Tony Blair, come ampiamente previsto,
alla fine è riuscito a farsi rieleggere e a
varcare il traguardo storico del terzo mandato consecutivo,
sfida che nella storia recente della Gran Bretagna
era riuscita solo a Margaret Thatcher. Ma, pur rinnovando
la fiducia al premier, gli elettori non gli hanno
affatto consegnato carta bianca per il governo del
Paese. L’entusiasmo per la storica rielezione
è stato infatti abbondantemente ridimensionato
da un calo sostanzioso di consensi per il partito
labourista, che ha scontato l’avversione degli
elettori per la politica estera del suo leader. Blair,
con una maggioranza di 66 seggi alla Camera dei Comuni,
avrà più difficoltà a condurre
la sua azione e dovrà mediare con i Liberal-democratici
e la sinistra interna al Labour che non ha dimenticato
la scelta della guerra.
“Terzo mandato senza gloria per Tony Blair”
titolava Liberation il giorno seguente lo
scrutinio, mentre Le Monde apriva con: “L’Iraq
sbiadisce la vittoria storica di Tony Blair”.
I giornali francesi sono concordi nell’interpretazione
da dare ai risultati usciti dalle urne inglesi: la
guerra in Iraq, fortemente voluta da Blair - e le
“menzogne” che l’hanno circondata
- hanno determinato la fuga di voti dalla sinistra
verso i lib-dem, mentre la politica economica, che
può vantare un tasso di disoccupazione tra
i più bassi del mondo e una crescita sostenuta,
è stata quella che ha consentito la vittoria.
“La questione irachena e le menzogne di Blair
hanno occupato la maggior parte della campagna elettorale.
Il rancore dei pacifisti si è aggiunto alla
disaffezione di una parte delle classi popolari. Di
colpo, malgrado la prosperità, Blair rischia
di doversi accontentare di una vittoria striminzita”,
prevedeva l’editoriale di Libé
il 5 maggio, e il rischio si è concretizzato.
“I labouristi pagano un pesante tributo alla
guerra – spiega Le Monde – Soprattutto
in certe circoscrizioni abitate da forti minoranze
musulmane”.
L’inizio dell’ascesa di Brown
E se il voto ha sanzionato la politica estera di Blair
e premiato quella economica, allora il vero vincitore
della tornata elettorale sarà chi ha condotto
quest’ultima, cioè il ministro delle
Finanze Gordon Brown.
Chiamato in soccorso dal premier durante una campagna
elettorale che stava incartandosi sulla guerra, l’amico-nemico
di Blair e artefice del miracolo economico inglese,
ha finalmente visto riconosciuto il proprio prestigio
ed è riuscito a spostare a proprio vantaggio
i rapporti di forza interni al Labour. Al punto che
per Le Monde si è assistito, nelle
elezioni, ad un vero e proprio “trasferimento
d’autorità… La vittoria del Labour
si deve più a Brown che a Blair. Essa ha avuto
luogo in parte grazie al primo e largamente a scapito
del secondo…Nel corso di questa campagna Blair
ha contratto un nuovo debito verso il suo ministro.
Quando si sdebiterà? In quale momento deciderà
di lasciare il posto all’uomo che attende da
tempo di succedergli?”. Se per Liberation
Blair sarà costretto molto prima del previsto
a cedere il testimone a Brown, Le Monde fa
una serie d’ipotesi: “Sceglierà
uno scenario a lungo termine, con un’uscita
di scena nell’autunno 2008, sei mesi prima delle
prossime elezioni? O uno scenario con tempi corti,
a metà mandato? Preferirà andarsene
in bellezza nel 2006 dopo una sconfitta al referendum
sulla Costituzione europea, se avrà luogo?”.
Intanto la stampa francese dà rilievo alla
figura di Brown, dando per scontata la sua prossima
ascesa alla guida del governo inglese. Politico più
popolare presso la sinistra del partito per la sua
contrarietà a certe politiche blairiane eccessivamente
liberiste, “principalmente in materia di educazione
e sanità” (Le Monde), e per
la sua posizione defilata sulla guerra in Iraq, Le
Figaro mette in risalto, in prospettiva di un
futuro confronto europeo, lo sguardo critico di Brown
sul Continente: “Pur non essendo fondamentalmente
euroscettico, ama puntare il dito sulle sclerosi di
Bruxelles, sulla sua incapacità a conformarsi
alle esigenze dei tempi, alla sua stanchezza ad innovare.
La vorrebbe un po’ meno Vecchia Europa, e molto
più britannica nel suo approccio pragmatico
della realtà”. Si prevede già,
insomma, un nuovo confronto europeo tra il modello
sociale, essenzialmente franco-tedesco, e quello,
più liberista e meno egualitario, anglosassone.
Ma dalle politiche di B&B, Blair e Brown, i francesi
devono pur trarre qualche insegnamento se in Gran
Bretagna la disoccupazione è al 4,6% e in Francia
e Germania viaggia da tempo ben oltre il 10%. “La
ricetta Blair è il successo della lotta contro
la disoccupazione, problema numero uno delle società
moderne – scrive Le Monde – Gerhard
Schröder, che vede la sua base elettorale deteriorarsi
ad ogni scrutinio, sta fallendo sull’occupazione.
Stessa cosa in Francia, dove la sinistra potrebbe
trarre una lezione e, più che copiare, ispirarsi
alle ricette labouriste”.
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