Nelle case, per la strada, intorno ai tavolini dei
caffè, ovunque il progetto di Trattato costituzionale
è l’argomento principale. Votare
oui, votare non. Al referendum indetto dal Presidente
della Repubblica Jacques Chirac, manca ancora un mese
– 29 maggio – ma tra accuse, prese di
posizione, litigi, bagarres e rotture, il
dibattito ha ormai già superato i suoi confini
specifici e ora è un amalgama di motivi eterogenei
che si accavallano, s’intrecciano e prolificano
sul testo partorito dalla Convenzione e approvato
dai venticinque Capi di Stato e di Governo dell’Ue
lo scorso ottobre a Roma.
Paure, frustrazioni, impotenza, incertezza del futuro,
carattere storico e lotta politica, hanno trasformato
l’ormai onnipresente dibattito pubblico sulla
Costituzione in una poltiglia irrazionale che sta
scavando nel paese un fossato tra i due campi avversi
e, soprattutto, rendendo palese lo scollamento tra
classe politica e società.
Se da una parte, infatti, le maggiori forze politiche
– Ump e Udf, partiti di governo, e Ps, maggiore
forza d’opposizione, che insieme coprono più
dell’80% dell’arco parlamentare –
hanno preso posizione per il sì facendo fino
a qualche mese fa prevedere ai meno accorti una facile
passeggiata verso la ratifica, i francesi continuano
a rispondere picche, rendendo palese una crescente
incapacità del ceto politico a rispondere ai
timori dei cittadini e ad assumersi la responsabilità
del loro malcontento.
Almeno secondo i sondaggi - l’abuso ipertrofico
dei quali ha contribuito ad inserire quel tocco in
più d’irrazionalità nel dibattito
in corso – tra il 52 e il 58% degli aventi diritto,
secondo le rilevazioni e i giorni della settimana,
sarebbe pronta a votare no. Una progressione inarrestabile
se si considera che il sì era dato al 64% lo
scorso ottobre e al 57% due mesi fa. Uno tsunami irrefrenabile
partito in sordina e da lontano ma che nelle ultime
settimane sta ingrossando e toccando il suo picco
minacciando i difensori del sì che non riescono
ad arginarlo. Di più. Sotto l’onda montante,
i militanti della Costituzione si trovano in balia
di correnti impetuose, che gli impediscono di sterzare
e improntare il dibattito in qualche modo. Inascoltati
gesticolano spaventati mentre i francesi, sempre più,
vedono nella Costituzione il Male, il catalizzatore
delle angosce più o meno reali che questa modernità
produce. E vedono nel referendum, finalmente, il mezzo
per riaffermare se stessi di fronte all’alienazione
democratica di uno stato nazione che ha smarrito nel
mondo mondializzato i mezzi, i confini e i ripari.
Costituzione europea? Tse! Pour nous c’est
Non!
Per noi è No, recitano gli slogan di quelli
che hanno facile gioco a cavalcare l’onda.
La collera dei francesi è montata negli ultimi
anni di pari passo con la crescita delle ineguaglianze,
della disoccupazione e dell’esclusione. È
aumentata quando hanno letto sui giornali che le grandi
aziende multinazionali del Paese hanno raggiunto utili
record, ma che il tasso dei senza lavoro ha superato
la soglia simbolica del 10% con una tendenza prevista
in crescita. È aumentata, la collera, e lo
testimoniano gli scioperi unitari degli ultimi mesi,
quando hanno potuto constatare una pesante perdita
di potere d’acquisto dei loro salari e un costo
della vita in aumento. Il tutto accompagnato dall’insicurezza
che il fenomeno delle delocalizzazioni produce.
In questo contesto, secondo molti analisti, la politica
liberale del Governo di Jean-Pierre Raffarin, perseguìta
nonostante le due batoste elettorali riportate lo
scorso anno alle europee e alle regionali, si sta
rivelando, con la sua impopolarità crescente,
una vera e propria fabbrica di no.
L’opposizione alla Costituzione è trasversale,
almeno nella misura in cui è trasversale il
malessere di una società. A sinistra parte
del Ps e dei Verdi, il Partito comunista, gli Altermondialisti,
i vari partitini trotzskisti e radicali insieme alla
maggioranza dei sindacati, sono i portatori di un
no antiliberista, che rifiuta questo Trattato in quanto,
dicono, espressione e garanzia di un ultraliberismo
di marca anglosassone che tende a sgretolare le protezioni
sociali, a favorire dumping sociale e delocalizzazioni.
Dall’altra parte, a destra, oltre al sovranismo
neofascista del Fronte nazionale di Jean-Marie Le
Pen, il no si annida anche nei partiti di maggioranza,
vuoi per opposizione al governo Raffarin, vuoi per
certo nazionalismo sempre presente, vuoi, infine,
per contrarietà al previsto allargamento dell’Ue
alla Turchia.
Con quest’affollamento, tra glosse argomentate,
appunti, slogan populistici e, certe volte, menzogne
– come quella che nel progetto sarebbe inscritto
il divieto dell’aborto! – la Costituzione,
non ancora in vigore, se mai lo sarà, viene
accusata di tutto, dalla direttiva Bolkenstain alla
chiusura degli uffici postali nei paesi di campagna.
Sullo sfondo, a complicare le cose, la competizione
interna e la resa dei conti tra i singoli attori politici
per conquistarsi un posto alle presidenziali del 2007.
Se il no dovesse alla fine prevalere il quadro politico
ne uscirebbe terremotato e, qualcuno pensa, approfittando
del campo di macerie si potrebbe ridisegnarlo, con
nuovi equilibri e soggetti. Così gli esperti
leggono le mosse di quelli come Laurent Fabius - che
nel Ps, dopo il referendum interno da cui era uscita
la linea ufficiale, si è schierato per il no
contro il segretario nazionale François Hollande
– o come, a destra, Nicolas Sarkozy, che in
campagna per il sì ha tenuto più volte
a marcare, contrariamente alla posizione del “capo”
Chirac, la sua opposizione all’entrata della
Turchia nell’Ue.
L’attenzione per la sorte francese della Costituzione,
intanto, ha travalicato i confini nazionali e già
contagiato altre opinioni pubbliche dubbiose o decisamente
poco inclini a vedere nell’Europa alcunché
di positivo – vedi l’Olanda, la Danimarca,
ma soprattutto la Gran Bretagna. Paura dell’effetto
domino? Certo. Ed ecco allora che il dibattito vede
scendere in campo altri protagonisti venuti dall’estero.
Schröeder ha sostenuto con interventi sui giornali
e di persona le ragioni del Trattato; Zapatero si
è già fatto un giro e conta di tornare
un altro paio di volte a dare man forte ai suoi amici
socialisti; D’Alema ha fatto capolino dalle
pagine de Le Nouvel Obs per rivolgersi direttamente
ai “chers citoyens français”;
e parlamentari d’ogni paese europeo, intellettuali
ed esperti d’ogni provenienza e credo. Un vero
dibattito europeo. Certo, sarebbe stato meglio non
vederne la luce sotto la sola pressante spinta della
paura!
Mancano poche settimane al voto e il risultato, nonostante
il sentimento contrario, non è ancora scontato.
Certe fiammate si accendono improvvise, ma, è
pur vero, spesso si spengono con egual imprevedibilità.
Basterebbe, giusto per fare chiarezza, spiegare che
la responsabilità del malcontento dei cittadini
è, per buona parte, di chi li ha rappresentati
e che quindi non prendessero pan per focaccia o scrutinio
europeo per politico.
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