Il motivo di maggior interesse
offerto dai referendum di Francia e Olanda sul trattato
costituzionale dell’Unione europea, sta nel
fatto che essi dimostrano che esiste un abisso tra
i cittadini e le élites politiche. Questo abisso
si costruisce intorno all’idea, paurosamente
arrogante, che l’Europa debba andare avanti
così come queste élites l’hanno
pensata, senza tenere conto della loro espressione;
un’idea che, mi accorgo ora, non si trova soltanto
tra le leadership politiche di Washington D.C.
Probabilmente uno degli errori principali compiuti
dall’Unione è stato quello di voler a
tutti i costi espandere l’Ue attraverso l’adesione
di nuovi paesi. Un modo di fare politica, questo,
che mi ha fatto tornare alla mente una
battuta di Douglas Jay, vecchio laburista inglese
e convinto avversario della partecipazione della Gran
Bretagna all’Ue; egli mi disse nel 1977, a proposito
del numero dei membri dell’Unione: "The
more the merrier! The bigger it gets, the sooner
it will fail" (“Più siamo meglio
stiamo! Quanto più estesa diventerà
l’Ue, tanto più presto fallirà”).
E aveva ragione.
Dunque, mi sembra poco attendibile l'idea secondo
la quale il processo di ratifica di ciascun paese
debba andare avanti, per via parlamentare o referendaria,
mentre due membri hanno già posto il loro giudizio
negativo, sancendo così di fatto il fallimento
della nuova costituzione la cui approvazione ha bisogno
del voto unanime di tutti i paesi dell’Unione.
Andare avanti su questa linea, non farebbe altro
che rendere ancora più profondi i divari tra
i membri dell’Ue. Anche perché, ne possiamo
essere sicuri, tutti coloro che, alla vigilia dei
referendum di Francia e Olanda, hanno previsto crisi
insuperabili nel caso di voto contrario, si faranno
in quattro nel prevedere catastrofi ben peggiori se
lo stesso rifiuto verrà anche dalla Gran Bretagna,
dalla Repubblica Ceca, dalla Polonia, ecc.
Credo che, dal punto di vista dei valori democratici
e politici, sia molto più sano e responsabile
raccogliere l’invito promosso in questi giorni
dal Financial Times, e cioè sedersi
a un tavolo per analizzare giudiziosamente la questione
e porsi una domanda: quale Europa sarà compatibile
con la volontà e con i desideri dei popoli
europei?
È una domanda che vale la pena porsi e impegnarsi
per trovare una risposta, soprattutto in Italia, dove
forse l’abisso tra cittadini ed élites
politiche è più profondo che altrove.
Non basta lo sforzo che si sta compiendo ora. Non
basta impegnarsi a dimostrare che i no di Francia
e Olanda non sono altro che risposte a problemi politici
interni. Essi hanno a che fare, anche, con i giudizi
che i cittadini hanno dell’Unione europea.
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