268 - 25.12.04


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Storia di un rapporto altalenante
Luca Sebastiani

I rapporti tra il Partito socialista francese e il processo di integrazione europea non sono mai stati lineari. La diffidenza verso le cessioni di sovranità da una parte e il sospetto di un’Europa dalla tendenza troppo liberale e contraria alla prospettiva socialista dall’altra, hanno dato luogo, nel corso degli anni, a scontri virulenti che hanno spaccato il partito al suo interno.
Le linee di frattura createsi a seguito delle frizioni sui temi della costruzione europea riemergono oggi intorno all’approvazione o meno del trattato di Costituzione europea approvato dai presidenti e capi di Stato dei 25 paesi Ue il 29 ottobre scorso a Roma e ora in attesa di ratifica.
I giorni che hanno preceduto la consultazione dei 120.000 aderenti al partito, sono stati giorni di intensi dibattiti sia nelle sezioni che sui mezzi di comunicazione in cui, alle differenti posizioni sui temi europei, si sono cumulate tensioni interne, rese dei conti tra correnti ed “elefanti” (così vengono chiamati i personaggi che calcano la scena politica dai tempi del mitteranismo) e più generalmente tra due visioni differenti del socialismo del terzo millennio.

Nel 1952 viene sottoscritto un trattato che intende istituire, sul modello della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), una Comunità europea di difesa (Ced), che per entrare in vigore deve però essere ratificato dai sei paesi partner. L’apertura del dibattito in Francia apre una crisi generalizzata all’interno di tutte le forze politiche, compreso, e forse soprattutto, all’interno del Partito socialista. Nonostante una risicata preponderanza dei socialisti favorevoli, guidati da Guy Mollet, segretario generale della Sfio (Sezione francese dell’internazionale socialista), il 30 agosto del 1954, 53 parlamentari del Ps su 105 votano contro all’Assemblea nazionale e contribuiscono all’affossamento del trattato.

Due gli argomenti dell’opposizione all’istituzione di una difesa europea: da una parte il rifiuto di cessione di sovranità e di un riarmo tedesco e, dall’altra, da sinistra, l’opposizione ad un progetto troppo filo statunitense in funzione antisovietica.
Eletto alla presidenza del Consiglio nel 1956, Mollet, deciso sostenitore della costruzione europea, lavorerà per ricomporre la crisi aperta dalla Ced e da allora, sostanzialmente, il Partito socialista francese contribuirà al rafforzamento della Francia nel processo europeo di integrazione. Fino alla prossima crisi.

Nel 1971 si forma all’interno del Ps una corrente capeggiata da Jean-Pierre Chevènement fortemente in dissenso con la linea europeista dell’allora primo segretario François Mitterand. Nel novembre del 1973 la crisi si manifesta nell’ufficio esecutivo del partito e la maggioranza interna sembra vacillare. Mitterand minaccia di rassegnare le dimissioni e viene convocato, per il 15 e 16 dicembre, un congresso straordinario del partito a Bagnolet per dibattere il tema europeo. Alla fine il segretario, dietro alcune concessioni, riuscirà a difendere la propria posizione e a far passare il progetto politico socialista per l’Europa.

Vinte le elezioni presidenziali nel 1981 il Ps si ritrova al Governo del Paese e da questa posizione si scatena nel 1983 il dibattito sulla opportunità o meno di rimanere all’interno del Sistema monetario europeo (Sme). Gli chevènementiani rialzano la testa, ma Jacques Delors e Pierre Mouroy convinceranno Mitterand, contro le opposizioni interne, a fare ancora una volta una scelta europeista. Una scelta, questa volta, dettata anche dalla necessità di ridefinire l’identità di un partito socialista che ha ormai definitivamente assunto responsabilità di governo e per cui l’Europa e il suo orizzonte diventeranno un sostitutivo della prospettiva socialista.
Ma l’opposizione chevènementiana non si sfalda neanche questa volta e si farà sentire di nuovo nel 1993 al momento del referendum indetto da Mitterand sul Trattato di Maastricht, quando riuscirà ad intercettare, oltre alle posizioni euro-scettiche e “sovraniste” interne, il malcontento popolare dovuto alla mancata realizzazione di quelle promesse di miglioramento economico e sociale per la Francia nell’orizzonte europeo. Il sì vincerà il referendum e globalmente il Presidente francese riuscirà anche questa volta a rinforzare il filo-europeismo del suo partito; pur con tutti i limiti oggi deflagrati nello scontro sulla ratifica del trattato costituzionale.

 

 




 

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