270 - 28.01.05


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India e Ue, due alleati naturali
Claudio Landi

L’India e l’Europa sono grandi democrazie; entrambe queste grandi potenze hanno ‘problemi’ di spazio e ruolo politico e strategico nella comunità internazionale. Il loro ‘incontro’, per così dire, è nei fatti. E infatti, lo scorso 9 novembre, al quinto vertice fra l’Unione e l’India, presente il primo ministro di Nuova Delhi, Manhomut Singh, (esponente del Congresso e dell’Alleanza progressista unita che ha vinto le recentissime elezioni nazionali indiane), le due grandi democrazie hanno siglato un ‘accordo di parnership strategica’, che dovrà portare entro il 2005 all’approvazione di un trattato per l’incentivazione degli investimenti strategici reciproci.

In realtà i rapporti indo-europei si stanno stringendo da tempo: l’India, ad esempio, recentemente, primo ministro Atal Vajpayee, esponente della destra indù, aveva deciso di aderire al progetto Galileo, il più importante programma tecnologico europeo. Da tempo sono molti i programmi internazionali dell’Ue che vedono l’India come partner o come partecipante. E qualche giorno prima del summit Ue-India, il ministro degli esteri francese, Michel Barnier, era giunto a Nuova Delhi e aveva parlato chiaramente della nuova patnership strategica con il gigante indiano.

Il fatto vero è che l’Ue sta allacciando forti rapporti con l’Asia emergente: la Cina è l’interlocutore stabile di Francia e Germania, sia sul fronte, lucroso, degli affari, sia su quello della ‘visione del mondo’ prossimo venturo, un mondo ‘multipolare’. Ma nell’Asia che cresce prepotentemente non c’è solo la Cina o la Corea. Da qualche anno c’è sempre di più anche l’India. Era quindi inevitabile che l’Ue ne prendesse atto. Nuova Delhi, da qualche anno, è impegnata nella costruzione di un complesso rapporto strategico con Washington, ma come ha dimostrato anche la decisione di non partecipare alla ‘coalizione dei volenterosi’ dell’amministrazione Bush, la classe dirigente indiana non gradisce un mondo ‘unipolare’ dominato dall’iperpotenza militare Usa. Motivi economici e ragioni politico-strategiche, quindi, militavano a favore di rapporti più stretti fra Europa e India. E così inizia ad essere. D’altra parte, come scrivono gli analisti indiani, ‘l’accordo di patnership con l’Europa è uno dei principali successi della diplomazia indiana con il nuovo governo Singh’.

Ovviamente c’è anche qualche tema ‘controverso’: in particolare la questione della liberalizzazione dei commerci internazionali. L’India milita attivamente nel G22, vuole l’apertura dei mercati agricoli dei paesi ricchi del Nord, chiede una regolamentazione non fondamentalista degli investimenti finanziari, vuole insomma garantirsi migliori condizioni per il proprio sviluppo capitalistico. L’Europa, nel negoziato di Doha, è stata uno dei principali avversari delle posizioni indiane.

Detto questo, un fatto però primeggia sugli altri in questo nuovo rapporto euroindiano: l’approccio tendenzialmente affine che europei e indiani, in nome della comune democrazia pluralista, tendono ad avere sul tema del terrorismo. L’India, fin dalla nascita è afflitta da numerose insorgenze terroristiche, dal Nord-est al Kashmir. In temi recenti, con il nuovo governo di ‘centrosinistra’ (quello appunto di Singh, costruito dal Congresso e dall’UPA, con il sostegno convinto della Sinistra), ha preso una strada molto interessante nei confronti dei movimenti separatisti, nazionalisti, ribelli: negoziati per quanto è possibile e abrogazione delle leggi speciali. Si tratta, come è evidente, di una strada piuttosto diversa da quella dei Patriot Act. Si tratta di una strada che varrebbe la pena di essere analizzata per evitare di mettere nella mani del terrorismo estremista internazionale problemi e situazioni di crisi del tutto diverse.

L’India e l’Europa, e questo è forse l’aspetto più importante di tutta la faccenda, hanno in comune una questione cruciale nel nostro tempo, la ‘questione islamica’: l’India ha oltre 130 milioni di cittadini di religione mussulmana; l’Europa è l’area del mondo di maggiore immigrazione mussulmana. Le comunità mussulmane d’India convivono nella democrazia pluralista (nonostante la presenza nella grande democrazia indiana di una forte destra fondamentalista indù le cui componenti estremiste spesso si sono macchiate del sangue dei cittadini mussulmani). Il primo ministro indiano ama spessissimo parlare di ‘multiculturalismo’ come valore da difendere per difendere proprio la democrazia pluralista. Al di là delle definizioni teoriche (multiculturalismo o multietnicismo, pluralismo irrigidito oppure pluralismo aperto e dinamico), appare evidente lo sforzo, anzi la battaglia del ‘centrosinistra’ (le virgolette sono assolutamente obbligatorie) indiano per una convivenza civile e aperta fra le diverse comunità religiose e culturali del subcontinente. L’Europa ha ora di fronte a sé la sfida dell’estremismo di matrice fondamentalista islamica: deve cioè riuscire a coniugare il necessario e indispensabile pluralismo civile e culturale con l’adesione di tutte le componenti alle istituzioni e alle regione della democrazia costituzionale europea: dobbiamo cioè riuscire a ‘integrare’ i futuri cittadini mussulmani nella nostra ‘comunità’ politica. Proprio come l’India, anche per l’Europa, la Costituzione e la democrazia sono l’identità fondativa che può permettere di vincere questa grande sfida. Ecco perché diventa per noi europei interessante un premier indiano che parla in continuazione di ‘dialogo fra le civiltà e le culture’; ecco perché si può dire che quello che unisce la democrazia europea e la democrazia indiana va ben al di là di qualche pur importante affare o di qualche, pur decisiva, convergenza strategica.
Ecco perché India ed Europa sono grandi ‘alleati naturali’.

 

 

 

 

 

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