Parigi. Gli “euroentusiasti”
possono tirare un sospiro di sollievo. I militanti del
Partito socialista francese hanno infatti dato parere
favorevole alla consultazione sul Trattato costituzionale
europeo sottoscritto il 29 ottobre a Roma dai presidenti
di Stato e di Governo dei 25 Paesi dell’Unione
europea.
Il primo dicembre scorso, chiamati a rispondere, nel
corso di un referendum interno al partito, alla domanda:
“Approvate la Costituzione europea, sì
o no?”, i 120.027 inscritti hanno votato in maggioranza
per il sì (58,8%), stabilendo così la
linea che l’organizzazione dovrà sostenere
in vista della prossima consultazione referendaria nazionale
sullo stesso tema che il presidente della Repubblica
Jacques Chirac fisserà, verosimilmente, per la
seconda metà del 2005.
Nei mesi scorsi lo scontro tra le due fazioni
del sì e del no, capeggiate rispettivamente dal
segretario del Ps, François Holland, e dal numero
due del partito, Laurent Fabius, era stato acceso e
vibrante.
Gli uomini dei due schieramenti hanno battuto in
due mesi tutta la Francia per partecipare agli incontri
nelle sedi territoriali del partito e ai dibattiti
televisivi e radiofonici; hanno scritto appassionati
interventi sulle pagine dei maggiori quotidiani e
rilasciato interviste in cui hanno pubblicamente difeso
le proprie posizioni e cercato di persuadere la propria
base dei torti degli avversari.
Lionel Jospin, l’ex primo Ministro ritiratosi
dall’agone politico dopo la sconfitta alle presidenziali
dell’aprile 2002, è riemerso dal silenzio
che si era imposto per prendere la parola e difendere
le ragioni del Trattato e del proprio bilancio politico
implicitamente messo sotto accusa dai critici dell’opposizione
interna. Personaggi politici più in ombra,
come Jack Lang, ex ministro della Cultura, o anche,
in un certo modo, Dominique Strauss-Kahn, ex ministro
dell’Economia, hanno assunto un ruolo di primo
piano nella difesa del sì.
Insomma, l’immagine che il Partito socialista
francese ha dato di sé, è stata quella
di un partito solcato da una spaccatura tra due anime
contrapposte, di un partito in crisi d’identità
e ancora alla ricerca di una propria fisionomia per
un socialismo del terzo millennio. Si sono affrontate
in questi ultimi mesi da una parte una tendenza più
“gauchiste”, critica del neoliberismo
e rivolta alla difesa e all’estensione dei diritti
sociali contro la logica egemonica del mercato, in
Francia come in Europa; dall’altra una tendenza
più realista e riformista, in continuità
con l’esperienza di Governo.
La frattura era già emersa al momento del bilancio
sul dopo Jospin e si era manifestata al congresso
di Digione del 2002 quando la maggioranza congressuale
aveva portato alla segreteria del partito la linea
“riformista” di Holland, Fabius e Strauss-Kahn
e si erano formate le due correnti di Nuovo partito
socialista (Nps) e Nuovo mondo (Nm) che insieme raccolsero
il 40% dei consensi.
Al momento della scelta sul Trattato costituzionale
europeo le divisioni sono riemerse, con la differenza
- cosa che ha reso incerto l’esito della consultazione
fino alla fine e ha divaricato la contraddizione interna
al partito fin quasi ad un punto di non ritorno -
che Fabius questa volta si è spostato a sinistra
e ha cercato di guidare l’opposizione a questa
Carta - e non alla Carta tout court, ha tenuto a sottolineare
- alla vittoria.
Per il numero due del Ps, infatti, il testo del Trattato
è consacrato ad una visione anglosassone dell’Europa,
vista più come zona di libero scambio che come
spazio di solidarietà. Lo dimostrerebbe il
fatto che il testo conferma come obiettivo principale
della Banca centrale europea la stabilità dei
prezzi, mentre l’occupazione appare solo come
obiettivo secondario. Per Fabius, inoltre, il testo
impedirebbe l’armonizzazione fiscale e di fatto
legalizzerebbe il dumping fiscale che incoraggia
le delocalizzazioni all’interno dell’Ue.
