L’incertezza regna sovrana sul futuro prossimo
della Repubblica Ceca. Almeno dal punto di vista politico.
Alle elezioni che si sono svolte il 2 e 3 giugno,
gli elettori cechi hanno determinato una situazione
di patta eleggendo un parlamento esattamente spaccato
in due. Peggio che in Germania, peggio che in Italia:
alla Camera bassa è finita 100 a 100, destra
e sinistra con lo stesso numero di parlamentari.
Dopo la Rivoluzione di velluto del 1989 queste sono
state le quarte elezioni politiche della Repubblica
Ceca, ma mai si era venuta a creare una situazione
tale. Negli ultimi otto anni a governare, seppur con
una maggioranza relativa che più volte si era
dovuta avvalere in parlamento dei voti dei comunisti
(Kscm), erano stati i socialdemocratici del Cssd con
una coalizione che comprendeva anche i due partiti
di centro destra dei popolari (Kdu-Csl) e dei liberali
(Us-Deu).
Questa volta in testa si sono piazzati i conservatori
del Partito civico democratico (Ods) che hanno ottenuto
il 35,38% dei consensi. Il presidente della Repubblica
Vaclav Klaus ha conferito l’incarico di avviare
le consultazioni per la formazione del governo al
suo successore alla testa dell’Ods, Mirek Topolanek,
che non avrà certo vita facile. L’ipotesi
di una coalizione che comprenda il Kdu-Csl (7,22%)
e i Verdi, entrati per la prima volta in parlamento
con un 6,29% dei suffragi, non sembra molto praticabile,
dato che in totale riceverebbe l’appoggio di
100 dei duecento parlamentari.
Solo una grande coalizione alla tedesca tra Ods e
Cssd (32,32%) potrebbe garantire una maggioranza stabile
al nuovo governo, ma anche questa strada è
abbastanza impraticabile data la campagna elettorale
“all’italiana” condotta dai due
partiti.
All’uscita di un incontro con Topolanek, il
leader dei socialdemocratici e primo ministro uscente
Jiri Paroubek, ha dichiarato in maniera netta che
il Cssd “non sosterrà un governo di coalizione
di centro destra”. Oggetto di critiche feroci
e d’accuse di responsabilità in alcuni
scandali finanziari che hanno reso turbolenta e rissosa
la campagna elettorale, Paroubek aveva presentato
alla popolazione un bilancio positivo del suo esecutivo,
con una crescita del 6% l’anno scorso, un’inflazione
controllata e una disoccupazione stabile intorno all’8%.
Aveva anche promesso di mantenere alta la protezione
sociale nonostante il deficit di bilancio e di dar
corpo alla sua politica decisamente proeuropea prevedendo
l’entrata nella zona euro nel 2010. I socialdemocratici
sembrano oggettivamente lontani dalle posizioni dei
conservatori vincenti che oltre alla riforma del sistema
pensionistico e al ridimensionamento della protezione
sociale per riassestare i conti, esprimono delle posizioni
marcatamente euroscettiche se non antieuropee.
Rifiutando la soluzione tedesca, Paroubek ha proposto
un governo di tecnici scelti da tutti i partiti e
ha suggerito al presidente della Repubblica di “designare
il capo del partito arrivato in seconda posizione
al fine di trovare una soluzione, qualora il rappresentante
della formazione vittoriosa non pervenga a formare
il governo”. Non si capisce come possa riuscire
lui laddove l’altro dovesse fallire. I socialdemocratici
si erano presentati alle elezioni promettendo, qualora
avessero vinto, un governo appoggiato esternamente
dai comunisti. Ora il Partito comunista di Boemia
e Moravia, panslavista, più euroscettico dei
conservatori, è l’unico partito comunista
dell’Europa centrale non riformato. L’unico
ritocco ha riguardato il simbolo, in cui la falce
e il martello sono stati sostituiti da due ciliegie.
Per il resto sembra difficile che un esecutivo minoritario
possa reggersi sull’appoggio del Kscm, anche
se questo, con il 12,8% si conferma il terzo partito
ceco.
Per il momento a Praga regna una gran confusione
e si può immaginare che per molto tempo la
situazione rimarrà tale. La via d’uscita
all’impasse in cui si sono infilati i cechi
avrà bisogno di tempo per essere abbozzata,
ma alla fine un’alchimia politica sarà
trovata, poiché l’economia ceca, in pieno
e continuo sviluppo, ha bisogno di un quadro politico
che le permetta di continuare il suo corso.
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