In più occasioni la Danimarca e i danesi
si sono fatti notare, in maniera piuttosto vistosa,
nell’ambito dell’Ue. L’esempio più
eclatante è stato il referendum sul Trattato
di Maastricht, svoltosi più di dieci anni fa,
dove lo scetticismo nei confronti dell’architettura
della collaborazione europea ha prodotto un “no”
al Trattato. Ma anche in tempi recenti, quando i danesi
hanno rifiutato di entrare a far parte dei paesi dell’eurogruppo.
Inoltre, i sondaggi fatti all’inizio del 2005
hanno mostrato che c’era da dubitare che i danesi
avrebbero votato a favore del Trattato Costituzionale
dell’Ue. In quei casi è stato sottolineato
come il popolo danese sia stato più informato
sulle strutture reali, sui rapporti di potere e sulle
procedure decisionali dell’Ue rispetto alla
maggioranza degli altri popoli europei. Tutta una
serie di governi del passato e una stampa quasi all’unisono
filoeuropea hanno, nel corso degli ultimi 33 anni,
compiuto un impegno colossale per informare il popolo
danese su ogni possibile dettaglio della costruzione
europea. Si potrebbe aggiungere che la partecipazione
al voto in Danimarca ai referendum comunitari si è
mostrata allo stesso livello (e a volte perfino a
un livello più alto) della partecipazione alle
elezioni parlamentari nazionali, il che vuol dire
considerevolmente al di sopra dell’80%. In Danimarca
la partecipazione al voto si basa su un concetto di
volontarietà. Questo significa che quasi tutti
i danesi desiderano partecipare al voto, quando c’è
da esprimersi su importanti questioni comunitarie.
In base a questa premessa è lecito presupporre
che in questo momento il Trattato Costituzionale dell’Ue
sia oggetto di intense discussioni in Danimarca, insomma
che “la pausa di riflessione” venga usata,
appunto, per riflessioni, discussioni, informazioni
e argomentazioni. Nulla di tutto questo. A parte le
consolidate istituzioni Ue, (tra cui soprattutto la
rappresentanza, che svolge un lavoro eroico per mantenerne
vivo il dibattito), letteralmente nessuno discute
più questioni relative all’Ue. I politici
non discutono, i partiti non discutono, i giornali
non discutono, le radio e la TV non discutono –
e i cittadini non sognerebbero neppure di discutere
né l’Ue, né il Trattato Costituzionale
o altri argomenti simili durante i loro pasti. In
altre parole, non si prevede, neanche minimamente,
che i danesi, alla fine della “pausa di riflessione”,
produrranno proposte originali, ben pensate e ampiamente
discusse volte a migliorare, accettare, rifiutare,
peggiorare oppure in qualche altro modo modificare
la bozza per il Trattato Costituzionale. Di quest’argomento
i danesi non se ne occupano. L’argomento è
morto. Morto e sepolto. Le spiegazioni di tutto ciò
possono essere suddivise in due categorie principali,
che illustrerò qui di seguito. Infine cercherò
di indicarne le conseguenze.
In primo luogo i danesi appaiono piuttosto soddisfatti
dell’Ue e del modo in cui l’Unione funziona.
È passato molto tempo dal primo voto nel 1972.
La maggior parte dei giovani, che allora erano contro
l’Ue, ha raggiunto la maggiore età ed
è diventata adulta e più ragionevole,
e nuove generazioni di elettori sono nate e cresciute
in un mondo in cui l’Ue (e i suoi predecessori)
costituisce qualcosa di naturale e scontato. Nella
vita quotidiana non è che l’Ue dia più
fastidio rispetto ad altri organi amministrativi con
i quali bisogna convivere (lo stato, le regioni, i
comuni). Si potrebbe dire che l’Ue costituisce
una parte di quelle “condizioni-cornice”
di una vita normale nella Danimarca di oggi. Uno lavora
in un altro Paese membro, uno ha studiato in un altro
Paese dell’Ue, si hanno clienti e fornitori
in altri Paesi membri, si partecipa a diversi progetti
che sono finanziati, parzialmente o per intero, dall’Ue,
e una gran parte della legislatura che regola il proprio
ambito di lavoro è costituita da direttive
comunitarie. L’Ue è normale
– e per questo non è una cosa che si
discuta. Il clima che, come si sa, per antonomasia
costituisce la cornice per la vita umana, viene discusso
molto di più dell’Ue, probabilmente perché
le condizioni meteorologiche della Danimarca sono
molto più imprevedibili e fastidiose che in
altri Paesi dell’Ue. Questa normalizzazione
dell’Ue come parte integrante di un mondo scontato
ha, in maniera inequivocabile, un legame con un aspetto
temporale, e cioè il tempo che è passato.
