Tratto dal libro Polonia mon amour.
Dalle Indie d’Europa alle Indie d’America
(Ediesse), scritto da Andrea e Paolo Morawski, questo
testo risale al momento in cui, nel 2004, la Polonia
è ufficialmente entrata a far parte dell’Unione
europea.
“È fatta. Ce l’abbiamo fatta”
– esclama più d’uno. Difficile
rendere il senso di
gioia, di sollievo, di orgoglio, di eccitazione della
Polonia e dei milioni di polacchi sparsi per il mondo,
l’emozione profonda anche di coloro che vorrebbero
apparire indifferenti o che sono contrari –
ve ne sono – a questo innegabile nuovo inizio
della storia polacca ed europea. La Polonia è
parte dell’Unione Europea.
Buongiorno Polonia. Vivat Europa.
Domani... La mente già corre in avanti. Al
tempo stesso corre indietro nel tempo.
Ripensa ai momenti di mutazione profonda nel rapporto
tra la Polonia e il resto del continente. Uno di questi
momenti è costituito dai due secoli a cavallo
tra il 1450 circa e il 1650 circa quando la Polonia
comincia a inserirsi, sebbene in posizione periferica,
nell’idea di Europa – idea che per gli
europei non si formerà prima del XVIII secolo;
e, per di più, in negativo vale a dire in opposizione
a tradizioni non europee. Una nazione polacca in formazione
esiste dalla fine del X secolo, ma resta a lungo “fuori
visuale”. Il De Europa di Enea Silvio
Piccolomini (futuro papa Pio II) tramanda ai posteri
una riflessione dalla quale la Polonia è ancora
assente, nonostante il libro sia scritto alla metà
del XV secolo. Prima del 1450/1500, infatti, “la
Polonia ha un bell’essere cristiana, ma non
per questo entra nelle idee medievali d’Europa”.
Vi entrerà tra Cinque e Seicento come India
d’Europa: come India economica
con la quale sviluppare traffici e condurre affari;
come India nova da evangelizzare ovvero da
riconquistare alla dottrina cattolica
e all’obbedienza romana. Al tempo stesso, fin
dal Quattrocento il regno
polacco si presenta e (a tratti) s’impone come
antemurale: bastione contro la barbarie,
contro i pagani, contro i tartari, contro i turchi,
contro i non-cristiani. La Polonia periferia,
ma a sua volta centro civilizzatore.
Un altro momento di cesura è rappresentato
dal riapparire della Polonia sulle carte del primo
dopoguerra. L’eredità del ventennio tra
i due conflitti mondiali va forse ricercata soprattutto
nei miti e nei fraintendimenti riguardanti il carattere
multietnico, multilingue e multiconfessionale della
Polonia, nonché i rapporti con i suoi vicini
orientali – così importanti per la storia
polacca prima delle spartizioni e oggi rilevanti per
la dimensione orientale tanto dell’odierna Polonia
quanto dell’Ue allargata.
Il terzo di questi periodi nodali, nel quale siamo
immersi (è parte della nostra
storia), sono gli anni 1989-2004: il tratto della
transizione della Polonia dal socialismo reale e dall’appartenenza
alla sfera di influenza sovietica fino all’ingresso
nell’Unione Europea con un’ostentata propensione
filoatlantica.
Paragonare le vicende dei popoli e dei paesi a un
legno costellato di nodi è comodo. Consente
di dare un senso immediatamente riconoscibile all’evoluzione
storica. E tuttavia ha senso solo se si tiene a mente
che vi è una grande pluralità di tempi
storici: il tempo dei sentimenti e delle emozioni
e quello oggi consistente della vita di un uomo; il
tempo breve, rapido, scattante dell’avvenimento;
quello medio della congiuntura; quello lungo che si
misura nel secolo; e quello lentissimo, quasi immobile,
che si fa riconoscere sul fluire dei secoli o addirittura
dei millenni.
