Un anno fa, il 29 maggio, i francesi votarono no
al referendum sul Trattato costituzionale europeo.
Tra contestazione della propria classe politica e
della situazione sociale, tra paure e fantasmi d’ogni
tipo, un amalgama di motivazioni portò al netto
rifiuto di una Carta percepita come un’ulteriore
esposizione al ciclone della mondializzazione. Il
55% dei francesi, spinti da una campagna ai confini
del populismo, nelle urne votò no. Aprirono
una breccia e tre giorni dopo furono gli olandesi
a replicare quel rifiuto.
Il Consiglio europeo che lo scorso giugno seguì
quel doppio rifiuto segnò la presa d’atto
della morte della Carta e dell’impasse nella
quale la costruzione di un’Europa politica si
era infilata. I Venticinque capi di stato e di governo
la chiamarono “pausa di riflessione”,
formula di malcelato imbarazzo che apriva un periodo
di navigazione a vista, d’attesa di tempi e
condizioni migliori, di deriva.
“Da un anno si vede un’Europa esitante,
senza strutture, senza istituzioni leggibili, senza
sostegno dell’opinione pubblica”. Alla
televisione Valéry Giscard d’Estaing,
presidente della Convenzione che aveva partorito il
Testo, commenta con amarezza quest’anniversario
e fa notare come la Francia sia stata penalizzata
e abbia perduto la sua posizione trainante con quella
scelta.
Contrariamente a quello che promettevano i partigiani
del no, nessun piano B era nascosto nei cassetti dei
“tecnocrati di Bruxelles” e ora l’Ue
continua a girare grazie all’applicazione del
Trattato di Nizza, che non può certamente definirsi
il migliore quadro istituzionale per un’Unione
a venticinque.
Certo un’influenza notevole il rifiuto francese
e olandese lo ha avuto su almeno un paio di questioni.
Non ci si può nascondere, infatti, che se la
celeberrima direttiva Bolkenstein per la liberalizzazione
del mercato dei servizi è stata spuntata della
sua componente più liberale, sia stato per
rispondere alle paure del dumping e della concorrenza
al ribasso “dell’idraulico polacco”;
e che, se un accento tutto rinnovato sia stato messo
sul concetto di “capacità assimilazione”
dell’Unione, è stato per rispondere alle
paure dei cittadini verso un’Europa dai confini
e l’identità non definiti e ai rischi
delle migrazioni.
Sottoscritta a Roma nell’ottobre 2004, la Costituzione
avrebbe dovuto essere ratificata da tutti gli stati
membri nel giro di due anni per entrare in vigore.
Allo stato attuale, oltre ai due rifiuti francese
e olandese che ne pregiudicano l’applicazione,
il testo è stato ratificato con procedura parlamentare
in quattordici paesi e per via referendaria in Spagna
e Lussemburgo. Gli altri hanno sospeso i processi
di ratifica fino al momento in cui si saprà
cosa fare di una Carta che ha solo vita apparente.
Tenuto a margine del dibattito europeo per tutto
lo scorso anno, intorno al tema Costituzione si sono
andati componendo due fronti: da una parte quelli
che il testo lo hanno già ratificato e che
quindi non ne vogliono ufficializzare il decesso e
dall’altra quelli che spingono per una rinegoziazione,
in prima linea quelli che l’hanno rifiutato
per referendum.
Le posizioni dei difensori dell’attuale Carta
si sono però, realisticamente, ammorbidite
e al vertice dello scorso 28 maggio a Klosterneuburg,
vicino Vienna, i ministri degli esteri dei venticinque
hanno convenuto che non si può ripresentare
lo stesso testo a francesi e olandesi e che quindi
un nuovo progetto vada negoziato pur mantenendo la
“sostanza politica” del vecchio.
Ursula Plassnik, la ministra degli esteri austriaca
che presiedeva la riunione, con un certo ottimismo
ha fatto notare come finalmente ora “il cielo
si sia schiarito e le nuvole di tempesta si siano
dissipate”. In realtà la situazione è
bloccata almeno fino all’anno prossimo. Non
a caso la “pausa di riflessione”, che
doveva durarne solo uno, è stata prorogata
di un altro anno.
In questo periodo d’attesa nei due paesi che
hanno rifiutato la Costituzione si terranno le elezioni
e si spera che il quadro politico e sociale diventi
più favorevole al processo di costruzione politica
del continente. Nuovi impulsi e proposte verranno
nel corso del primo semestre dell’anno prossimo,
quando la presidenza di turno dell’Ue spetterà
alla Germania, o durante il primo semestre 2008, quando
spetterà invece alla Francia e al suo nuovo
Presidente.
Come dire: tutto fermo aspettando la Francia.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it