Berlino: “Caro Tony stai troppo
poco a sinistra” Daniele Castellani Perelli Londra
e Berlino a volte sembrano appartenere a due continenti
diversi. E allora a poco valgono le cerimoniose e
rapide congratulazioni del Cancelliere Gerhard Schröder,
che si è doppiamente felicitato con l’omologo Tony
Blair per la terza vittoria consecutiva e per il suo
52esimo compleanno. In realtà la vecchia Germania,
dal profondo di una perenne crisi, stenta a capire
la Cool Britannia, come ha spiegato bene la Frankfurter
Allgemeine Zeitung: “La differenza con l’Europa
continentale non potrebbe essere maggiore. Al contrario
della campagna elettorale in Nordreno-Westfalia, in
quella per le elezioni politiche britanniche non è
stata detta nemmeno una parola contro il capitalismo,
anche se l’economia di mercato in Gran Bretagna è
praticata in modo molto più rigoroso che nell’Europa
continentale”. La tripletta di Blair, pertanto, è
sì l’ennesimo successo del premier laburista, ma è
anche il prodotto di un mondo politico troppo lontano
da Berlino, quasi incomprensibile, e quindi incapace
di rappresentare un modello per il mondo renano.
In Germania, dove i sei principali istituti di ricerca
economica hanno tagliato le loro stime di crescita
del Pil di quest’anno dall’1,5 allo 0,7%, dove i parametri
di Maastricht non verranno rispettati né nel 2005
né nel 2006, infuoca il Kapitalismusdebatte (dibattito
intorno al capitalismo) con una dura polemica tra
la Confindustria tedesca e Franz Müntefering, il presidente
della socialdemocratica Spd che ha appena criticato
gli investitori finanziari perché “s’avventano come
cavallette distruttrici sulle imprese”. Mentre su
Die
Zeit, il premio Nobel Günter Grass ha scritto
allarmato che il capitalismo sta minacciando la democrazia
tedesca, il britannico Financial Times ha definito
l’attacco di Müntefering “arrogante e stupido”: ecco
segnata la distanza tra Londra e Berlino. Così nessuno
in Germania si lancia in smisurati elogi della via
laburista di Blair e i giornali sottolineano il netto
ridimensionamento della maggioranza del premier. Due
temi dominano con insistenza l’analisi del risultato,
con l’intento di ridimensionare o gettare un’ombra
sul successo personale di Tony Blair: il malcontento
popolare britannico verso l’appoggio alla guerra in
Iraq (con grande spazio dedicato al seggio ottenuto
da George Galloway, il deputato pacifista che ha lasciato
il Labour per la sua posizione sulla guerra in Iraq)
e la futura staffetta tra il primo ministro ed il
suo erede designato, il Cancelliere dello Scacchiere
Gordon Brown.
Der
Spiegel ha titolato “Blair prepara la strada a
Gordon Brown” e la Frankfurter
ha scritto che a Tony gli elettori hanno fatto addirittura
“un occhio nero” e che “nuvole scure si addensano
sull'economia britannica”.
Perfino l’autorevole quotidiano economico Handelsblatt
ha spiegato che “Blair ha vinto perché la concorrenza
era debole”. Non pago dei grandi successi economici
di Tony, Handelsblatt ha scritto che il premier “ha
copiato la politica dei conservatori” e che “la Gran
Bretagna del 2005 è un paese che va meglio degli altri
in Europa occidentale, ma è anche un paese che cerca
qualcuno che porti una speranza”. Anche per il Financial
Times Deutschland “sarà stretta la via di Blair”
e un po’ tutti aspettano con impazienza il cambio
della guardia tra il premier e il suo successore.
La Berliner
Zeitung ha titolato ad esempio che ora “Blair
è l’uomo sbagliato” e ha così commentato l’esito delle
urne: “Gli elettori hanno votato il Labour nonostante
Blair, e non per lui”.
Difficile non vedere un certo compiacimento tedesco
verso l’annunciata staffetta. “Il vero vincitore
ha spiegato Der Spiegel è Gordon Brown”, che, grazie
al ridimensionamento elettorale del Labour, vede avvicinarsi
sempre più il numero 10 di Downing Street. Il Financial
Times Deutschland non è stato da meno, e in un
editoriale dall’emblematico titolo “Tempo di andare”
ha commentato: “Blair farebbe bene a cedere presto
lo scettro a quello che da lungo tempo è il suo successore”.
Indubbiamente il sistema britannico non raccoglie
molto consenso in Germania. A destra i cattolici sociali
della Cdu non possono certo identificarsi con i Tories,
protestanti e liberisti. A sinistra l’opinione pubblica
ha bollato Blair come uno dei principali artefici
della guerra in Iraq, tanto che, nella primavera del
2003, il suo nome era sistematicamente accoppiato
a quello di Bush sui cartelli delle manifestazioni
pacifiste. Inoltre, anche se Schröder sta battagliando
da tempo per far passare le sue impopolari riforme
sociali (la cosiddetta “Agenda 2010”), la sua svolta
liberista è dettata più dalla necessità, dal suo opportunismo,
che da una autentica filosofia new labour.
Viene il sospetto che tanta freddezza tedesca sia
dettata però anche da una certa invidia. Che piaccia
o no, la coraggiosa politica economica di Blair ha
convinto il mercato e gli elettori della sinistra.
Dinamico e scaltro, in questi anni il premier ha portato
la Gran Bretagna al centro del mondo, ha costretto
tutti a fare i conti con la sua visione del mondo,
mentre il ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer,
deposte le antiche velleità europeiste, si vedeva
impelagato nello scandalo dei visti facili e lo stesso
Cancelliere impegnava tutta la sua politica estera
nell’anacronistica battaglia nazionalista per un seggio
all’Onu.
Ha scritto Micheal Walzer, filosofo liberale di Princeton:
“Oggi Gordon Brown è meno identificato di Blair con
il conflitto iracheno, e riporterà i laburisti un
po’ più a sinistra, rafforzandone ad esempio l’impegno
sociale in linea con la loro storia di riformatori”.
In verità nessuno sa quale politica farà Brown, ma
certo è che il suo arrivo, per la gioia di gran parte
dell’Europa continentale, scaccerà via i fantasmi
della guerra in Iraq. Quell’Europa che, come la Sueddeutsche
Zeitung fa dire in un titolo a Gordon Brown,
chiede ora impaziente a Blair: “Wann gehst du?”.
Tony, quando te ne vai?
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