301 - 16.06.06


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Finalmente! Nell’Ue
Paolo Morawski

Tratto dal libro Polonia mon amour. Dalle Indie d’Europa alle Indie d’America (Ediesse), scritto da Andrea e Paolo Morawski, questo testo risale al momento in cui, nel 2004, la Polonia è ufficialmente entrata a far parte dell’Unione europea.

“È fatta. Ce l’abbiamo fatta” – esclama più d’uno. Difficile rendere il senso di
gioia, di sollievo, di orgoglio, di eccitazione della Polonia e dei milioni di polacchi sparsi per il mondo, l’emozione profonda anche di coloro che vorrebbero apparire indifferenti o che sono contrari – ve ne sono – a questo innegabile nuovo inizio della storia polacca ed europea. La Polonia è parte dell’Unione Europea.

Buongiorno Polonia. Vivat Europa.
Domani... La mente già corre in avanti. Al tempo stesso corre indietro nel tempo.
Ripensa ai momenti di mutazione profonda nel rapporto tra la Polonia e il resto del continente. Uno di questi momenti è costituito dai due secoli a cavallo tra il 1450 circa e il 1650 circa quando la Polonia comincia a inserirsi, sebbene in posizione periferica, nell’idea di Europa – idea che per gli europei non si formerà prima del XVIII secolo; e, per di più, in negativo vale a dire in opposizione a tradizioni non europee. Una nazione polacca in formazione esiste dalla fine del X secolo, ma resta a lungo “fuori visuale”. Il De Europa di Enea Silvio Piccolomini (futuro papa Pio II) tramanda ai posteri una riflessione dalla quale la Polonia è ancora assente, nonostante il libro sia scritto alla metà del XV secolo. Prima del 1450/1500, infatti, “la Polonia ha un bell’essere cristiana, ma non per questo entra nelle idee medievali d’Europa”. Vi entrerà tra Cinque e Seicento come India d’Europa: come India economica con la quale sviluppare traffici e condurre affari; come India nova da evangelizzare ovvero da riconquistare alla dottrina cattolica
e all’obbedienza romana. Al tempo stesso, fin dal Quattrocento il regno
polacco si presenta e (a tratti) s’impone come antemurale: bastione contro la barbarie, contro i pagani, contro i tartari, contro i turchi, contro i non-cristiani. La Polonia periferia, ma a sua volta centro civilizzatore.

Un altro momento di cesura è rappresentato dal riapparire della Polonia sulle carte del primo dopoguerra. L’eredità del ventennio tra i due conflitti mondiali va forse ricercata soprattutto nei miti e nei fraintendimenti riguardanti il carattere multietnico, multilingue e multiconfessionale della Polonia, nonché i rapporti con i suoi vicini orientali – così importanti per la storia polacca prima delle spartizioni e oggi rilevanti per la dimensione orientale tanto dell’odierna Polonia quanto dell’Ue allargata.

Il terzo di questi periodi nodali, nel quale siamo immersi (è parte della nostra
storia), sono gli anni 1989-2004: il tratto della transizione della Polonia dal socialismo reale e dall’appartenenza alla sfera di influenza sovietica fino all’ingresso nell’Unione Europea con un’ostentata propensione filoatlantica.
Paragonare le vicende dei popoli e dei paesi a un legno costellato di nodi è comodo. Consente di dare un senso immediatamente riconoscibile all’evoluzione storica. E tuttavia ha senso solo se si tiene a mente che vi è una grande pluralità di tempi storici: il tempo dei sentimenti e delle emozioni e quello oggi consistente della vita di un uomo; il tempo breve, rapido, scattante dell’avvenimento; quello medio della congiuntura; quello lungo che si misura nel secolo; e quello lentissimo, quasi immobile, che si fa riconoscere sul fluire dei secoli o addirittura dei millenni.

Queste diverse durate interagiscono, sono tra loro interconnesse, si svolgono contemporaneamente, si ingarbugliano. La difficoltà sta proprio nel mostrarne il groviglio. Che i tempi siano allacciati appare evidente quando si
pensa alla innegabile novità che ha costituito l’ingresso della Polonia nell’Unione Europea, a sedici anni dalle prime (semi) libere elezioni polacche e dalla caduta dei muri. Ebbene, se si presta attenzione ai processi più duraturi, sarà facile intuire che questo ingresso costituisce per la Polonia la definitiva conclusione della seconda guerra mondiale, la fine della spartizione dell’Europa operata a Jalta e della successiva guerra fredda. La Polonia entra nell’Ue con un assetto territoriale accettato da tutti i suoi vicini, con frontiere riconosciute da tutti gli europei.

Da questo punto di vista è la prima guerra mondiale che termina veramente,
perché dopo la Grande guerra l’esistenza della Polonia indipendente venne ripetutamente messa in discussione per un ventennio dalle maggiori potenze confinanti (la Germania, poi nazista, e l’Urss) portando allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Ma dal momento che si tratta dell’esistenza dello Stato polacco, la prospettiva temporale calzante è ancora più dilatata.

A ben vedere, il primo maggio 2004 giunge a compimento un travaglio plurisecolare iniziato con la scomparsa della Polonia dalla carta d’Europa avviata dalla prima spartizione del 1772. Per semplificare: a monte di questa catena temporale lunga duecentotrenta anni e oltre vediamo che i potenti vicini della Polonia (Prussia, Russia, Austria) non vogliono che essa esista come entità statale, cercano in tutti i modi di cancellarne la realtà, di schiacciarne cultura e identità nazionale; a valle, la Polonia è e ha una forma pacifica, accettata da tutti i vicini (russi compresi) e viene accolta nell’ambito dell’Unione Europea che costituisce il più grande consorzio di paesi europei che la storia abbia mai visto. Ma si può essere ancor più precisi. La Polonia
odierna, addossata ai fiumi Oder-Neiße e aperta sul Baltico da Stettino a
Danzica – questa Polonia ricalca grosso modo l’estensione territoriale del primo Stato polacco, indipendente e cristiano, retto dalla dinastia dei Piast nel XI secolo.

Dopo un tormentato percorso durato un millennio, dopo essersi a lungo
espansa a Oriente e orientalizzata, la Polonia torna dunque al suo punto geografico di partenza. Se di chiusura di un ciclo si tratta, lo si capisce meglio ragionando sulle distanze – anche molto estese.

Tra il 1989 e il 2004 la Polonia è finalmente (ri)diventata un paese normale, libero di decidere sovranamente il proprio destino, il proprio assetto interno (democratico), la propria collocazione internazionale (membro della Nato e dell’Ue).

Un paese europeo, in quanto desideroso e capace di riconciliarsi con i propri
vicini, tedeschi e pure ucraini (l’Europa essendo un modello di riappacificazione tra paesi divisi). Il sostanziale cambiamento non cancella il passato. La novità fondamentale di questo passaggio epocale di per sé non azzera la storia. Al contrario: è la peculiare storia polacca (ed europea) a costituire «un punto di partenza indiscutibile» per l’odierna classe politica polacca (ed europea). Quest’ultima deve fare i conti nei suoi programmi e nelle sue scelte con gli elementi di continuità, di permanenza, di durata che continuano “a esistere e a vivere anche se sotto nuove forme”. In tal senso, tra l’altro, andrebbe considerata “la persistenza di comportamenti, stili, modi di vita e di pensare che appartengono all’’uomo educato nel comunismo’, l’homo sovieticus la cui resistenza è molto maggiore di quanto si possa pensare”.


 

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