Il
3 ottobre scorso, in Lussemburgo, mentre i rappresentanti
dei venticinque paesi dell’Ue cercavano una
mediazione con l’Austria per dare l’avvio
ai negoziati di adesione con la Turchia, sotto le
loro finestre, per le strade, era in corso una manifestazione
di europei di origine armena arrivati fin lì
per ribadire il loro no all’adesione del Paese
che nel 1915 ha sterminato il loro popolo e che da
allora si rifiuta di riconoscere il genocidio perpetrato
ai danni degli armeni.
Abbiamo incontrato Harout Mardirossian, presidente
del Comitato per la difesa della causa armena (Cdca),
che da anni con la sua organizzazione si batte in
Francia e in Europa affinché la verità
storica venga ristabilita e la Turchia si assuma la
responsabilità dei crimini contro l’umanità
che ha commesso nel passato.
In vista di una sua futura adesione all’Ue,
i Venticinque hanno preso all’unanimità
la decisione di avviare i negoziati con la Turchia.
Molte riserve e da più parti sono state espresse
su questo processo. Tra i dossier caldi ci sono il
riconoscimento di Cipro, la questione kurda, il rispetto
dei diritti umani e, ovviamente, il dibattito sulla
storia armena. Cosa pensa di questa decisione?
Ci vedo il fallimento dei valori europei, di chi
accetta di avviare dei negoziati con un paese genocida
e negazionista, senza rendere giustizia alle vittime
e alla loro memoria. Ora l’Ue deve far intendere
le sue ragioni alla Turchia. Noi non possiamo accettare
che i negoziati si facciano sulle spalle del popolo
armeno: la realtà del genocidio non può
essere negoziabile. Nel 1987 l’Unione Europea
diceva che non avrebbe accettato candidature senza
il riconoscimento del genocidio armeno e nel 1999
l’ha accettata. Poi ci ha detto che nessun negoziato
sarebbe stato avviato senza il riconoscimento e i
negoziati sono iniziati il 3 ottobre 2005. Ora ci
dice che non ci sarà adesione senza riconoscimento
del genocidio armeno, ma come possiamo darle ancora
fiducia? La credibilità dell’Europa è
morta il 3 ottobre 2005.
Molti, tra questi Chirac, sostengono che se
l’Ue avesse rifiutato di avviare i negoziati,
la Turchia si sarebbe chiusa su posizioni “integraliste”.
Non crede che la prospettiva dell’adesione possa
servire alla Turchia anche per intraprendere un processo
di rinnovamento culturale, oltre che istituzionale,
che la porti ad abbandonare la sua posizione negazionista
sul genocidio?
Nel caso della Turchia noi rifiutiamo tutti gli argomenti
volti a fare di questa candidatura un problema di
“choc di civiltà” o di “integrazione
dell’islam in Europa”. Certo che un paese
musulmano può legittimamente aspirare a essere
integrato nell’Ue, ma non un paese che ha commesso
un crimine contro l’umanità e si rifiuta
di riconoscerlo e di ripararlo come fa la Turchia
attualmente.
Noi crediamo che la volontà di adesione dei
turchi debba portarli a compiere dei necessari gesti
di pace. C’è da constatare che su questo
terreno la Turchia non ha compiuto nessuno sforzo
né sull’evacuazione dell’isola
di Cipro occupata illegalmente dal 1974, né
sui diritti delle minoranze kurde, né sul riconoscimento
del genocidio armeno.
Quali sono, rispetto alla questione armena,
le condizioni minime che la Turchia deve rispettare
prima di poter raggiungere l’Ue?
Sono semplici e sono indicate dai criteri fissati
dal Parlamento europeo il 18 giugno 1987 e ribadite
nell’ottobre 2001, nel novembre 2002, nell’ottobre
2003, il 16 dicembre 2004 e il 28 settembre 2005:
evacuazione dell’isola di Cipro, liberazione
dei prigionieri politici e instaurazione di uno stato
di diritto che garantisca i diritti dell’uomo,
dare alla minoranza kurda uno statuto, garantire i
diritti di tutte le minoranze compresa quella cattolica,
riconoscere e condannare il crimine di genocidio degli
armeni e levare l’embargo all’Armenia
che dura dal 1991.
