268 - 25.12.04


Cerca nel sito
Cerca WWW
E i socialisti francesi dissero sì
Luca Sebastiani

Parigi. Gli “euroentusiasti” possono tirare un sospiro di sollievo. I militanti del Partito socialista francese hanno infatti dato parere favorevole alla consultazione sul Trattato costituzionale europeo sottoscritto il 29 ottobre a Roma dai presidenti di Stato e di Governo dei 25 Paesi dell’Unione europea.
Il primo dicembre scorso, chiamati a rispondere, nel corso di un referendum interno al partito, alla domanda: “Approvate la Costituzione europea, sì o no?”, i 120.027 inscritti hanno votato in maggioranza per il sì (58,8%), stabilendo così la linea che l’organizzazione dovrà sostenere in vista della prossima consultazione referendaria nazionale sullo stesso tema che il presidente della Repubblica Jacques Chirac fisserà, verosimilmente, per la seconda metà del 2005.

Nei mesi scorsi lo scontro tra le due fazioni del sì e del no, capeggiate rispettivamente dal segretario del Ps, François Holland, e dal numero due del partito, Laurent Fabius, era stato acceso e vibrante.

Gli uomini dei due schieramenti hanno battuto in due mesi tutta la Francia per partecipare agli incontri nelle sedi territoriali del partito e ai dibattiti televisivi e radiofonici; hanno scritto appassionati interventi sulle pagine dei maggiori quotidiani e rilasciato interviste in cui hanno pubblicamente difeso le proprie posizioni e cercato di persuadere la propria base dei torti degli avversari.
Lionel Jospin, l’ex primo Ministro ritiratosi dall’agone politico dopo la sconfitta alle presidenziali dell’aprile 2002, è riemerso dal silenzio che si era imposto per prendere la parola e difendere le ragioni del Trattato e del proprio bilancio politico implicitamente messo sotto accusa dai critici dell’opposizione interna. Personaggi politici più in ombra, come Jack Lang, ex ministro della Cultura, o anche, in un certo modo, Dominique Strauss-Kahn, ex ministro dell’Economia, hanno assunto un ruolo di primo piano nella difesa del sì.

Insomma, l’immagine che il Partito socialista francese ha dato di sé, è stata quella di un partito solcato da una spaccatura tra due anime contrapposte, di un partito in crisi d’identità e ancora alla ricerca di una propria fisionomia per un socialismo del terzo millennio. Si sono affrontate in questi ultimi mesi da una parte una tendenza più “gauchiste”, critica del neoliberismo e rivolta alla difesa e all’estensione dei diritti sociali contro la logica egemonica del mercato, in Francia come in Europa; dall’altra una tendenza più realista e riformista, in continuità con l’esperienza di Governo.

La frattura era già emersa al momento del bilancio sul dopo Jospin e si era manifestata al congresso di Digione del 2002 quando la maggioranza congressuale aveva portato alla segreteria del partito la linea “riformista” di Holland, Fabius e Strauss-Kahn e si erano formate le due correnti di Nuovo partito socialista (Nps) e Nuovo mondo (Nm) che insieme raccolsero il 40% dei consensi.
Al momento della scelta sul Trattato costituzionale europeo le divisioni sono riemerse, con la differenza - cosa che ha reso incerto l’esito della consultazione fino alla fine e ha divaricato la contraddizione interna al partito fin quasi ad un punto di non ritorno - che Fabius questa volta si è spostato a sinistra e ha cercato di guidare l’opposizione a questa Carta - e non alla Carta tout court, ha tenuto a sottolineare - alla vittoria.

Per il numero due del Ps, infatti, il testo del Trattato è consacrato ad una visione anglosassone dell’Europa, vista più come zona di libero scambio che come spazio di solidarietà. Lo dimostrerebbe il fatto che il testo conferma come obiettivo principale della Banca centrale europea la stabilità dei prezzi, mentre l’occupazione appare solo come obiettivo secondario. Per Fabius, inoltre, il testo impedirebbe l’armonizzazione fiscale e di fatto legalizzerebbe il dumping fiscale che incoraggia le delocalizzazioni all’interno dell’Ue. Su questa materia il Trattato mantiene inoltre il voto all’unanimità, come anche sulle modifiche di se stessa, cosa che secondo Fabius corrisponde alla consegna all’irreversibilità della Costituzione, soprattutto una volta che i Paesi dell’Unione e i voti da “unanimizzare” passeranno da 25 a 30 o più. C’è poi il capitolo, molto sentito dai francesi, dei servizi d’interesse generale. Per il numero due del Ps è vero che il testo ne riconosce la nozione e la protezione, ma di fatto i servizi pubblici resteranno sottomessi ad un regime di concorrenza che ne minaccia la sopravvivenza. Inoltre, gli oppositori sostengono che invece di creare una difesa europea autonoma dagli Stati uniti, di fatto questa sarà sottoposta alla tutela della Nato e quindi, in ultima analisi, degli Usa.

