Bruxelles.
“Dal summit di Helsinki del 1999 a quello di Copenhagen
del 2002 il nostro treno si è mosso – spiega
fiero e appassionato, in buon inglese, Cengiz Çandar
– e ora abbiamo un
rapid train”.
Il treno di cui parla il giornalista del quotidiano
Tercüman Çandar, grandi baffi da saladino
su un vestito perfettamente occidentale, è quello
della democrazia.
Al convegno internazionale
Turkey and the European
Union:reason for a historic choice, organizzato
dal Partito Radicale Transnazionale, Alleanza dei Liberali
e dei Democratici per l’Europa e No Peace without
Justice a Bruxelles, al Parlamento europeo, si discute
dell’ingresso di Ankara nell’Unione. Gli
interventi sono perlopiù a favore, ma non manca
il dibattito.
C’è Daniel Cohn-Bendit, presidente dei
Verdi europei, che, con una posizione tipicamente e
trasversalmente francese, ricorda il genocidio armeno
e invita i turchi a guardare con occhi limpidi quel
loro passato, “così come i tedeschi hanno
fatto con il nazismo”. C’è l’inglese
Andrew Duff, deputato liberale europeo e vicepresidente
della delegazione del PE presso la Commissione congiunta
Ue-Turchia, che ricorda come “ci siano due grandi
test che dovranno essere passati prima che Ankara sia
genuinamente pronta per l’ingresso in Europa,
ovvero il problema curdo, che può essere risolto
con la devolution nella regione curda e con la trasformazione
del Pkk in partito politico (è impossibile per
un paese accedere all’Ue se è in uno stato
di guerra civile); e il problema di Cipro, da cui Ankara
deve ritirare le truppe”. “Per entrare nell’Unione
la Turchia deve dimostrare che non solo Istanbul è
pronta – ha concluso Cohn-Bendit – ma anche
il Kurdistan, anche Dyarbakir”.
Anche Emma Bonino, in prima linea per l’ingresso
di Ankara, ha riconosciuto che esistono quattro questioni
ufficiali aperte (Cipro, Curdi, Armenia, diritti umani),
ma tutti si sono trovati d’accordo su un punto:
il treno della democrazia turca è un
rapid
train, e questo spiega l’ottimismo generale.
Non solo: “Il dibattito sulla Turchia –
ha dichiarato lo scozzese Graham Watson, presidente
del gruppo dei liberaldemocratici (Alde) – è
un segno salutare della nostra democrazia”. E’
sembrato che la Turchia possa contare su un vasto seguito
di simpatia, tanto che, come ha ricordato la socialista
belga Véronique De Keyser, “la grande maggioranza
del Parlamento europeo ha votato a favore dell’apertura
delle negoziazioni con Ankara”.
Ma chi lo dice che la Turchia è pronta? Lo dice
per esempio, dati alla mano, Saadet Arikan, direttrice
generale delle relazioni internazionali al Ministero
della Giustizia turco. La Arikan ha spiegato che, su
impulso dell’Europa, dal summit di Helsinki ad
oggi Ankara ha approvato un numero record di leggi e
emendamenti costituzionali, con un’accelerazione
notevolissima negli ultimi due anni, dopo il summit
di Copenhagen del 2002: 876 nuove leggi, 89 pacchetti
d’armonizzazione alle leggi europee e 49 emendamenti
alla Costituzione (per farsi un’idea, dal 1987
al 1998 erano stati emendati soltanto 19 articoli).
Le leggi e gli emendamenti hanno riguardato soprattutto
la giustizia, la politica, i diritti umani e la questione
turca. E’ stato accorciato il periodo di detenzione
durante l’arresto, reso obbligatorio l’esame
medico dei prigionieri, rafforzata la libertà
di stampa e liberalizzati ancora di più i partiti
politici. E’ stata abolita la pena di morte, consentita
la trasmissione di programmi in lingua locale e riconosciuta
l’uguaglianza tra uomo e donna.
L’avvocato Nazan Moroglu, presidente dell’Unione
delle donne di Istanbul, ha ammesso che “in così
pochi anni sono stati approvati moltissimi cambiamenti
nel processo penale e civile”, e che l’adulterio
non è stato riconosciuto reato penale anche grazie
alle pressioni delle Ong femministe. “Le donne
possono votare in Turchia dal 1934, molto prima di quanto
sia successo in diversi paesi occidentali”, ha
ricordato fiera la Moroglu, che ha affermato che le
donne sono ancora sottorappresentate in politica e nelle
Università, che la violenza contro di loro è
ancora un problema inquietante, ma che “le leggi
ci sono, ora devono solo diventare vita quotidiana”.
Anche Jonathan Sugden, di Human Rights Watch, ha riconosciuto
gli incredibili passi avanti della Turchia: “Nel
1994 il tema dei diritti umani era un inferno in Turchia
– ha ricordato Sugden – Ad esempio c’era
la questione dei desaparecidos, che ha avuto poi fine
nel 1998-1999 anche grazie alla stampa e all’opinione
pubblica”. Anche Sugden, citando suoi colleghi
turchi impegnati nel campo dei diritti umani, si è
mostrato ottimista: “Nel 1994 morirono 45 persone
in seguito a torture, ma già nel 2001 questo
fenomeno si era dissolto. C’è ancora molto
da fare sul tema dei diritti umani, ma l’obiettivo
principale può dirsi raggiunto”.
La questione dell’ingresso della Turchia nell’Unione
dominerà per varie ragioni il prossimo decennio.
Oggi la maggioranza degli esperti e dei politici europei
condivide un certo ottimismo sulle possibilità
di questo passo storico. Nella sala del Parlamento europeo
dedicata a Anna Lindh, il ministro degli Esteri svedese
assassinato nel 2003, questo ottimismo della ragione
si è fatto sentire. Si accusano spesso le istituzioni
europee di “deficit democratico”, si accusa
la Turchia di non essere un paese democratico: il dibattito
che negli ultimi mesi si è sviluppato nel vecchio
continente e i progressi oggettivi della società
turca dal 1999 ad oggi stanno a dimostrare l’esatto
contrario. Quando Cengiz Çanda, il giornalista
turco dai grandi baffi, prende la parola, la prima cosa
che fa è lamentarsi per come la moderatrice francese
ha pronunciato il suo nome: “Spero che quando
il turco sarà una delle lingue ufficiali dell’Unione
– s’accalora – imparerete a pronunciare
bene i nostri nomi”. Che temperamento che hanno
questi turchi, che sangue da europei del Sud. Ma, soprattutto,
che brama d’Europa.
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