301 - 16.06.06


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Quel muro ancora in pedi
tra le idee degli europei

Paolo Morawski con
Daniele Castellani Perelli



Antisemitismo, omofobia, populismo, razzismo, antieuropeismo. La Polonia è stata dipinta, negli ultimi tempi, come la grande malata dell’Ue, dal punto di vista dei valori. Ma è un discorso semplicistico, secondo Paolo Morawski, dirigente Rai e autore, insieme al fratello Andrea, del libro Polonia mon amour. Dalle Indie d’Europa alle Indie d'America (Ediesse 2006).
L’estrema destra e gli ultracattolici di Radio Marija sono delle minoranze, e “il 64% dei polacchi – ci spiega – secondo i sondaggi è contento di stare in Europa”. Insomma la Polonia come specchio dei mali del continente, come ha scritto anche Gad Lerner su “la Repubblica”. Da una parte un paese che alza la voce per contare di più, dall’altra un’Europa in cui “il mercato comune delle idee è abbastanza debole”, e in cui soprattutto, conclude Morawski, “il muro della cortina di ferro, quello che divideva le due Europe, è rimasto ancora conficcato nelle teste”.

Nelle ultime settimane i media italiani hanno fatto un ritratto tutto in negativo, allarmato, della Polonia odierna. Antisemitismo, omofobia, populismo, razzismo, antieuropeismo: Varsavia sembra oggi la sentina di tutti i vizi del continente. Ma è proprio così, o si è esagerato?

Gli episodi negativi vanno condannati, perché preoccuparsi del destino degli altri paesi fa parte integrante dell’europeizzazione. Al tempo stesso, sì, credo che i media italiani abbiano esagerato. Si parla di gruppi di estrema destra particolarmente inquietanti, e poi in realtà, se li si va a contare, si tratta di 300 persone, che su una popolazione di 38 milioni di abitanti è chiaramente una minoranza. Lo stesso discorso può valere per Radio Marija. Avrà un bacino d’ascolto di 3 milioni di persone, ma per gran parte del giorno i programmi sono composti da preghiere e riflessioni spirituali. E’ una radio di religione, in cui può capitare che uno speaker o un commentatore esponga delle tesi negative. Fenomeni da condannare, ma che vanno anche riportati alle proprie proporzioni.

E a cosa è dovuta questa disinformazione sulla Polonia?

Non si tratta solo di disinformazione, è un problema di lunga durata. Il muro della cortina di ferro, quello che divideva le due Europe, è anzitutto rimasto conficcato nelle teste. I paesi dell’Est, mentre cercavano di avvicinarsi all’Europa, hanno fatto lo sforzo di aprirsi all’Ovest, e hanno ad esempio recepito le 80mila pagine del know-how comunitario. Ma l’Ovest, da parte sua, non sempre riesce ad aprirsi. Magari il problema è anche linguistico, perché l’ungherese e il polacco non sono lingue semplici, ma non è solo quello, perché molto spesso ci mancano gli strumenti. Faccio un esempio. Quando parliamo di destra e di sinistra, utilizzando categorie italiane non sempre riusciamo ad afferrare esattamente cosa stia sotto alla realtà polacca. Il partito conservatore dei fratelli Kaczynski, Legge e Giustizia (PiS), ha fatto una campagna elettorale tutta incentrata su temi sociali come la difesa dei poveri e dei senza lavoro, su temi come la moralità e la tradizione…

Un po’ come la destra storica italiana, la destra sociale...

Una destra che però è anche sinistra. E’ un discorso più complicato di quanto sembri, perché in Polonia non esiste più una sinistra. I postcomunisti, nell’ultimo periodo, assomigliavano di più a dei partiti del nostro centrodestra, quanto alla capacità di parlare di marketing e di business. E’ vero che ci sono coordinate simili che ci permettono di orientarci, ma è anche vero che le etichette di “destra” e “sinistra” ci pongono dei problemi quando parliamo di Polonia.

Possiamo dire che a soli due anni dall’ingresso nell’Ue i paesi dell’Est siano ancora considerati figli di un dio minore?