Su questa materia il Trattato mantiene inoltre il
voto all’unanimità, come anche sulle
modifiche di se stessa, cosa che secondo Fabius corrisponde
alla consegna all’irreversibilità della
Costituzione, soprattutto una volta che i Paesi dell’Unione
e i voti da “unanimizzare” passeranno
da 25 a 30 o più. C’è poi il capitolo,
molto sentito dai francesi, dei servizi d’interesse
generale. Per il numero due del Ps è vero che
il testo ne riconosce la nozione e la protezione,
ma di fatto i servizi pubblici resteranno sottomessi
ad un regime di concorrenza che ne minaccia la sopravvivenza.
Inoltre, gli oppositori sostengono che invece di creare
una difesa europea autonoma dagli Stati uniti, di
fatto questa sarà sottoposta alla tutela della
Nato e quindi, in ultima analisi, degli Usa.
Da parte sua Holland ha sottolineato
che, certo, non è il miglior testo possibile,
ma è il migliore che poteva uscire dalle mediazioni
che lo hanno prodotto, e che comunque recepisce molte
delle istanze sociali per cui i socialisti europei si
sono battuti negli ultimi anni - come il recepimento
della Carta europea dei diritti fondamentali e le sue
integrazioni. Questo Trattato quindi, per il segretario
del Ps, non è né liberista né socialista,
ma è solo un’insieme di buone regole condivise,
all’interno delle quali perseguire politiche differenti.
Inoltre la Costituzione contiene degli oggettivi passi
avanti nella costruzione di istituzioni democratiche
europee che conferiscono maggiore autonomia alle politiche
del Vecchio continente. La creazione del ministro degli
Esteri, il rafforzamento del Parlamento, della Commissione
e del presidente del Consiglio europeo, sono tutte mosse
in questa direzione.
Il referendum socialista è di certo stato anche
una resa dei conti tra Holland e Fabius, cioè
i “presidenziabili” alle elezioni del 2007
– elezioni che rappresentano la chiave di volta
della politica nella V Repubblica - ma al di là
delle vicende politiche dei singoli personaggi il fatto
importante è che la base del Ps, con il proprio
voto favorevole al Trattato europeo e alla linea rappresentata
dal segretario, ha risolto in una volta la questione
dell’Europa e dell’identità socialista
francese.
Il rapporto tra Partito socialista francese e costruzione
europea non è mai stato molto lineare. Si è
caratterizzato per le esitazioni, le incertezze, gli
strappi e le fratture che ogni tappa del processo
ha provocato in seno al partito. La prospettiva europea
ha comunque permesso ai suoi sostenitori di convertire
il Ps all’economia di mercato e di farvi penetrare
un riformismo più moderato; almeno dalla svolta
del 23 marzo 1983 quando, dopo tre svalutazioni e
diverse settimane di esitazione, il presidente della
Repubblica François Mitterand, pressato da
Jacques Delors, rinunciò a far uscire la Francia
dal Sistema monetario europeo (Sme). Ma mai fino ad
ora, nonostante l’impegno dell’ex presidente
nel 1992 per l’approvazione del Trattato di
Maastricht e poi quello di Jospin e del suo governo
per un’Europa politica con forti istituzioni
comuni, mai si era sviluppato un così chiaro
dibattito sull’Unione europea e il suo orizzonte
come terreno dell’agire politico di un moderno
Partito socialista francese.
La tendenza “riformista” ha prevalso e
oggi il Ps francese è più vicino alle
social-democrazie europee che in questi giorni hanno
guardato stupefatte al dibattito francese e poi hanno
espresso soddisfazione per l’esito positivo
della consultazione.
Ma se il primo ostacolo è stato superato,
i cittadini francesi approveranno il Trattato di costituzione
europea al prossimo referendum nazionale? Il voto
favorevole del Ps è senz’altro un buon
auspicio, ma da solo non è sufficiente. Sono
ancora molte le incognite che gravano sul destino
francese, e non solo, della Carta europea. Innanzi
tutto la questione dell’adesione della Turchia,
alla quale, per motivazioni differenti, si oppongono
in molti da destra a sinistra. C’è inoltre
il pericolo concreto che il referendum si trasformi
in una verifica popolare sul Governo del Primo ministro
Jean-Pierre Raffarin, che farà campagna per
il sì, ma oggi in netto calo di popolarità.
Da ultimo, un voto contrario al Trattato in un altro
Paese Ue potrebbe riaccendere l’opposizione
interna al Ps e catalizzare le forze contrarie al
testo costituzionale. Non dimentichiamo che al referendum
del 1992 sul Trattato di Maastricht solo una risicatissima
maggioranza del 51.01% dei francesi votò a
favore.
In Francia il destino della Carta europea non si è
ancora compiuto.
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