Se la maggioranza degli elettori tedeschi ha votato
a sinistra, perché la Germania si incammina
verso un governo di destra? Questa è la paradossale
domanda che ci si pone consultando i risultati delle
ultime elezioni di settembre, da cui appare un elettorato
in maggioranza orientato su posizioni di centro-sinistra.
Con una partecipazione al voto pari al 77,7% degli
aventi diritto, le preferenze espresse a favore di
Spd (34,2%), Grüne (8,1%) e Linke (Pds + Wasg,
8,7%) raggiungono infatti ben il 51%, contro il 45%
assegnato alla coalizione elettorale di centro-destra
composta da Cdu (27,8%), Csu (7,4%) e Fdp (9,8%).
Perché, quindi, non un governo rot-rot-grün
invece di una Größe Koalition
da stringersi con gli antagonisti di sempre, il Cdu
e Csu e che sta mettendo in fibrillazione l'area di
sinistra del Spd?
C'è da dire che nessuno è stato colto
di sorpresa da questa decisione, già da tempo
presagita e confermata più volte dalle dichiarazioni
rilasciate dai dirigenti del partito socialdemocratico,
prima e durante il periodo elettorale. Era lo stesso
Franz Müntefering, presidente dell'Spd, a confermare
questa linea di condotta in un'intervista rilasciata
il 24 luglio alla Zdf (seconda emittente televisiva
federale): “Non formeremo a livello federale
una coalizione col Pds, in nessun caso. Né
col Pds, né coi suoi 'ospiti' della Germania
Ovest (riferimento a Oskar Lafontaine, originario
del Saarland, ndr). Questo è certo. Così
la pensa il cancelliere Gerhard Schröder e così
la penso io. Se ci siano o meno altre opinioni in
seno al partito, è cosa che non so. Quel che
è certo è che non ci potrà essere
una collaborazione (col Pds e il Wasg di Oskar
Lafontaine, ndr)”.
Alcuni commentatori hanno visto in questo rifiuto
una strategia volta a isolare lo scismatico Oskar
Lafontaine, “ospite” del Pds: avviare
trattative con quest'ultimo avrebbe significato, in
primo luogo, accettare la linea politica dell'uomo
che “sei anni fa tradì il partito”.
Con queste parole Müntefering si riferisce a
Lafontaine, richiamando alla memoria la profonda crisi
interna causata nel 1999 dal “predicatore d'odio”,
dall'uomo “che ha diviso la sinistra”.
Ministro delle Finanze nel primo governo Schröder
(1998-2002) e presidente dell’Spd, Lafontaine
si dimise nel marzo di quell'anno da entrambe le cariche,
per prendere le distanze dal “mainstream
neoliberista”, capitanato dal cancelliere. Emarginato,
di conseguenza, da una vita partitica ormai dominata
dall'area centrista di Schröder e Müntefering,
decideva, quest'anno, a fine maggio, di lasciare quell'Spd,
al quale si era iscritto ancora studente nel 1966
e in cui, da quel 1999, non si riconosceva più,
per fondare il Wasg e stringere un patto elettorale
con il Pds. Molti hanno bollato questa scelta come
una vendicativa rivalsa su Schröder. Antje Vollmer,
deputato dei Grüne e vicepresidente del Bundestag,
si è mostrata, a riguardo, fin da subito, di
tutt'altro altro avviso. “Probabilmente Lafontaine,
dividendo la sinistra, vuole contribuire alla sua
unificazione. Fonda il suo Uspd, per farlo festosamente
ricongiungere a un rinnovato Spd tra un paio d'anni.
Un'impresa spinosa.”, dichiarava sul Tageszeitung
del 13 Luglio.
Ma se la ragione del rifiuto a priori di un governo
rot-rot-grün, a favore di una Größe
Koalition fosse il solo Lafontaine, come si giustifica
il fatto che questa stessa posizione era già
stata espressa da Schröder con un lapidario “Non
ci sarà nessun governo, dipendente in Parlamento
dal Pds”, già in occasione delle elezioni
del 2002?
In realtà, le motivazioni sono ben più
profonde, vanno ben al di là di facili personalismi,
radicandosi, piuttosto, nella storia recente dei rapporti
tra Spd e Pds.
Fino alla riunificazione delle due Germanie, l'Spd
era stato di fatto l'unico partito di centro-sinistra.
Questo stato di grazia dopo il 1990 mutò radicalmente
con l'ingresso nella vita politica tedesca del Sed/Pds,
visto come la versione riformista del partito-padrone
della Repubblica democratica tedesca. L'Spd fu costretto
a doversi confrontare con quella nuova realtà.
