Ora che Ariel Sharon è addormentato nella
sua mezza vita, le lodi all’uomo politico si
sprecano in Francia. Eppure, le buone relazioni tra
l’ex falco del Likud e il mondo politico francese
sono questione di qualche mese fa, quando a luglio
il presidente della Repubblica Jacques Chirac ricevette
il capo del governo israeliano a Parigi elogiandone
il coraggio e indicandolo come una speranza per la
pace.
Cambio di fronte repentino se si considera l’irritazione
antica che un personaggio come Sharon ha sempre suscitato
presso una politica francese tradizionalmente filoaraba
e, almeno dal 1967, favorevole alla causa del popolo
palestinese e dei suoi leader. Se la Francia ha sempre
riconosciuto l’esistenza di una legittima dirigenza
palestinese e si è sempre detta a favore della
creazione di uno Stato sotto la direzione di questa,
dall’altra l’ex primo ministro israeliano
per anni non ha neanche preso in considerazione l’ipotesi
di un’entità palestinese, figurarsi riconoscere
un ruolo e una legittimazione ad un uomo come Yasser
Arafat, nel migliore dei casi considerato come un
sanguinario terrorista.
Nel 1982 François Mitterrand, primo tra i
presidenti della V Repubblica, si reca in visita ufficiale
in Israele e alla Knesset pronuncia uno storico discorso
durante il quale esprime il punto di vista francese
sulla questione palestinese. Qualche mese dopo, allora
ministro della Difesa, Sharon lancia le truppe israeliane
all’assalto del Libano dopo aver fatto credere
al Presidente Mitterrand che avrebbe agito con moderazione.
La tragedia di Sabra e Chatila e l’evacuazione
da Beirut di Arafat grazie all’esercito francese
inaspriscono le tensioni tra i due stati e segnano
l’immagine del “bulldozer” israeliano.
Nel 2000, la passeggiata di Sharon sulla spianata
delle Moschee, conferma l’immagine che i francesi
hanno di un uomo che considerano un provocatore deprecabile.
In quell’occasione l’Humanité,
il quotidiano del Partito comunista titolava: “Sharon
il macellaio dà fuoco alle polveri”.
Divenuto capo del Governo con il Likud, in Francia
Chirac e il rivale socialista in coabitazione forzata,
Lionel Jospin, convergono almeno su un punto: con
la sua politica di colonizzazione dei Territori e
l’assedio di Arafat a Ramallah, Sharon è
oggettivamente un ostacolo per la pace.
Del resto il giudizio è ricambiato dalla parte
di Tel Aviv e quando Sharon, nel giugno 2004, invita
pubblicamente gli ebrei francesi “a immigrare
in Israele il prima possibile” per sfuggire
da “un antisemitismo selvaggio” che si
espande in Francia grazie alla presenza del “10%
di musulmani nella popolazione”, i rapporti
diplomatici tra i due Paesi crollano al loro minimo
storico. “Ha perduto un’occasione per
tacere” replicò per tutti il presidente
dall’Assemblea nazionale Jean-Luis Debré.
Poi la morte di Arafat (avvenuta a Parigi dove era
venuto a curarsi), il successivo cambio di strategia
di Sharon (costruzione del Muro e ritiro dalla striscia
di Gaza) e la posizione di Israele sul dossier nucleare
iraniano (manifesta astensione da ogni coinvolgimento
molto apprezzata dalla Francia), hanno contribuito
a far evolvere positivamente i contatti tra le due
diplomazie. Questo nuovo corso bilaterale è
stato voluto da Chirac e il Primo ministro Dominique
de Villepin, desiderosi di riorientare la propria
politica mediorientale per migliorare i rapporti con
l’amministrazione Bush, messi male dopo la questione
irachena, e riconquistare spazio diplomatico nella
zona.
Dopo questa lunga e tumultuosa storia, ora tutti
parlano di Ariel Sharon come di un pragmatico uomo
di pace e si preoccupano dell’incertezza che
si è aperta con la sua uscita dalla scena politica.
Ma veramente la politica francese si è riconciliata
con la visione e l’azione politica dell’ex
duro di Tel Aviv? I dubbi permangono se è vero
che lo scorso luglio, nel corso del succitato incontro
tra Sharon e Chirac, si è parlato di Siria,
Libano e Iran mentre si è preferito soprassedere
sul tema del conflitto israelo-palestinese. Paura
delle divergenze?
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it