Queste diverse durate interagiscono, sono tra loro
interconnesse, si svolgono contemporaneamente, si
ingarbugliano. La difficoltà sta proprio nel
mostrarne il groviglio. Che i tempi siano allacciati
appare evidente quando si
pensa alla innegabile novità che ha costituito
l’ingresso della Polonia nell’Unione Europea,
a sedici anni dalle prime (semi) libere elezioni polacche
e dalla caduta dei muri. Ebbene, se si presta attenzione
ai processi più duraturi, sarà facile
intuire che questo ingresso costituisce per la Polonia
la definitiva conclusione della seconda guerra mondiale,
la fine della spartizione dell’Europa operata
a Jalta e della successiva guerra fredda. La Polonia
entra nell’Ue con un assetto territoriale accettato
da tutti i suoi vicini, con frontiere riconosciute
da tutti gli europei.
Da questo punto di vista è la prima guerra
mondiale che termina veramente,
perché dopo la Grande guerra l’esistenza
della Polonia indipendente venne ripetutamente messa
in discussione per un ventennio dalle maggiori potenze
confinanti (la Germania, poi nazista, e l’Urss)
portando allo scoppio del secondo conflitto mondiale.
Ma dal momento che si tratta dell’esistenza
dello Stato polacco, la prospettiva temporale calzante
è ancora più dilatata.
A ben vedere, il primo maggio 2004 giunge a compimento
un travaglio plurisecolare iniziato con la scomparsa
della Polonia dalla carta d’Europa avviata dalla
prima spartizione del 1772. Per semplificare: a monte
di questa catena temporale lunga duecentotrenta anni
e oltre vediamo che i potenti vicini della Polonia
(Prussia, Russia, Austria) non vogliono che essa esista
come entità statale, cercano in tutti i modi
di cancellarne la realtà, di schiacciarne cultura
e identità nazionale; a valle, la Polonia è
e ha una forma pacifica, accettata da tutti i vicini
(russi compresi) e viene accolta nell’ambito
dell’Unione Europea che costituisce il più
grande consorzio di paesi europei che la storia abbia
mai visto. Ma si può essere ancor più
precisi. La Polonia
odierna, addossata ai fiumi Oder-Neiße e aperta
sul Baltico da Stettino a
Danzica – questa Polonia ricalca grosso modo
l’estensione territoriale del primo Stato polacco,
indipendente e cristiano, retto dalla dinastia dei
Piast nel XI secolo.
Dopo un tormentato percorso durato un millennio,
dopo essersi a lungo
espansa a Oriente e orientalizzata, la Polonia torna
dunque al suo punto geografico di partenza. Se di
chiusura di un ciclo si tratta, lo si capisce meglio
ragionando sulle distanze – anche molto estese.
Tra il 1989 e il 2004 la Polonia è finalmente
(ri)diventata un paese normale, libero di decidere
sovranamente il proprio destino, il proprio assetto
interno (democratico), la propria collocazione internazionale
(membro della Nato e dell’Ue).
Un paese europeo, in quanto desideroso e
capace di riconciliarsi con i propri
vicini, tedeschi e pure ucraini (l’Europa essendo
un modello di riappacificazione tra paesi divisi).
Il sostanziale cambiamento non cancella il passato.
La novità fondamentale di questo passaggio
epocale di per sé non azzera la storia. Al
contrario: è la peculiare storia polacca (ed
europea) a costituire «un punto di partenza
indiscutibile» per l’odierna classe politica
polacca (ed europea). Quest’ultima deve fare
i conti nei suoi programmi e nelle sue scelte con
gli elementi di continuità, di permanenza,
di durata che continuano “a esistere e a vivere
anche se sotto nuove forme”. In tal senso, tra
l’altro, andrebbe considerata “la persistenza
di comportamenti, stili, modi di vita e di pensare
che appartengono all’’uomo educato nel
comunismo’, l’homo sovieticus
la cui resistenza è molto maggiore di quanto
si possa pensare”.
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