Direi piuttosto che i paesi dell’Est pensavano di trovare una certa Europa e se ne sono ritrovati un’altra, disincantata, un po’ in crisi, dubbiosa e preoccupato, che dice no al trattato costituzionale e che soprattutto è meno aperta di quanto si credeva. Un’Europa in cui tutti, mentre prima si preoccupavano del destino comune, vanno oggi per conto proprio, difendono il proprio interesse nazionale.

Insomma un’Europa che, nei difetti, è più simile alla Polonia di oggi, se solo pensiamo a come Varsavia ha difeso i privilegi che le sono stati concessi dal trattato di Nizza...

Sì, ma purché si ammetta che Varsavia non si è mossa diversamente dalla Gran Bretagna e dalla Spagna, e che forse la Francia, già prima del no al referendum, ha fornito esempi di un nazionalismo eccessivo, e che la stessa Italia negli ultimi anni si è allontanata dall’europeismo tradizionale. Quindi da una parte c’è un Est che incontra un’Europa cambiata, diversa da come se l’aspettava. I polacchi erano convinti che gli europei guardassero a loro ancora come ai polacchi di Solidarnosc, movimento nei confronti del quale vigeva al tempo una vasta solidarietà internazionale, e oggi non è più così. E dall’altra parte, invece, gli europei dell’Ovest non hanno accolto quelli dell’Est come se fossimo ancora ai tempi di Solidarnosc.

Questo ci aiuta a spiegare il perché dell’euroscetticismo polacco attuale…

E’ vero. Quando parliamo dell’euroscetticismo polacco, dimentichiamo che questo paese, per arrivare ad ancorarsi alle strutture euroatlantiche (la Nato nel 1999 e l’Ue nel 2004), ha pagato un costo sociale enorme. E’ transitato da un modello all’altro senza avere né modelli né paracadute. I polacchi ce l’hanno fatta, e però oggi hanno dei tassi di disoccupazione alti e un forte malcontento sociale. Ho l’impressione che un certo relativo disamore dei polacchi verso l’Europa sia dovuto soprattutto ai costi della transizione, ma c’è anche un problema di psicologia collettiva. Se per 15-17 anni l’elite, la classe dirigente dice al paese che l’obiettivo è ancorarsi alle strutture euroatlantiche, è chiaro che alla fine di questo processo la gente si chieda: va bene, finora avete parlato solo di Europa e Nato, ma la Polonia che fine ha fatto? E’ così che questa transizione ha bruciato tutte le elite, sia postcomuniste sia post-Solidarnosc. Tutti i grandi nomi, i grandi vecchi che hanno fatto la transizione, ora o sono fuori dalla politica o sono fuori dai giochi. Oggi emerge una nuova classe dirigente, che però non sa muoversi così bene, e che crede che alzando la voce si ottiene di più, anche se non penso sia vero.

E che fine ha fatto l’altra Polonia, quella europeista, laica e progressista, quella di Adam Michnik?

Il 64% dei polacchi, secondo i sondaggi, è contento di stare in Europa. Oggi c’è una nuova classe politica rumorosa che, per differenziarsi dalla vecchia classe dirigente che spingeva verso l’Europa, ha assunto toni antieuropeistici. E usano questi toni perché sono convinti che sia una chiave per contare di più in Europa. Il discorso è “contare di più”, e non “uscire dall’Europa”.

E così Varsavia conta di più?

Sicuramente non conta di più se va contro la Germania e contro le minoranze. E nemmeno se continua a non crearsi alleanze in Europa, a non fare mediazione e compromessi, a non partecipare a progetti comuni. Però oggi il mercato comune delle idee dell’Europa è abbastanza debole, non sento grandi proposte provenire dalla Francia, dall’Italia o dalla Gran Bretagna. Non possiamo pretendere che i polacchi ci risolvano tutto. Ci vorrebbe una proposta che agglutina tutti quanti, e potrebbe essere quella dell’energia, che è un problema che riguarda tutti.

E in quale campo la Polonia può fornire un apporto indispensabile, un valore aggiunto, al futuro dell’Ue?

Può fornirlo alla riconciliazione tedesco-polacca, che rappresenterebbe un modello per l’Europa. E’ iniziata nel 1965, ma va ancora portata a termine. Come hanno fatto anche molti polacchi, anch’io leggo in questa chiave il recente viaggio del Papa tedesco in Polonia.



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