271 - 12.02.05


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Che fine ha fatto la strategia di Lisbona?
Luca Sebastiani

Chi si ricorda della “strategia di Lisbona”? Forse in parecchi, visto che ad essa si fa riferimento ogni qualvolta si intenda sottolineare, in discorsi altisonanti, le sorti magnifiche di un’Unione europea destinata a portare prosperità ai propri cittadini e al mondo intero con il suo originale modello di sviluppo.
Ma quell’impegno, che i capi di Stato e di Governo europei sottoscrissero nella capitale lusitana nel 2000, conteneva anche un margine temporale entro il quale “l’economia della conoscenza più competitiva del mondo” si sarebbe dovuta realizzare: il 2010.

Mancano ancora cinque anni, ma si è ben lontani dai traguardi, a dir la verità un po’ utopistici anche allora, che ci si era prefissati. La crescita va molto a rilento, con una media del 2% nell’Europa storica (più alta in Lussemburgo, 4%, Svezia, 3,7%, e Gran Bretagna, 3,3%; più bassa in Italia e Portogallo, 1,3%) e performances migliori nei Paesi di recente adesione; la disoccupazione è ancora massiccia; il ritardo nello sviluppo delle tecnologie avanzate è grande; gli investimenti in ricerca sono molto al di sotto dell’obiettivo previsto del 3% del Pil. Da aggiungere, dinamica forse allora mal percepita, la concorrenza crescente delle potenze emergenti – Cina, India, Brasile – anche nei settori avanzati, con processi di delocalizzazione che non minacciano più soltanto i settori manifatturieri, ma anche quelli dei servizi e delle attività ad alto valore aggiunto. Insomma, bilancio ben negativo se non solo non si è sulla strada di diminuire lo scarto con gli Stati Uniti, ma si rischia di rincorrere gli emergenti.

Concordi sulla presa d’atto della débâcle, i capi di Stato e di Governo intendono dare una sterzata e rilanciare la strategia di Lisbona la prossima primavera, nel corso del Consiglio d’Europa che si svolgerà a marzo. Tra guerra in Iraq, attentati di Madrid, lotta al terrorismo e corollari di divisione che ne sono seguiti, infatti, gli ultimi anni sono passati senza che un ragionamento serio sugli obiettivi socio-ecomonici strategici comuni sia stato affrontato.

È la Commissione nuova di zecca del Presidente José Manuel Barroso che si è assunta l’onere del rilancio della visione di Lisbona con un programma che, seppur ancora in via di elaborazione, ha già individuato gli elementi su cui puntare e quelli, invece, da mondare. L’emanazione politica della Commissione è chiara e non stupisce allora l’impronta delle proposte che si appresta a fare (2 febbraio): competitività come priorità assoluta e oscuramento degli altri due obiettivi elaborati nel 2000 – frutto di altri equilibri politici, allora più spostati verso sinistra – il sociale e lo sviluppo sostenibile.

“Più occupazione in un’Europa attrattiva e innovativa”, in sostanza, più liberalismo, più liberalizzazioni e più competizione per crescere e creare impiego. È lo slogan contenuto in una nota inviata ai suoi colleghi dal commissario all’impresa e all’industria, e vice presidente della Commissione stessa, il tedesco Günter Verheugen, incaricato di coordinare gli sforzi di Bruxelles proprio in tema di competitività. Secondo i piani di quest’ultimo, discussi l’11 gennaio scorso da un gruppo di commissari da lui stesso diretti, l’Unione europea dovrà concentrare mezzi ed energia nei tre campi dell’occupazione, dell’innovazione e del concetto tedesco di attrattività (Standort), fissando dieci priorità che dovranno essere perseguite simultaneamente “poiché si rinforzeranno mutualmente”. Il commissario tedesco intende inoltre rilanciare la politica industriale - almeno nei settori di punta - anche per non tirarsi addosso le critiche che invece erano piovute sulla Commissione precedente, colpevole, secondo Francia e Germania, di aver abbandonato a sé l’industria.

Va da sé che per aumentare la competitività esterna dell’Ue, bisogna aumentare anche quella interna. La commissaria alla concorrenza, l’olandese Neelie Kroes, è infatti intenzionata ad aumentare le azioni rivolte alla liberalizzazione, anche in quei settori più impermeabili e protetti da alcuni Stati - leggi Francia - quali quello dell’energia o dei trasporti. Ma non basta: la Commissione intende introdurre elementi concorrenziali anche nel settore dei servizi.

Questo il quadro programmatico di fondo, le linee guida. Ora inizia la mediazione, la delicata negoziazione, che già si annuncia difficile, del bilancio comunitario per il periodo 2007-2013. Per mettere in campo la rinnovata strategia “lusitana” bisognerà convogliare risorse da un settore all’altro, spostare soldi e finanziamenti da qua a là. Ora, in questi casi chi sta là dove si vogliono sottrarre risorse – mettiamo che riceva finanziamenti di sostegno in quanto regione agricola o depressa – alzerà la voce e bisognerà dargli qualcos’altro in cambio. Ma non tutti sono favorevoli all’innalzamento della spesa, anzi, un agguerrito gruppetto (Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Austria) è deciso a mantenerla al di qua della soglia invalicabile dell’1% del Pil europeo.

Su questioni come queste si innestano poi altri elementi che peseranno sull’esercizio del dare e avere e sulle politiche che, una volta stabilite, verranno perseguite. In molti Paesi, per fare solo un esempio, sono previste consultazioni popolari per l’approvazione del Trattato costituzionale europeo e il successo di quest’ultimo non è affatto scontato ovunque. La Commissione intende liberalizzare i servizi e renderli concorrenziali? Il rischio è che poi i francesi, molto sensibili al tema, votino contro la Costituzione.

Insomma, delineato il programma, ora inizia il lavoro sporco e delicato della mediazione politica tra 25 interessi diversi che devono farsi uno.
Il Primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker, presidente di turno dell’Unione, si è detto fiducioso e speranzoso di, con il sostegno della Commissione, trovare un compromesso entro la fine della sua presidenza, cioè la fine di giugno.

 

 

 

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