285 - 28.09.05


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Usa e Ue si
guardano da lontano
Beatrice Mani

Europa e America si guardano allo specchio, e dal Vecchio Continente occhiate diffidenti giungono oltreoceano.
Questo ci dicono i dati di Transatlantic Trends, il sondaggio d’opinione condotto ogni anno in Europa e Stati Uniti dal German Marshall Fund e dalla Compagnia di San Paolo.

Svolta tra il 30 maggio e il 17 giugno, assai prima che l’uragano Katrina si abbattesse sulle vite americane e sulle politiche del presidente, la ricerca testimonia che se il 54% degli statunitensi vede con favore un rafforzamento dei rapporti tra Usa e Ue, per tutta risposta il 55% dei cittadini europei vorrebbe essere più indipendente dagli Stati Uniti, almeno per quanto riguarda le questioni diplomatiche e di sicurezza internazionale. E fra i vari paesi europei sono Francia (69%) e Italia (66%) quelli che maggiormente propendono verso l’indipendenza. Ma non è tutto. Infatti il 73% del popolo Usa vedrebbe positivamente una crescita della leadership europea, viceversa il 59% degli abitanti del Vecchio Continente è contrario all’egemonia americana.

Insomma, a sei mesi dall’inizio del secondo mandato, Bush, nonostante gli sforzi per rinsaldare i rapporti con l’Ue, non ha ottenuto tra l’opinione pubblica grandi risultati. Anzi, il 52% degli europei e il 50% degli americani dichiarano che nulla è cambiato, mentre italiani, olandesi e spagnoli avvertono addirittura una flessione negativa nei rapporti transatlantici. Tuttavia è giusto precisare che non è esploso quell’antiamericanismo che alcuni temevano. Il termometro delle simpatie verso gli Stati Uniti si assesta sui 50 gradi, contro i 51 del 2004 (scala di gradimento con parametri da 1 a 100). Ancora una volta è l’Italia, insieme alla Gran Bretagna, a registrare un peggioramento: nel primo caso la temperatura è scesa da 61 gradi a 57, nel secondo da 62 a 57.

Un elemento che può aiutare nella comprensione dei dati è la distinzione messa in atto dagli europei fra l’opinione del popolo americano e quella dell’attuale amministrazione. Il 72% dell’Ue disapprova la condotta di Bush in politica estera, benché all’ordine del giorno del presidente Usa vi sia un argomento largamente condiviso dai cittadini europei: la promozione della democrazia.
“La sopravvivenza della libertà nel nostro Paese – ha dichiarato Bush – dipende dall’affermazione della libertà in altri Paesi”. E il 74% gli europei ha compreso e condiviso questo messaggio, affermando che è compito dell’Ue favorire l’avvento della democrazia. Stupisce invece che solo il 51% degli americani accolga questa idea (il 73% dei Repubblicani e solo il 43% dei Democratici). Riguardo a quali siano i metodi migliori per esportare la democrazia, il primato spetta all’impiego del soft power, ossia delle misure meno invadenti: il monitoraggio delle elezioni riscuote il consenso dell’83% degli europei e del 68% degli americani, e solo il 32% in Europa e il 39% in Usa si dice propenso all’intervento militare.

I Paesi al centro dell’interesse internazionale sono Cina e Iran. In Cina la promozione della democrazia si concretizzerebbe con la difesa dei diritti umani: per questo il 54% dell’Ue ed il 52% degli Stati Uniti è convinto che sia necessario limitare i rapporti economici con Pechino proprio a causa della violazione di tali diritti. Considerando l’Iran, l’Unione preferisce le pressioni diplomatiche (41%) agli incentivi economici (30%) o alle sanzioni commerciali (18%).
Risulta comunque chiaro da entrambe le parti un rifiuto inequivocabile della soluzione militare, soltanto il 5% dei cittadini europei ed il 15% di quelli Usa sarebbero favorevoli ad un intervento di questo tipo.

E dopo aver osservato l’America, l’Europa scruta il proprio riflesso nello specchio e si scopre, nonostante il fallimento dei referendum sulla Costituzione in Francia e Olanda, ancora fiduciosa delle sue capacità, con il termometro che segna 66 gradi. I no alla Costituzione non sono attribuibili al timore dell’immigrazione o della crisi economica, ma nemmeno al problema dell’allargamento e dell’entrata della Turchia. Anche se su questo i pareri negativi sono aumentati del 9%, tamponati però da un’alta percentuale di indecisi (42%). Appassiona i Paesi dell’Unione il dibattito sulla riforma delle Nazioni Unite e meraviglia scoprire che il 60% dei francesi e il 64% dei tedeschi pensano che l’Unione debba avere un seggio permanente, anche se questo significasse perdere quelli di Francia e Gran Bretagna. Non meraviglia invece constatare che il 56% dei britannici non è d’accordo con questa ipotesi. E una gran parte dei cittadini comunitari (il 70%) sogna una superpotenza europea, anche se l’idea di che cosa possa significare non sembra chiara: il 44% degli intervistati pensa che valga la pena aumentare la spesa militare per realizzare questo obiettivo; il 26% crede che l’Europa si debba identificare in una “superpotenza civile”, senza aumentare il potere militare e puntando invece su quello economico; il 35% attribuisce la stessa importanza ai poteri economico e militare.
Questi sono dati e percentuali che riflettono un’Europa intenta a confrontarsi, non soltanto con il mare che la separa dall’America, ma anche con le proprie divisioni interne.

 

 

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