In un primo momento, ci fu un atteggiamento di totale
rifiuto, motivato dalla convinzione che il Pds, con
appena il 2,3% dei voti ottenuto nelle elezioni del
1990, sarebbe definitivamente scomparso nell'arco
di pochi anni dal quadro politico, sopravvivendo al
più in un ambito regionalistico. Questa previsione
fu, tuttavia, smentita dai risultati elettorali del
1994 e del 1998, in cui il Pds ottenne rispettivamente
il 4,1% e l'4,9% dei voti. Invece di estinguersi,
del tutto inaspettatamente, l'erede del Sed conquistava
sempre più consensi, e questo anche al di fuori
dei Land che formavano fino a qualche anno prima la
Rdt.
In ragione di questi risultati, l’Spd si trovò
costretto ad accettare il Pds, arrivando ad allearsi
con esso nel governo del Land del Mecklenburg-Vorpommern;
tuttavia, più questo processo di accettazione
e reciproco avvicinamento si intensificava, più
le tensioni nell'Spd si acuivano. In molti, avvertivano
il bisogno di una maggiore Abgrenzung, di
una delimitazione politica chiara, volta a preservare
l'identità del partito e allontanare il rischio
di derive estremiste. I timori nutriti dall'area centrista
dell'Spd in questi anni sono ben riassunti dallo storico
del partito socialdemotratico Heinrich August Winkler
in un articolo pubblicato dalla Frankfurter Allegemeine
Zeitung il 19 Ottobre 1999. Secondo Winkler,
“fosse il Pds soltanto il Sed con un nuovo nome,
esso non potrebbe porre in imbarazzo e in pericolo
l'Spd. Esso è tuttavia qualcos'altro: è,
esattamente come l'Spd, erede della vecchia, ancora
non divisa, socialdemocrazia marxista risalente a
prima del 1914. È da rinvenire in ciò
la causa profonda dell'attrattiva che il Pds esercita
su parte della socialdemocrazia e del suo elettorato
– e questo non solo nella Germania dell'Est
e a Berlino Est”.
Appena pochi mesi dopo, la tesi di Winkler sembrava
essere avvalorata dalla presentazione della Carta
dei 12 punti, documento programmatico con cui
il partito di Lothar Bysky e Gregor Gysi si opponeva
alla Carta Schröder-Blair (un documento sulla
socialdemocrazia europea siglato a Londra l'8 Giugno
1999) e adombrava la pretesa di essere l'unico, autentico
custode della tradizione socialista. In un'intervista
con Regina General, André Brie (tra i padri
della Reform che trasformò il Sed
in Pds) affermava sul settimanale Freitag
del 6 Ottobre 1999: “La Carta Schröder-Blair,
a parere mio e, credo, di Gysi, rappresenta un taglio
profondo nel programma socialdemocratico, mette a
riposo tradizioni, che valsero per un secolo intero”.
Oltre a ciò, esiste anche un'altra questione
che Franz Müntefering, pochi mesi dopo la presentazione
della Carta dei 12 punti, avrebbe introdotto
nel dibattito interno al partito con un articolo dal
titolo “Il Pds ha fallito” (Die Welt,
17 Aprile 2000) e che, già prima di allora,
era stata spesso avanzata dal centro-destra come ragione
di non “affidabilità” del Pds:
quanto del Sed è rimasto nel Pds? E, in che
misura, l'ideologia di cui è portavoce è
conforme alla democrazia tedesca?
Queste domande che possono sembrare pretestuose, hanno
sempre avuto larga eco tra l'elettorato dei Grüne
e di centro-destra e un recente caso di cronaca politica
ha dato loro ancor più peso. Lutz Heilmann,
eletto deputato in queste ultime elezioni, è
stato accusato, in un'inchiesta apparsa sulla rivista
Der Spiegel, di essere stato nel 1989 collaboratore
del Ministero per la Sicurezza dello Stato della Germania
orientale, più noto come Stasi, e di aver intenzionalmente
nascosto questo suo trascorso agli elettori. Heilmann
ha confermato le accuse a lui mosse dal giornale sottolineando,
tuttavia, come avesse informato del fatto i “compagni”
prima di proporre la propria candidatura. Di certo,
agli elettori non ne è giunta voce. Riguardo
alla vicenda, un portavoce del Pds avrebbe dichiarato
di non vedere nella faccenda “nessun grosso
problema” e così oggi Heilmann ha l'onore
di essere il primo collaboratore della Stasi a sedere
tra i banchi del parlamento tedesco.
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