I rapporti tra il Partito socialista
francese e il processo di integrazione europea non sono
mai stati lineari. La diffidenza verso le cessioni di
sovranità da una parte e il sospetto di un’Europa
dalla tendenza troppo liberale e contraria alla prospettiva
socialista dall’altra, hanno dato luogo, nel corso
degli anni, a scontri virulenti che hanno spaccato il
partito al suo interno.
Le linee di frattura createsi a seguito delle frizioni
sui temi della costruzione europea riemergono oggi intorno
all’approvazione o meno del trattato di Costituzione
europea approvato dai presidenti e capi di Stato dei
25 paesi Ue il 29 ottobre scorso a Roma e ora in attesa
di ratifica.
I giorni che hanno preceduto la consultazione dei 120.000
aderenti al partito, sono stati giorni di intensi dibattiti
sia nelle sezioni che sui mezzi di comunicazione in
cui, alle differenti posizioni sui temi europei, si
sono cumulate tensioni interne, rese dei conti tra correnti
ed “elefanti” (così vengono chiamati
i personaggi che calcano la scena politica dai tempi
del mitteranismo) e più generalmente tra due
visioni differenti del socialismo del terzo millennio.
Nel 1952 viene sottoscritto un trattato che intende
istituire, sul modello della Comunità europea
del carbone e dell’acciaio (Ceca), una Comunità
europea di difesa (Ced), che per entrare in vigore
deve però essere ratificato dai sei paesi partner.
L’apertura del dibattito in Francia apre una
crisi generalizzata all’interno di tutte le
forze politiche, compreso, e forse soprattutto, all’interno
del Partito socialista. Nonostante una risicata preponderanza
dei socialisti favorevoli, guidati da Guy Mollet,
segretario generale della Sfio (Sezione francese dell’internazionale
socialista), il 30 agosto del 1954, 53 parlamentari
del Ps su 105 votano contro all’Assemblea nazionale
e contribuiscono all’affossamento del trattato.
Due gli argomenti dell’opposizione all’istituzione
di una difesa europea: da una parte il rifiuto di
cessione di sovranità e di un riarmo tedesco
e, dall’altra, da sinistra, l’opposizione
ad un progetto troppo filo statunitense in funzione
antisovietica.
Eletto alla presidenza del Consiglio nel 1956, Mollet,
deciso sostenitore della costruzione europea, lavorerà
per ricomporre la crisi aperta dalla Ced e da allora,
sostanzialmente, il Partito socialista francese contribuirà
al rafforzamento della Francia nel processo europeo
di integrazione. Fino alla prossima crisi.
Nel 1971 si forma all’interno del Ps una corrente
capeggiata da Jean-Pierre Chevènement fortemente
in dissenso con la linea europeista dell’allora
primo segretario François Mitterand. Nel novembre
del 1973 la crisi si manifesta nell’ufficio
esecutivo del partito e la maggioranza interna sembra
vacillare. Mitterand minaccia di rassegnare le dimissioni
e viene convocato, per il 15 e 16 dicembre, un congresso
straordinario del partito a Bagnolet per dibattere
il tema europeo. Alla fine il segretario, dietro alcune
concessioni, riuscirà a difendere la propria
posizione e a far passare il progetto politico socialista
per l’Europa.
Vinte le elezioni presidenziali nel 1981 il Ps si
ritrova al Governo del Paese e da questa posizione
si scatena nel 1983 il dibattito sulla opportunità
o meno di rimanere all’interno del Sistema monetario
europeo (Sme). Gli chevènementiani rialzano
la testa, ma Jacques Delors e Pierre Mouroy convinceranno
Mitterand, contro le opposizioni interne, a fare ancora
una volta una scelta europeista. Una scelta, questa
volta, dettata anche dalla necessità di ridefinire
l’identità di un partito socialista che
ha ormai definitivamente assunto responsabilità
di governo e per cui l’Europa e il suo orizzonte
diventeranno un sostitutivo della prospettiva socialista.
Ma l’opposizione chevènementiana non
si sfalda neanche questa volta e si farà sentire
di nuovo nel 1993 al momento del referendum indetto
da Mitterand sul Trattato di Maastricht, quando riuscirà
ad intercettare, oltre alle posizioni euro-scettiche
e “sovraniste” interne, il malcontento
popolare dovuto alla mancata realizzazione di quelle
promesse di miglioramento economico e sociale per
la Francia nell’orizzonte europeo. Il sì
vincerà il referendum e globalmente il Presidente
francese riuscirà anche questa volta a rinforzare
il filo-europeismo del suo partito; pur con tutti
i limiti oggi deflagrati nello scontro sulla ratifica
del trattato costituzionale.
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