Due cerchi concentrici: “Un nucleo politico,
ossia gli ‘Stati Uniti d’Europa’
fondati sulla zona euro, con attorno una confederazione
di paesi che potremmo definire ‘Organizzazione
degli Stati europei’”. Di fronte al fallimento
dei referendum olandese e francese, di fronte a un’Europa
in crisi, al centro di “una tempesta non passeggera”,
il premier belga Guy Verhofstadt rilancia il progetto
dell’Europa politica. Lo fa in un libro dal
titolo emblematico (Gli Stati Uniti d’Europa,
Fazi Editore, pagine 80, 8,50 euro), in cui avverte:
“E’ il progetto stesso dell’Ue che
oggi viene messo in discussione”.
L’Europa politica è un sogno che era
vivo già in letterati come Victor Hugo e in
politici come Winston Churchill (che nel 1946 invocava
“la necessità di una sorta di Stati Uniti
d’Europa”) e Jean Monnet (“Abbiamo
intrapreso un viaggio di sola andata per gli Stati
Uniti d’Europa”). L’ex candidato
alla presidenza della Commissione europea ricorda
le sfide principali che stanno indebolendo il progetto
europeo, dall’invecchiamento della popolazione
alla concorrenza globale, dalla crisi dell’economia
(tra il 1992 e il 2002 l’occupazione nella zona
Euro è cresciuta del 6,5%, contro il 17% degli
Usa) alle paure che si diffondono tra i cittadini
del continente (l’idraulico polacco, l’allargamento,
la perdita dei diritti assicurati dal modello sociale
europeo).
Per rispondere a queste sfide, serve, secondo Verhofstadt,
più Europa. Il suo messaggio non è del
tutto federalista, come quando ammette, fedele al
principio di sussidiarietà, che Bruxelles “deve
lasciare agli Stati membri le questioni che possono
affrontare meglio da soli”: “In determinati
settori l’Unione è troppo presente. L’Ue
non deve esprimersi in materia di cultura o di sport.
Né deve intraprendere iniziative in settori
quali la struttura dell’assistenza sanitaria,
la previdenza sociale, l’istruzione, la gestione
dei servizi pubblici o dell’apparato giudiziario”.
Nel libro abbondano, comunque, proposte concrete
e coraggiose per una maggiore integrazione europea.
Su temi decisivi come la pressione fiscale e la protezione
sociale (rigidità del mercato del lavoro, lunghezza
della carriera lavorativa), Verhofstadt auspica che
sia Bruxelles a definire una “fascia di fluttuazione”,
valori minimi e massimi cui devono attenersi le politiche
degli Stati membri, un po’ come già succede
con il patto di stabilità e di crescita. Chiede
che si crei, all’interno della Commissione,
un gabinetto socioeconomico, composto dai commissari
competenti, che guidi la politica dell’Ue. Propone
la nascita di un brevetto europeo, e che si sposti
l’1% del Pil dalle imposte dirette a quelle
indirette per aumentare l’occupazione.
Il capo dell’esecutivo liberal-socialista belga
sottolinea l’importanza delle risorse finanziarie,
del cui prelievo chiede la riforma: “Vanno aboliti
i versamenti nazionali, calcolati in base al reddito
interno lordo. Sarebbe preferibile ricavare le entrate
dell’Unione dalle imposte sul consumo o dalle
ecotasse. Come negli Usa, ogni famiglia deve poter
vedere, ad esempio sullo scontrino fiscale, che percentuale
delle tasse è destinata al finanziamento dell’Europa
e quale alle casse dello Stato membro. Così
tutti si renderanno conto di quant’è
ridotto il bilancio europeo rispetto a quello dei
singoli Stati, e sarà chiaro che l’Europa
che naviga nell’oro è solo un mito”.
Europol, inoltre, dovrebbe diventare un ufficio d’investigazione
europeo e Eurojust un tribunale europeo. L’“eurogergo”
dovrebbe farsi più vicino ai cittadini: la
commissione diventi “governo”, il “presidente
del Consiglio europeo” diventi il “presidente
dell’Europa”. Verhofstadt rilancia inoltre
la necessità di una vera politica di difesa,
con un esercito comune, e di una vera politica estera,
con un ministro competente, con un seggio unico all’Onu
e con un unico corpo diplomatico (un’ambasciata
europea in ogni paese terzo). Le istituzioni siano
più semplici: come in tutte le democrazie parlamentari
il governo europeo dovrebbe ottenere la fiducia di
un Parlamento bicamerale ed essere guidato da un presidente,
il quale a sua volta dovrebbe essere eletto direttamente
dai cittadini.
Il progetto è ambizioso e arduo, ma per confortare
gli europeisti si può forse ricordare, come
fa l’autore, che anche la federazione degli
Stati Uniti non nacque in un giorno o senza ostacoli.
La Costituzione entrò in vigore solo grazie
all’articolo VII, che stabiliva che per l’approvazione
bastava il sì di 9 dei 13 Stati, e per oltre
un secolo gli Usa “furono governati sotto molti
aspetti come una confederazione”. Fino al 1861
l’esercito federale americano non ebbe mai più
di 15mila soldati, e nel 1929 “solo l’1%
del Pil americano andò al governo federale”,
un dato paragonabile alle risorse finanziarie dell’Ue
nel 2005. Verhofstadt cita diversi rilevamenti di
Eurobarometro, secondo cui i cittadini del continente
vogliono più Europa, un’Europa più
forte e più efficace: 3/4 dei cittadini vogliono
una difesa comune, 2/3 una politica estera comune,
una grande maggioranza invoca una Europa politica,
una Costituzione e più poteri al Parlamento.
Sottotraccia si avverte, va detto, un atteggiamento
vagamente retrò. Più che un protagonista
dell’Europa a 25 (verso l’allargamento
l’autore non spende mai parole di grande entusiasmo,
neanche retoricamente), si sente che Verhofstadt,
oltre ad essere un tipico europeista funzionalista
(il metodo concreto dei piccoli passi), è anche
in fondo un nostalgico dell’Europa dei 6, quell’Europa
concreta, lenta ma solida del “nocciolo duro”.
Nonostante questo particolare un po’ anacronistico,
il suo manifesto non può che essere benvenuto,
in un momento di crisi non solo dell’Europa,
ma dello stesso dibattito intorno all’Europa.
“La via verso quest’Europa politica va
nuovamente incoraggiata”, implora Verhofstadt.
“C’è un grande bisogno di forti
slanci e idee coraggiose per scuotere l’Europa”,
gli fanno eco Giuliano Amato e Romano Prodi nella
prefazione, invocando “visione, idee forti e
uomini che abbiano la coscienza di cosa significa
l’interesse comune europeo”. “E’
necessario che i paesi come l’Italia, tradizionalmente
europeisti, ritornino ad essere protagonisti del suo
rilancio”, spiegano, e dopo le elezioni nessuno
più di loro possono far avverare quella speranza.
“Si tratta forse dell’ultima grande Utopia:
la nascita dell’Europa politica e democratica
– concludono Amato e Prodi, in armonia con il
manifesto di Verhofstadt – Si tratta di un progetto
possibile”.
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