280 - 29.06.05


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Dove è finita l’Europa
dei popoli?
Paolo Carotenuto

La Costituzione Europea ha incassato due no (un non ed un nee, per essere precisi) nel giro di meno di una settimana e il grande rifiuto è venuto da due degli stati fondatori dell’Unione e membri molto attivi nella realizzazione del testo della Costituzione stessa. Dietro questi risultati si nascondono molteplici ragioni, molte delle quali sono di carattere interno e denotano la volontà di bocciare il governo del proprio Paese, ma ci sono alcuni dati che denotano l’incalzante insofferenza delle popolazioni europee verso un progetto che si discosta sempre più da quello originario e che viene visto come imposto dall’alto. Motivazioni talvolta in contraddizione le une con le altre ma che producono il medesimo effetto unendo elettori di destra e di sinistra, così come è avvenuto in modo clamoroso in Francia, paese che aveva affidato alle mani esperte dell’ex presidente Giscard d’Estaing la realizzazione delle 800 farraginose pagine del Trattato che lo storico Jacques Le Goff non ha esitato a definire come «un testo mostruoso partorito dalla burocrazia legulea dell’Europa». E forse non è un caso che il voltafaccia all’Europa sia arrivato proprio dalla Francia che nell’Europa vede una limitazione del proprio spazio di crescita e libertà.

Interessante al riguardo l’opinione espressa dal prof. Renato Brunetta, eurodeputato di Forza Italia, per il quale “la storia dei rapporti tra la Francia e l’Unione Europea sia stata caratterizzata da una costante diffidenza conservatrice per il timore di perdere sovranità e potere a vantaggio di un progetto comune maggiore. La realtà è che a Parigi i governanti non hanno mai inteso il Mercato comune europeo, le Comunità economiche europee e l’Unione Europea come il tentativo strategico di alcuni Paesi di federarsi per contare di più nel mondo, ma come uno strumento tattico per arginare il nemico storico, cioè la Germania. Oggi che la Germania è il principale alleato della Francia, la necessità di costruire un luogo politico comune non è più impellente”; ed ancora: “la costruzione europea è complessa e difficilmente comprensibile per i popoli, perché la democrazia mal si addice all’Unione che è il risultato della costruzione di equilibri, mediatoria, burocratica e poco chiara”.

Timori contrapposti e in antitesi che agitano le coscienze dei popoli europei, preoccupati che l’Europa possa rappresentare una minaccia ultraliberista al proprio Stato sociale, come per la Francia, o che possa all’opposto rivelarsi un soggetto impregnato di logiche dirigiste, come dimostra la politica agricola comune, simbolo di un eccesso di burocratizzazione che limita l’azione dei singoli stati.

La crisi economica che sta affliggendo l’Europa da più di un lustro non ha aiutato sicuramente il percorso di integrazione: sono così cresciute incertezze e preoccupazioni e quasi automatico è risultato individuare nell’Unione Europea e nel suo ulteriore allargamento ai paesi più poveri dell’est, la principale ragione di una stagnazione che non accenna ad esaurirsi. L’Unione Europea che si stava costruendo lentamente e che si era consolidata nel mercato comune dei Quindici, oggi è smarrita dinanzi ad una crescita che non solo non è stata interiorizzata, ma che fatica ad essere condivisa. La prospettiva, poi, di poter coinvolgere ancora altri paesi, dalla Bulgaria alla Romania, passando addirittura per la Turchia, ha determinato un rifiuto culturale, prima ancora che politico, che testimonia il profondo disagio che molti popoli erano riusciti a tenere sopito nel corso di questi anni e che oggi è esploso in tutta la sua virulenza.

Qual è il costo da pagare per l’allargamento dell’Unione a 27 o addirittura a 28 stati? A torto o a ragione, oggi questo processo è visto come una minaccia alla propria identità ed alla propria economia; minaccia accresciuta recentemente con il rifiuto di dare legittimazione alle tradizioni del continente nel trattato costituzionale attraverso l’esclusione, ad esempio, delle tanto reclamate radici cristiane. Cosa significa oggi l’Europa unita? Rifiuto della propria storia, minaccia per i paesi più sviluppati, già in grossa crisi economica, per l’ingresso di paesi più poveri nell’Unione in grado di offrire occasioni di investimento sicuramente più attrattive?

I governi europei sono impegnati nel trovare una soluzione a questa imbarazzante e problematica situazione per poter consentire la ratifica della Costituzione entro i tempi previsti pur di non arrestare un processo che probabilmente oggi non può più essere fermato, se non pagando un prezzo troppo gravoso, ma da oggi non si potrà più ignorare che si dovrà inevitabilmente tornare a riavviare quel processo di integrazione dei popoli, senza umiliare la storia e le tradizioni di ognuno. Altrimenti quel che si andrà ad edificare sarà destinato ad avere breve vita.

 

 

 

 

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