Una clausola di “salvaguardia generale”
pende come una spada di Damocle sui futuri confini
dell’Unione Europea. Il Consiglio europeo dello
scorso 16 e 17 dicembre, che ha fissato per il primo
gennaio 2007 la data ufficiale di adesione di Romania
e Bulgaria, ha introdotto, infatti, su indicazione
della Commissione, la possibilità di rinviare
di un anno l’allargamento qualora, all’unanimità,
i Venticinque constatino che i due Paesi non abbiano
rispettato gli impegni presi in importanti settori.
Certo, l’unanimità renderà improbabile
l’attivazione di tale misura, ma i vincoli di
cautela non finiscono qui, almeno per i rumeni. La
Romania infatti sconta un forte ritardo in materia
di liberalizzazione del settore pubblico, di lotta
ad una corruzione che appare ancora generalizzata,
di indipendenza del potere giudiziario e della libertà
di stampa. Questioni che hanno spinto alcuni Paesi
dell’Ue, in particolar modo scandinavi e Paesi
Bassi, a far inserire nel trattato di adesione una
clausola di “salvaguardia rinforzata”
che permetterà ad una maggioranza qualificata
in seno al Consiglio europeo di ritardare l’adesione
della Romania al primo gennaio 2008 qualora questa
non abbia raggiunto gli obiettivi stabiliti.
Il neo presidente rumeno, Traian Basescu, insieme
al nuovo governo formato alla fine di dicembre dal
premier Calin Popescu-Tariceanu, godono sicuramente
di fama di euroentusiasti più dei loro predecessori
post-comunisti del Partito socialdemocratico, ma la
strada delle riforme è ancora lunga. Tanto
che il presidente della Commissione José Manuel
Durao Barroso, nel corso di una conferenza stampa
tenuta insieme a Basescu in visita a Bruxelles alla
fine di gennaio, ha fatto notare che “una stampa
e una magistratura indipendenti sono il miglior modo
di combattere la corruzione in Romania e nel mondo”,
prima di aggiungere che Bruxelles sta compiendo un
attento monitoraggio del Paese per presentare un dossier
alla fine del 2005 e che se non ci saranno “progressi
sostanziali la Commissione potrebbe essere forzata
a rimandare l'adesione”.
I nuovi dirigenti rumeni, che sottoscriveranno insieme
ai bulgari con l’Ue il Trattato di adesione
il 25 aprile, si sono impegnati a non lasciare impunita
la corruzione e a soddisfare gli altri parametri europei,
rimarcando allo stesso tempo i grandi progressi compiuti
dal Paese in campo economico e sociale.
In effetti la crescita economica della Romania ha
stupito le stesse autorità di Bucarest che
avevano fissato all’inizio del 2004 un tasso
di crescita del 5,5% e si sono ritrovati alla fine
dell’anno con un portentoso 8%. Gli indicatori
macroeconomici, inoltre, fanno prevedere una crescita
sostenuta fino al 2007. L’inflazione è
stata portata dal 14% del 2003 al 9,7% del 2004 e
si attesta sul 6% nel 2005. Il deficit di bilancio
nel 2004 è stato del 1,7%. Un’audace
politica del lavoro ha portato il tasso di disoccupazione
al 6,5%, mentre il Paese continua ad attirare capitali
stranieri. Nel 2004 gli investimenti esteri diretti
sono stati di circa due miliardi di euro – metà
dei quali provengono dalla vendita della società
petrolifera Petrom venduta all’austriaca Omv.
Senza contare che i due milioni di rumeni che approfittando
di Schengen sono emigrati nei Paesi Ue, rimandano
in patria delle cifre considerevoli che nel 2004 si
sono aggirate intorno ai tre miliardi di euro.
Insomma un’economia sana e in espansione che
Bruxelles non ha avuto difficoltà a riconoscere
“di mercato funzionale”, ma che non è
comunque riuscita ad impedire quella clausola di salvaguardia
che sarà usata dall’Ue come mezzo di
pressione per spingere in direzione delle riforme.
Migliore la situazione in Bulgaria dove la strana
coalizione monarchico-comunista, che affianca appunto
il vecchio sovrano Siméon e gli ex comunisti
del Partito socialista, ha portato avanti, contro
tutte le previsioni, un buon lavoro di risanamento.
Non solo interno. Grande prestigio l’alleanza
si è conquistata a livello internazionale,
entrando prima nella Nato nel marzo 2004 – insieme
a Romania, le tre repubbliche baltiche, Slovacchia
e Slovenia – e poi avviando i negoziati per
l’adesione a luglio. Negoziati che sono andati
talmente bene che la Bulgaria si è assicurata
per il periodo 2007/2009 un finanziamento supplementare
di 240 milioni di euro che saranno destinati per metà
al controllo delle frontiere e per metà a mantenere
sotto controllo l’equilibrio di bilancio.
Con i parametri economici di molto migliorati negli
ultimi anni, la Bulgaria si presenta all’Europa
in una condizione globalmente migliore rispetto al
più popoloso vicino rumeno. Talmente è
vero che in molti nel corso dell’ultimo Consiglio
europeo hanno cercato di dissociare i dossier dei
due Paesi per ritardare l’adesione della Romania,
peggio piazzata a livello di gradimento. Solo l’intervento
dei membri latini del Consiglio, con la Francia in
testa – l’ex governo rumeno ha concesso
a Parigi la gestione della rete di distribuzione del
gas – ha impedito il blitz e ha fissato l’adesione
con un unico trattato. L’importanza “geostrategica”
dell’enclave latina in oriente, sostenuta da
quest’ultimo gruppo di Paesi Ue, non è
stata sufficiente però a bloccare l’inserimento
nel trattato di quella clausola di salvaguardia particolarmente
stringente per la Romania e che non era mai stata
utilizzata in precedenza per nessun Paese.
Se questo fosse un segnale forte che certi standard
minimi di libertà e giustizia sono un forte
discrimine per l’accesso in un’Europa
troppo spesso più attenta ai mercati, non se
ne potrebbe che gioire.
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