281 - 13.07.05


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Quel che non è
riuscito a Chirac
Luca Sebastiani

Senza istituzioni e senza bilancio. La crisi è servita. Nessun accordo sul budget e processo di ratifica costituzionale rinviato alle calende greche.
Il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno ha solo sancito una situazione di fatto. È stato il luogo su cui tutte le tensioni degli ultimi anni sono confluite e il punto di svolta che segna, per il momento, la risoluzione della pluriennale guerra tra le due visioni differenti e concorrenti dell’Europa: quella franco-tedesca, con la sua visione di un’Europa politicamente integrata e con un suo modello sociale originale da esportare nel mondo, e quella anglosassone, più liberale e più conforme alle leggi esistenti della globalizzazione.

Il ciclo del “nocciolo duro” sembra concluso. Imploso in virtù delle sue contraddizioni interne e della sua incapacità di correggersi per perseguire i propri obiettivi, ha lasciato la mano al concorrente, che, sapientemente, ha spinto verso l’attuale crisi per gestirne, da vincitore, le conseguenze. Non c’è dubbio che il nuovo ciclo europeo sarà più anglosassone, più blairiano.

I personaggi stessi che hanno rappresentato queste posizioni a Bruxelles scontano le medesime tensioni delle proprie visioni. Chirac, indebolito dal no francese al referendum del 29 maggio sbattutogli in faccia da una popolazione stanca di disoccupazione e incertezza, è in una fase politica calante, non si presenterà alle elezioni presidenziali del 2007 o, se lo farà, le perderà. Schröeder, anche lui sanzionato dagli elettori alle regionali del 22 maggio per la crescente disoccupazione, si presenterà alle elezioni politiche anticipate del prossimo ottobre e probabilmente le perderà.

E Blair? Beh, lui aveva al Consiglio europeo, e ha tuttora, almeno tre vantaggi sui suoi concorrenti. Un terzo mandato rinnovatogli fresco fresco dagli elettori, una situazione economica che sulla carta sembra funzionare coniugando crescita e quasi piena occupazione, e la presidenza di turno dell’Ue per i prossimi sei mesi che gli permetterà di gestire il futuro prossimo dell’Unione.

Il Presidente francese, a picco nei sondaggi interni di gradimento dopo il 29 maggio, aveva anche questa volta tentato la carta della politica estera per riconquistare un po’ di lustro agli occhi dei suoi concittadini. Gli era già riuscito con la posizione intransigente contro la guerra in Iraq, momento in cui il suo prestigio si era sollevato all’apice, in patria e all’estero.

Chirac aveva costruito sapientemente la sua strategia d’attacco a Blair. Era da marzo che continuava a definire “inaccettabile” e senza giustificazione alcuna lo sconto sui contributi europei di cui i britannici godono dal 1984. Intorno a lui era riuscito a compattare la maggioranza dei Paesi Ue. Sembrava fatta: il fuoco di 24 paesi puntato sui privilegi di uno.
Ma il premier inglese non si è fatto mettere all’angolo e ha giocato la carta della Politica agricola comune (Pac) - di cui sono i francesi a godere i maggiori benefici - per non cedere sul ribasso e mandare tutto all’aria. Carta pretestuosa che gli ha permesso, altresì, di difendere la sua visione dell’Europa: di un Europa che non può più spendere la maggior parte del suo bilancio in un settore arcaico come l’agricoltura, ma che deve puntare invece su innovazione e ricerca. È riuscito così a rinnovare lo scontro simbolico tra la vecchia Europa e la nuova e più moderna incarnata da lui stesso.

Nonostante un isolamento momentaneo che Blair dovrà scontare per essere stato il responsabile del mancato accordo sul bilancio – di cui subiranno le conseguenze soprattutto i nuovi partner dell’Unione – è comunque lui che ha vinto la battaglia. Alcuni lo hanno già seguito, altri lo faranno ben presto e a nulla serviranno le polemiche che Parigi continua ad alimentare affermando che dietro gli attacchi alla Pac si profila la vecchia idea britannica di ridurre l’Unione europea ad una semplice zona di libero scambio. È senz’altro vero, ma quello inglese sembra a quest’altezza il modello più funzionale alla crescita e all’occupazione e c’è da immaginare che al momento di scegliere in molti preferiranno questi dati a quelli francesi (disoccupazione oltre il 10% e crescita prevista di uno striminzito 1,5% secondo l’Istituto nazionale di statistica).

I francesi intanto dovranno occuparsi di sanare il degrado economico interno per poi proporsi all’esterno come esempio e stanno già cercando di farlo con il nuovo governo di Dominique de Villepin, che esibisce un grande impegno in materia, anche se per adesso senza risultati degni di nota. Probabilmente il futuro francese sarà compito di un altro Presidente, Jacques Chirac, infatti, ha imboccato definitivamente, con l’ultima sconfitta bruxellese, il viale del tramonto politico.

 

 

 

 

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