268 - 25.12.04


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“Guardiamo ad Ankara
per capire chi siamo”
Emma Bonino con
Mauro Buonocore

“A chi gli chiedeva se era ottimista o pessimista, Jean Monet rispose una volta: io sono solo determinato. Allo stesso modo credo che dobbiamo essere determinati per il raggiungimento di un obiettivo”. E arriva tutta la determinazione di Emma Bonino. Dalle sue parole. Dal suo modo di camminare svelta sulla moquette delle stanze del Parlamento europeo a Bruxelles. Dalla disponibilità con cui si concede alle interviste per le televisioni di tutta Europa. E anche a noi concede di rispondere a qualche domanda, appena fuori dalla stanza dedicata ad Anna Lindh, nei corridoi dell’enorme palazzo di vetro che offre la sua facciata a Place de Luxembourg nella capitale belga.

“Alla base di molte resistenze europee verso la Turchia c’è un elemento di pregiudizio, di scarsa conoscenza” e da qui nasce l’idea di un convegno internazionale, pochi giorni prima della decisione del Consiglio europeo sull’opportunità o meno di aprire i negoziati con Ankara per l’adesione all’Unione, che il partito radicale ha organizzato, con il gruppo parlamentare dei liberal democratici e l’associazione No peace without justice, per dare voce alle posizioni sulla questione turca e farle arrivare alle orecchie più sorde.

Ma perché è importante parlare dell’adesione della Turchia? A maggio sono entrati nell’Unione dieci paesi, altri due, Romania e Bulgaria, stanno per iniziare il processo di adesione, ma nessuno ha sollevato tante polemiche. Perché della Turchia si parla tanto?

Innanzi tutto perché è un argomento di grande attualità, che in questi giorni sta vivendo delle fasi decisive per l’apertura dei negoziati, quindi è bene che l’opinione pubblica ne sia informata. Sono invece dispiaciuta del contrario, che a volte non se ne parli affatto come è successo in Italia durante campagna elettorale delle ultime elezioni europee, mentre negli altri paesi ci sono stati dibattiti molto appassionati. E certamente preferisco un dibattito molto appassionato al silenzio.

Quali sono, allora, i punti della discussione che fanno il dibattito così importante?

Per prima cosa è importante che il dibattito ci sia perché aiuta noi a porci delle domande che avevamo smesso di farci. Qual è la nostra identità? Quali sono i nostri confini geografici dopo il 2000? La Turchia ci sta dando lo stimolo per aprire questione che sembravano chiuse in un cassetto e già questo è un elemento positivo.
Entrando negli aspetti più politici e diplomatici della questione turca, si dice sempre che sono quattro i punti principali intorno ai quali ruota il dibattito: Cipro, i Curdi, la questione armena e i diritti umani. Certamente aspetti essenziali, ma la verità è che ci sono degli altri argomenti nascosti, sembra quasi che non se ne voglia parlare, e invece sono proprio quelli che maggiormente segnano le posizioni della discussione. Mi riferisco al fatto che la Turchia è un paese grande, povero e musulmano. Soprattutto per quest’ultimo aspetto, la sempre più accesa identificazione tra Islam fondamentalismo e terrorismo alimenta sospetti e dubbi. Al contrario, invece, la Turchia rappresenta proprio una prova della compatibilità tra democrazia e Islam quando questo è visto come una religione e non come uno strumento politico.

L’adesione turca è un argomento trasversale agli schieramenti politici. La destra italiana è dichiaratamente favorevole, mentre in Germania Angela Merkel ha usato parole molto severe verso l’inizio dei negoziati. Cos’è che rende i partiti favorevoli o contrari?

Secondo me ci sono due prospettive diverse. La Germania, ad esempio, è stata sempre molto favorevole all’allargamento ad est perché guardava a quella che è sempre stata la sua frontiera, il suo commercio; dall’altra parte c’è invece una sensibilità mediterranea che è diversa dal resto dell’Europa. Io ho sempre sostenuto di essere contenta che si sia fatta attenzione alla frontiera orientale dell’Unione, ma ho anche lamentato che invece la sponda meridionale fosse vista con minore priorità.
Altro aspetto importante è l’immagine delle comunità immigrate in ciascun paese. In Italia la comunità turca è praticamente inesistente, non abbiamo importanti flussi immigratori dalla Turchia; in Germania invece il discorso è esattamente opposto, quindi entrano in gioco delle componenti emotive. Ma credo che questo genere di argomenti vadano affrontati con razionalità.

Le radici cristiane dell’Europa non sono menzionate nel testo della costituzione, la Turchia musulmana che si avvicina, la vicenda di Bottiglione alla Commissione europea. Stiamo costruendo un’Europa veramente e sinceramente laica?

Io spero proprio di sì, perché è questa l’unica strada per realizzare una politica rigorosa e tollerante al tempo stesso, una politica che ci consenta di essere rigorosi senza essere rigidi ed espellenti.
Certamente l’Italia è ancora un po’ indietro da questo punto di vista, ma se ci guardiamo in giro vediamo situazioni diverse, dalla Francia alla Spagna di Zapatero. In Turchia, per esempio, paese a stragrande maggioranza musulmana, la separazione tra la politica e la religione è una cosa quasi automatica. La condivisione di queste realtà diverse aiuteranno il progresso della dimensione laica della politica.

 


 

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