloccare altri processi.
Vedi alla voce Turchia.
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