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che segue è stato pubblicato su Il
Secolo XIX
La Germania che esce dal voto di ieri eredita un conflitto
mediatico, che i numeri non risolvono. La coalizione
di destra supera la coalizione rosso-verde ma non vince.
La socialdemocrazia di Schröder, perde, ma tiene.
I numeri indicano un pareggio. Il confronto politico
dice che la sconfitta travolgente non c’è
stata Eppure questo non significa che le elezioni di
ieri segnino un pareggio, nonostante i numeri diano
quest’immagine.
Vincono i socialisti di sinistra da una parte e i liberali
dall’altra. L’operazione tentata da Lafontaine
indica la crescita numerica della sinistra radicale,
ma senza catturare i voti degli incerti, sottraendo,
invece, consensi ai socialdemocratici, che tuttavia
recuperano al centro. La tenuta dei verdi dice anche
che forse un voto di sinistra radicale pur punitivo
nei confronti di Schröder, lo salva come cancelliere
dando il consenso a un suo alleato. In fondo questo
era uno dei messaggi di Joschka Fischer nell’ultima
settimana di campagna elettorale.
Il vero sconfitto alla fine, tuttavia, è proprio
chi era dato per vincente nella lunga vigilia elettorale,
ovvero Angela Merkel che non ha avuto il flusso di consensi
sufficienti per amministrare interamente il suo progetto.
Questo aspetto e questo particolare sono da trattenere
anche qui in Italia da parte di chi pensa di avere già
vinto prima ancora della competizione elettorale.
Quello che esce dal voto di ieri non è tanto
un quadro incerto, quanto un paese che ha la consapevolezza
di doversi rimettere sapendo, tuttavia, che le scelte
radicali si fanno solo sulla scorta di un orizzonte
condiviso Il tema non è il timore o la diffidenza.
Nel quadro europeo la Repubblica federale tedesca è
certo il paese che negli ultimi quindici anni ha vissuto
e affrontato le trasformazioni più profonde e
radicali all’interno della Unione europea.
La Repubblica federale, infatti, è un paese
che negli ultimi quindici anni ha dovuto radicalmente
rinnovarsi per due volte: la prima alla fine degli anni
’80; la seconda all’inizio del XXI secolo
con il processo di allargamento a Est dell’Unione
europea e, soprattutto, con la nuova geografia della
Nato. I volti che hanno rappresentato queste due diverse
stagioni sono stati Helmut Kohl nel primo caso e Gerhard
Schröder/Joska Fischer nel secondo.
All’indomani del crollo dell’“Est-Europa”,
la Repubblica federale doveva trasformarsi da marca
di confine, da paese modello e sfidante dell’Impero
opposto, in realtà capace di integrare. Bisognava
modernizzare e includere. Ovvero accelerare il processo
di sviluppo superando la possibile crisi di sacche di
disagio, di conflittualità sociali interne. Non
è stato un percorso facile. La corsa a ovest
sorretta dal sogno della nuova libertà è
stata il progetto di tutti, non è divenuta la
realtà di molti. E tuttavia quella sfida è
stata complessivamente vinta. E’ il processo che
è stato interamente guidato e costruito da Kohl.
Il secondo processo di trasformazione inizia a delinearsi
con la costruzione dell’Europa dell’Euro,
ma soprattutto con l’allargamento a Est della
Nato prima e della Ue poi. Se fino agli anni Novanta
la Repubblica Federale costituisce l’interlocutore
continentale con cui gli Stati Uniti definiscono la
propria partnership economica e di investimento, questa
linea di confine lentamente si sposta. Ora sono i nuovi
partner est europei ad attrarre nuove forme di investimenti,
ma anche i luoghi della delocalizzazione industriale
ad influire negativamente sugli standard di crescita
della Repubblica federale. Lo sviluppo in Europa non
passa più per il crocevia di Berlino.
Schröder diviene cancelliere nella curva mediana
di questi due flussi. E’ il progetto della crescita
dei nuovi attori sociali e culturali su cui la Germania
della seconda metà degli anni ’90 pensa
di stabilire una nuova fisionomia di Stato sociale.
Dentro ci sono i nuovi flussi di investimento, l’affermazione
politica della generazione degli anni ’60, l’idea
che si possa andare oltre il modello industriale classico,
la capacità di assorbimento dei flussi migratori
che giungono dal sud del mondo.
Negli ultimi due anni in quadro muta decisamente e
l’avvio della crisi economica, l’abbassamento
del tasso di crescita industriale obbligano a favorire
un nuovo processo di accumulazione.
E’ in questo scenario che si iscrivono le elezioni
di ieri. Da una parte l’opposizione cristiano-sociale
ritiene non più recuperabile il divario della
crisi se non al prezzo di una cura radicale. La ricetta
è quella delle politiche liberiste, dell’abbassamento
delle aliquote fiscali, dell’attrazione degli
investimenti. Dall’altra c’è la proposta
di una riscrittura delle politiche sociali, senza per
questo perdere la coesione sociale interna. Sullo sfondo
il tema è la ripresa di un nuovo ciclo economico
e industriale.
Il voto non ha deciso una ricetta piuttosto che un’altra.
Sarà la politica, dunque, che dovrà cercare
di ricomporre e di far convivere un paese che esce diviso
dalla competizione elettorale e senza una precisa maggioranza
di coalizione.
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