È da notare che i partiti danesi più
euroscettici, in maniera piuttosto sistematica si
sono dichiarati grandi sostenitori del precedente
trattato ogni volta che un nuovo elemento è
stato presentato agli elettori europei. Quindi, i
partiti si sono abituati ai trattati in vigore. In
questo caso è quasi banale, ma anche veritiero,
sostenere che meno si parla dell’Ue, più
popolare è la collaborazione europea. Dall’altra
parte, quando la questione Ue verrà di nuova
messa sull’agenda perché ci saranno importanti
decisioni da prendere, tutti quelli che sono piuttosto
soddisfatti coglieranno un’altra volta l’opportunità
di dare voce alla loro insoddisfazione. Soltanto finché
non si parla dell’Ue, c’è
soddisfazione. Si potrebbe fare un esempio simile,
immaginandosi che cosa i cittadini voterebbero, se
fosse varato un referendum sulla costruzione del sistema
elettorale per il Parlamento, sul numero di sedi nei
consigli comunali oppure sulla suddivisione dei dipartimenti
dei ministeri nazionali. È più che probabile
che anche la costruzione di queste normali strutture
sarebbe stata criticata. Ciò, ovviamente, costituisce
un grave potenziale problema per l’Unione che
si potrebbe sintetizzare così: solo quando
l’Ue non si cambia, e perciò non richiede
una presa di posizione, l’Unione avrà
un supporto da parte dei danesi.
In secondo luogo la maggior parte del dibattito
sull’Ue in Danimarca ha avuto come argomento
principale le sue strutture e i suoi sistemi, e cioè
quelli che potrebbero essere definiti gli organigrammi.
Questo, da una parte, è il motivo per cui tale
discussione non è mai diventata veramente popolare,
e, dall’altra, il motivo per cui i danesi appaiono
così bene informati per quanto riguarda l’Ue.
L’elevato tasso di istruzione in quel campo,
però, riguarda cose che solo i pubblici funzionari
ritengono interessanti. Solitamente le relazioni strutturali
vengono giudicate completamente prive di interesse
ed estranee alla maggioranza degli esseri umani. Essi,
casomai, s’interessano agli altri essere umani,
all’arte, allo spettacolo, al teatro, alla letteratura
e a tutti quegli argomenti nei quali è possibile
rispecchiarsi. È una specialità per
pochi iniziati essere capaci di immedesimarsi in una
struttura astratta, amministrativa oppure politica,
e perfino trarne piacere.
In quest’ottica l’Ue è ancora
meno interessante come argomento di dibattito rispetto
alla recente riforma sulla struttura comunale della
Danimarca e la sua successiva realizzazione nelle
nuove regioni. In pratica, anche se quest’ultimo
argomento coinvolge attivamente, al livello locale,
un notevole numero di persone, detta riforma comunale
non è in alcun modo fra gli argomenti preferiti
nella vita quotidiana dei danesi. Al contrario, è
un argomento che appare noioso, soporifero, senza
interesse.
Ovviamente, si può sempre contribuire a una
discussione su certe cose, se uno per forza deve
– ma privi, però, della voglia di partecipare.
Infatti, queste discussioni, solitamente, si svolgono
in brutte stanze con una cattiva illuminazione, seduti
su sedie scomode. Non in forme private, come quando
si sceglie liberamente di cosa parlare.
Ciò costituisce un altro fastidioso e fondamentale
problema nel progetto europeo. In Danimarca
abbiamo sviluppato una tradizione secondo cui le questioni
comunitarie importanti vengono trattate attraverso
referendum popolari. In altre parole, usiamo uno strumento
politico per trattare argomenti che, per natura non
sono politici, bensì amministrativi e organizzativi.
È quasi spaventoso che questa procedura, così
poco giusta, si stia diffondendo anche ad altri paesi
membri. E non è probabile che, in quei paesi,
le esperienze saranno diverse rispetto alle esperienze
che si stanno vivendo in Danimarca da decenni. Il
referendum sul Trattato Costituzionale, svoltosi in
Francia l’anno scorso, indica chiaramente come
la natura umana in certi casi sia più o meno
uguale in tutta Europa.
(traduzione di Jesper Storgaard Jensen)
Qesto scritto è un estratto dall’intervento
che l’autrice ha tenuto a “Transeuropaespress
2006 – L’Europa alla prova del consenso”
organizzato a Roma dalla Fondazione Ratti e dalla
Casa delle Letterature di Roma.
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