Come deve essere la nuova Europa? Cultura della
cittadinanza o sperequazione sociale? Welfare
state o liberismo assoluto? Sono queste alcune
delle domande a cui hanno cercato di rispondere esperti
del mondo economico-sindacale durante il seminario
dal titolo Welfare in Europa, che si è
tenuto venerdì 9 settembre nella sede della
Cgil nazionale e durante il quale è stato presentato
il primo volume degli Annali della Fondazione Di Vittorio
(casa editrice Ediesse): un’iniziativa editoriale
nata per fornire agli iscritti della Cgil, ai lavoratori
e a tutti coloro che si occupano di diritti sociali,
un agile strumento per l’analisi del mondo del
lavoro.
I seminari della Fondazione guidata da Adolfo Pepe,
che si tengono regolarmente da anni, si caratterizzano
per una spiccata volontà di approfondimento
che mescola l’approccio scientifico con una
prospettiva storica e socio-economica fortemente ancorata
alla realtà dei problemi: “una giusta
mediazione – come dice Ornella Bianchi, docente
dell’Università di Bari intervenuta al
seminario – tra analisi storica e progettualità
politica”. Altrettanto caratteristico è
l’approccio internazionale, perché solo
una visione d’insieme ad ampio raggio può
fornire adeguate chiavi di lettura per comprendere
lo stato dei diritti. E il tema al centro di questo
primo numero degli Annali è proprio il welfare,
lo stato sociale, in Italia e in Europa.
La comparazione tra le differenti esperienze nazionali
risulta particolarmente illuminante per capire a che
punto è la difesa dei diritti nella nuova Europa
allargata. Il caso della Gran Bretagna sembra aver
confermato l’ipotesi secondo cui ridefinire
lo stato sociale attraverso aggiustamenti e ridimensionamenti
non vuol dire semplicemente ristrutturare il sistema
dei diritti ma significa, di fatto, aumentare i livelli
di sperequazione sociale. Uno stato sociale che non
è più in grado di offrire un adeguato
pacchetto di garanzie non è più uno
stato sociale. Come ha spiegato Gloria Chianese, dell’Insmli
(Istituto nazionale per la storia del movimento di
liberazione in Italia), “stato sociale e democrazia
sono due concetti che vanno e devono andare di pari
passo. Non è un caso che in Spagna, per esempio,
lo stato sociale sia nato proprio con la fine del
franchismo”.
Parlare di stato sociale in Europa vuol dire, innanzitutto,
restituire popolarità all’Unione e dimostrare
i pericoli della “Non Europa”, ovvero
della deriva anti-democratica e anti-sociale insita
nei processi di indebolimento dello stato sociale
che stanno investendo anche molti Paesi dell’Unione.
La possibile vittoria della CDU in Germania ne è
una chiara dimostrazione. Come ha spiegato Michael
Braun, direttore della Fondazione Friederich Ebert,
che collabora da anni con la Fondazione Di Vittorio,
“il voto che la Germania si prepara ad esprimere
è chiaramente un voto sullo stato sociale.
Schröder potrebbe essere punito per i tagli ai
sussidi di disoccupazione e per le riforme del mercato
del lavoro. I cittadini non sanno che è stata
la CDU ad aver imposto molti dei tagli voluti dal
governo eppure il partito cattolico di Angela Merkel
ha guadagnato popolarità. E non è un
caso – conclude Braun – che in Germania
stia nascendo una nuova sinistra attenta ai diritti
sociali più di quanto lo fosse stata quella
che può essere definita la sinistra ‘post-moderna’
dei Verdi, che puntava soprattutto sui diritti umani
e ambientali”.
Cinque gli obiettivi che l’Europa è
chiamata a perseguire. Il primo, fondamentale, passo
che si deve compiere è valorizzare in ambito
globale l’esperienza europea dello stato sociale
e far sì che esso venga esportato altrove e
non, come sta accadendo, indebolito all’interno
degli stessi Paesi membri. Poi, la costruzione della
pace, dentro e fuori l’Europa. E ancora, il
cambiamento radicale della politica della sicurezza,
la riforma degli organismi sovranazionali e la promozione,
con ogni strumento, della libertà e dei diritti
di cittadinanza. Infine sarà necessario ostacolare
qualunque pratica di prevaricazione dei diritti sociali
e individuali. “La sfida è impegnativa”,
commenta Gloria Chianese: “Ci troviamo di fronte
a dilemmi di difficile soluzione che richiedono una
riflessione attenta. Il welfare state non può
essere ridimensionato ma deve essere in grado di rispondere
alle sfide della globalizzazione e fornire delle garanzie
a tutti i lavoratori”.
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