L’India e l’Europa sono
grandi democrazie; entrambe queste grandi potenze hanno
‘problemi’ di spazio e ruolo politico e
strategico nella comunità internazionale. Il
loro ‘incontro’, per così dire, è
nei fatti. E infatti, lo scorso 9 novembre, al quinto
vertice fra l’Unione e l’India, presente
il primo ministro di Nuova Delhi, Manhomut Singh, (esponente
del Congresso e dell’Alleanza progressista unita
che ha vinto le recentissime elezioni nazionali indiane),
le due grandi democrazie hanno siglato un ‘accordo
di parnership strategica’, che dovrà portare
entro il 2005 all’approvazione di un trattato
per l’incentivazione degli investimenti strategici
reciproci.
In realtà i rapporti indo-europei si stanno
stringendo da tempo: l’India, ad esempio, recentemente,
primo ministro Atal Vajpayee, esponente della destra
indù, aveva deciso di aderire al progetto Galileo,
il più importante programma tecnologico europeo.
Da tempo sono molti i programmi internazionali dell’Ue
che vedono l’India come partner o come partecipante.
E qualche giorno prima del summit Ue-India, il ministro
degli esteri francese, Michel Barnier, era giunto
a Nuova Delhi e aveva parlato chiaramente della nuova
patnership strategica con il gigante indiano.
Il fatto vero è che l’Ue sta allacciando
forti rapporti con l’Asia emergente: la Cina
è l’interlocutore stabile di Francia
e Germania, sia sul fronte, lucroso, degli affari,
sia su quello della ‘visione del mondo’
prossimo venturo, un mondo ‘multipolare’.
Ma nell’Asia che cresce prepotentemente non
c’è solo la Cina o la Corea. Da qualche
anno c’è sempre di più anche l’India.
Era quindi inevitabile che l’Ue ne prendesse
atto. Nuova Delhi, da qualche anno, è impegnata
nella costruzione di un complesso rapporto strategico
con Washington, ma come ha dimostrato anche la decisione
di non partecipare alla ‘coalizione dei volenterosi’
dell’amministrazione Bush, la classe dirigente
indiana non gradisce un mondo ‘unipolare’
dominato dall’iperpotenza militare Usa. Motivi
economici e ragioni politico-strategiche, quindi,
militavano a favore di rapporti più stretti
fra Europa e India. E così inizia ad essere.
D’altra parte, come scrivono gli analisti indiani,
‘l’accordo di patnership con l’Europa
è uno dei principali successi della diplomazia
indiana con il nuovo governo Singh’.
Ovviamente c’è anche qualche tema ‘controverso’:
in particolare la questione della liberalizzazione
dei commerci internazionali. L’India milita
attivamente nel G22, vuole l’apertura dei mercati
agricoli dei paesi ricchi del Nord, chiede una regolamentazione
non fondamentalista degli investimenti finanziari,
vuole insomma garantirsi migliori condizioni per il
proprio sviluppo capitalistico. L’Europa, nel
negoziato di Doha, è stata uno dei principali
avversari delle posizioni indiane.
Detto questo, un fatto però primeggia sugli
altri in questo nuovo rapporto euroindiano: l’approccio
tendenzialmente affine che europei e indiani, in nome
della comune democrazia pluralista, tendono ad avere
sul tema del terrorismo. L’India, fin dalla
nascita è afflitta da numerose insorgenze terroristiche,
dal Nord-est al Kashmir. In temi recenti, con il nuovo
governo di ‘centrosinistra’ (quello appunto
di Singh, costruito dal Congresso e dall’UPA,
con il sostegno convinto della Sinistra), ha preso
una strada molto interessante nei confronti dei movimenti
separatisti, nazionalisti, ribelli: negoziati per
quanto è possibile e abrogazione delle leggi
speciali. Si tratta, come è evidente, di una
strada piuttosto diversa da quella dei Patriot Act.
Si tratta di una strada che varrebbe la pena di essere
analizzata per evitare di mettere nella mani del terrorismo
estremista internazionale problemi e situazioni di
crisi del tutto diverse.
L’India e l’Europa, e questo è
forse l’aspetto più importante di tutta
la faccenda, hanno in comune una questione cruciale
nel nostro tempo, la ‘questione islamica’:
l’India ha oltre 130 milioni di cittadini di
religione mussulmana; l’Europa è l’area
del mondo di maggiore immigrazione mussulmana. Le
comunità mussulmane d’India convivono
nella democrazia pluralista (nonostante la presenza
nella grande democrazia indiana di una forte destra
fondamentalista indù le cui componenti estremiste
spesso si sono macchiate del sangue dei cittadini
mussulmani). Il primo ministro indiano ama spessissimo
parlare di ‘multiculturalismo’ come valore
da difendere per difendere proprio la democrazia pluralista.
Al di là delle definizioni teoriche (multiculturalismo
o multietnicismo, pluralismo irrigidito oppure pluralismo
aperto e dinamico), appare evidente lo sforzo, anzi
la battaglia del ‘centrosinistra’ (le
virgolette sono assolutamente obbligatorie) indiano
per una convivenza civile e aperta fra le diverse
comunità religiose e culturali del subcontinente.
L’Europa ha ora di fronte a sé la sfida
dell’estremismo di matrice fondamentalista islamica:
deve cioè riuscire a coniugare il necessario
e indispensabile pluralismo civile e culturale con
l’adesione di tutte le componenti alle istituzioni
e alle regione della democrazia costituzionale europea:
dobbiamo cioè riuscire a ‘integrare’
i futuri cittadini mussulmani nella nostra ‘comunità’
politica. Proprio come l’India, anche per l’Europa,
la Costituzione e la democrazia sono l’identità
fondativa che può permettere di vincere questa
grande sfida. Ecco perché diventa per noi europei
interessante un premier indiano che parla in continuazione
di ‘dialogo fra le civiltà e le culture’;
ecco perché si può dire che quello che
unisce la democrazia europea e la democrazia indiana
va ben al di là di qualche pur importante affare
o di qualche, pur decisiva, convergenza strategica.
Ecco perché India ed Europa sono grandi ‘alleati
naturali’.
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