Da parte sua Holland ha sottolineato che, certo, non è il miglior testo possibile, ma è il migliore che poteva uscire dalle mediazioni che lo hanno prodotto, e che comunque recepisce molte delle istanze sociali per cui i socialisti europei si sono battuti negli ultimi anni - come il recepimento della Carta europea dei diritti fondamentali e le sue integrazioni. Questo Trattato quindi, per il segretario del Ps, non è né liberista né socialista, ma è solo un’insieme di buone regole condivise, all’interno delle quali perseguire politiche differenti. Inoltre la Costituzione contiene degli oggettivi passi avanti nella costruzione di istituzioni democratiche europee che conferiscono maggiore autonomia alle politiche del Vecchio continente. La creazione del ministro degli Esteri, il rafforzamento del Parlamento, della Commissione e del presidente del Consiglio europeo, sono tutte mosse in questa direzione.

Il referendum socialista è di certo stato anche una resa dei conti tra Holland e Fabius, cioè i “presidenziabili” alle elezioni del 2007 – elezioni che rappresentano la chiave di volta della politica nella V Repubblica - ma al di là delle vicende politiche dei singoli personaggi il fatto importante è che la base del Ps, con il proprio voto favorevole al Trattato europeo e alla linea rappresentata dal segretario, ha risolto in una volta la questione dell’Europa e dell’identità socialista francese.

Il rapporto tra Partito socialista francese e costruzione europea non è mai stato molto lineare. Si è caratterizzato per le esitazioni, le incertezze, gli strappi e le fratture che ogni tappa del processo ha provocato in seno al partito. La prospettiva europea ha comunque permesso ai suoi sostenitori di convertire il Ps all’economia di mercato e di farvi penetrare un riformismo più moderato; almeno dalla svolta del 23 marzo 1983 quando, dopo tre svalutazioni e diverse settimane di esitazione, il presidente della Repubblica François Mitterand, pressato da Jacques Delors, rinunciò a far uscire la Francia dal Sistema monetario europeo (Sme). Ma mai fino ad ora, nonostante l’impegno dell’ex presidente nel 1992 per l’approvazione del Trattato di Maastricht e poi quello di Jospin e del suo governo per un’Europa politica con forti istituzioni comuni, mai si era sviluppato un così chiaro dibattito sull’Unione europea e il suo orizzonte come terreno dell’agire politico di un moderno Partito socialista francese.

La tendenza “riformista” ha prevalso e oggi il Ps francese è più vicino alle social-democrazie europee che in questi giorni hanno guardato stupefatte al dibattito francese e poi hanno espresso soddisfazione per l’esito positivo della consultazione.

Ma se il primo ostacolo è stato superato, i cittadini francesi approveranno il Trattato di costituzione europea al prossimo referendum nazionale? Il voto favorevole del Ps è senz’altro un buon auspicio, ma da solo non è sufficiente. Sono ancora molte le incognite che gravano sul destino francese, e non solo, della Carta europea. Innanzi tutto la questione dell’adesione della Turchia, alla quale, per motivazioni differenti, si oppongono in molti da destra a sinistra. C’è inoltre il pericolo concreto che il referendum si trasformi in una verifica popolare sul Governo del Primo ministro Jean-Pierre Raffarin, che farà campagna per il sì, ma oggi in netto calo di popolarità. Da ultimo, un voto contrario al Trattato in un altro Paese Ue potrebbe riaccendere l’opposizione interna al Ps e catalizzare le forze contrarie al testo costituzionale. Non dimentichiamo che al referendum del 1992 sul Trattato di Maastricht solo una risicatissima maggioranza del 51.01% dei francesi votò a favore.
In Francia il destino della Carta europea non si è ancora compiuto.

 


 



 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it