Molti in Europa non vedono di buon occhio
l’adesione turca. I francesi, ad esempio, secondo
un recente sondaggio, sarebbero in maggioranza contrari,
tanto che il presidente della Repubblica, Jacques
Chirac, si è visto costretto a promettere che
alla fine del negoziato, tra dieci o quindici anni,
saranno i cittadini stessi a decidere con un referendum;
per questo ha fatto modificare la Costituzione. Quanto
la questione armena ha pesato nell’influenzare
l’opinione pubblica, soprattutto in Francia
dove si trova la comunità armena più
grande d’Europa?
Tre anni fa, nel corso delle manifestazioni che abbiamo
organizzato prima del summit di Copenaghen, nessun
partito aveva preso impegni formali. Oggi tutti i
partiti politici rappresentati al Parlamento si sono
allineati dietro il nostro slogan: “Niente Turchia
in Europa senza riconoscimento del genocidio del popolo
armeno”.
Questi successi sono stati possibili grazie alla mobilitazione
del Cdca presso i dirigenti politici e grazie alle
iniziative che ha lanciato: un appello firmato da
più di 400 personalità e pubblicato
sulla stampa internazionale, una petizione sottoscritta
da 28.500 cittadini circa e trasmessa al presidente
della Repubblica, incontri e riunioni pubbliche d’informazione
attraverso tutta la Francia. Ma soprattutto, la mobilitazione
è stata possibile perché i nostri interlocutori
sapevano che eravamo nella verità, che lottiamo
per la giustizia e contro la real politik.
Perché secondo lei la questione armena
ha così faticato ad assumere visibilità
presso l’opinione pubblica europea e perché
proprio ora si comincia a parlarne?
La questione armena risale al 1965 e da allora è
perfettamente conosciuta da tutte le cancellerie occidentali.
Il Parlamento europeo ha espresso il suo parere sulla
questione nel 1987. Bisogna comprendere che c’è
attualmente in Europa una campagna negazionista portata
avanti dalla Turchia, volta a sotterrare la questione
armena. Tutti i mezzi di ricatto sono utilizzati,
comprese le rappresaglie finanziarie verso gli Stati
o i giornali o le televisioni che parlano del genocidio.
Sul fondo, però, tutti conoscono il problema.
Basta vedere come più della metà dei
paesi membri dell’Ue hanno già riconosciuto
il Crimine contro gli armeni, tra i quali, lo scorso
anno, la Polonia e la Slovacchia, membri dell’Unione,
e la Svizzera.
Non c’è il rischio che detrattori
dell’adesione turca all’Ue come i sovranisti
nazionalisti alla Le Pen usino strumentalmente il
genocidio degli armeni?
Certo che questo rischio esiste e lo teniamo in conto.
Allo stesso tempo bisogna dire che la Turchia non
ci aiuta molto con la sua arroganza, il suo ricatto
permanente e le sue posizioni negazioniste. Un sondaggio
realizzato nel 2004 mostra come ci sia un 23% dei
francesi contrari l’adesione turca pronto a
cambiare parere qualora i turchi riconoscessero il
genocidio degli armeni. La Turchia sa cosa deve fare
per conquistare il cuore degli europei.
Perché, a vostro avviso, la Turchia
mantiene ancora questa posizione di chiusura assoluta,
completamente negazionista, anche quando moltissimi
governi hanno già riconosciuto il genocidio
e persino il papa Giovanni Paolo II ne ha denunciato
“l’aberrazione disumana”?
La Turchia moderna si è costruita sul genocidio
armeno e il potere dell’esercito. Riconoscere
che nel 1915 l’Esercito agli ordini dei Giovani
turchi ha deliberatamente sterminato un popolo vuol
dire per i turchi erodere le fondamenta della Repubblica.
Senza contare le eventuali riparazioni morali e finanziarie
che un processo di riconoscimento richiederebbero.
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