Europa e America si guardano allo specchio, e dal
Vecchio Continente occhiate diffidenti giungono oltreoceano.
Questo ci dicono i dati di Transatlantic Trends,
il sondaggio d’opinione condotto ogni anno in
Europa e Stati Uniti dal German Marshall Fund
e dalla Compagnia di San Paolo.
Svolta tra il 30 maggio e il 17 giugno, assai prima
che l’uragano Katrina si abbattesse sulle vite
americane e sulle politiche del presidente, la ricerca
testimonia che se il 54% degli statunitensi vede con
favore un rafforzamento dei rapporti tra Usa e Ue,
per tutta risposta il 55% dei cittadini europei vorrebbe
essere più indipendente dagli Stati Uniti,
almeno per quanto riguarda le questioni diplomatiche
e di sicurezza internazionale. E fra i vari paesi
europei sono Francia (69%) e Italia (66%) quelli che
maggiormente propendono verso l’indipendenza.
Ma non è tutto. Infatti il 73% del popolo Usa
vedrebbe positivamente una crescita della leadership
europea, viceversa il 59% degli abitanti del Vecchio
Continente è contrario all’egemonia americana.
Insomma, a sei mesi dall’inizio del secondo
mandato, Bush, nonostante gli sforzi per rinsaldare
i rapporti con l’Ue, non ha ottenuto tra l’opinione
pubblica grandi risultati. Anzi, il 52% degli europei
e il 50% degli americani dichiarano che nulla è
cambiato, mentre italiani, olandesi e spagnoli avvertono
addirittura una flessione negativa nei rapporti transatlantici.
Tuttavia è giusto precisare che non è
esploso quell’antiamericanismo che alcuni temevano.
Il termometro delle simpatie verso gli Stati Uniti
si assesta sui 50 gradi, contro i 51 del 2004 (scala
di gradimento con parametri da 1 a 100). Ancora una
volta è l’Italia, insieme alla Gran Bretagna,
a registrare un peggioramento: nel primo caso la temperatura
è scesa da 61 gradi a 57, nel secondo da 62
a 57.
Un elemento che può aiutare nella comprensione
dei dati è la distinzione messa in atto dagli
europei fra l’opinione del popolo americano
e quella dell’attuale amministrazione. Il 72%
dell’Ue disapprova la condotta di Bush in politica
estera, benché all’ordine del giorno
del presidente Usa vi sia un argomento largamente
condiviso dai cittadini europei: la promozione della
democrazia.
“La sopravvivenza della libertà nel nostro
Paese – ha dichiarato Bush – dipende dall’affermazione
della libertà in altri Paesi”. E il 74%
gli europei ha compreso e condiviso questo messaggio,
affermando che è compito dell’Ue favorire
l’avvento della democrazia. Stupisce invece
che solo il 51% degli americani accolga questa idea
(il 73% dei Repubblicani e solo il 43% dei Democratici).
Riguardo a quali siano i metodi migliori per esportare
la democrazia, il primato spetta all’impiego
del soft power, ossia delle misure meno invadenti:
il monitoraggio delle elezioni riscuote il consenso
dell’83% degli europei e del 68% degli americani,
e solo il 32% in Europa e il 39% in Usa si dice propenso
all’intervento militare.
I Paesi al centro dell’interesse internazionale
sono Cina e Iran. In Cina la promozione della democrazia
si concretizzerebbe con la difesa dei diritti umani:
per questo il 54% dell’Ue ed il 52% degli Stati
Uniti è convinto che sia necessario limitare
i rapporti economici con Pechino proprio a causa della
violazione di tali diritti. Considerando l’Iran,
l’Unione preferisce le pressioni diplomatiche
(41%) agli incentivi economici (30%) o alle sanzioni
commerciali (18%).
Risulta comunque chiaro da entrambe le parti un rifiuto
inequivocabile della soluzione militare, soltanto
il 5% dei cittadini europei ed il 15% di quelli Usa
sarebbero favorevoli ad un intervento di questo tipo.
E dopo aver osservato l’America, l’Europa
scruta il proprio riflesso nello specchio e si scopre,
nonostante il fallimento dei referendum sulla Costituzione
in Francia e Olanda, ancora fiduciosa delle sue capacità,
con il termometro che segna 66 gradi. I no alla Costituzione
non sono attribuibili al timore dell’immigrazione
o della crisi economica, ma nemmeno al problema dell’allargamento
e dell’entrata della Turchia. Anche se su questo
i pareri negativi sono aumentati del 9%, tamponati
però da un’alta percentuale di indecisi
(42%). Appassiona i Paesi dell’Unione il dibattito
sulla riforma delle Nazioni Unite e meraviglia scoprire
che il 60% dei francesi e il 64% dei tedeschi pensano
che l’Unione debba avere un seggio permanente,
anche se questo significasse perdere quelli di Francia
e Gran Bretagna. Non meraviglia invece constatare
che il 56% dei britannici non è d’accordo
con questa ipotesi. E una gran parte dei cittadini
comunitari (il 70%) sogna una superpotenza europea,
anche se l’idea di che cosa possa significare
non sembra chiara: il 44% degli intervistati pensa
che valga la pena aumentare la spesa militare per
realizzare questo obiettivo; il 26% crede che l’Europa
si debba identificare in una “superpotenza civile”,
senza aumentare il potere militare e puntando invece
su quello economico; il 35% attribuisce la stessa
importanza ai poteri economico e militare.
Questi sono dati e percentuali che riflettono un’Europa
intenta a confrontarsi, non soltanto con il mare che
la separa dall’America, ma anche con le proprie
divisioni interne.
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