
“A
chi gli chiedeva se era ottimista o pessimista, Jean
Monet rispose una volta: io sono solo determinato. Allo
stesso modo credo che dobbiamo essere determinati per
il raggiungimento di un obiettivo”. E arriva tutta
la determinazione di Emma Bonino. Dalle sue parole.
Dal suo modo di camminare svelta sulla moquette delle
stanze del Parlamento europeo a Bruxelles. Dalla disponibilità
con cui si concede alle interviste per le televisioni
di tutta Europa. E anche a noi concede di rispondere
a qualche domanda, appena fuori dalla stanza dedicata
ad Anna Lindh, nei corridoi dell’enorme palazzo
di vetro che offre la sua facciata a Place de Luxembourg
nella capitale belga.
“Alla base di molte resistenze europee verso la
Turchia c’è un elemento di pregiudizio,
di scarsa conoscenza” e da qui nasce l’idea
di un convegno internazionale, pochi giorni prima della
decisione del Consiglio europeo sull’opportunità
o meno di aprire i negoziati con Ankara per l’adesione
all’Unione, che il partito radicale ha organizzato,
con il gruppo parlamentare dei liberal democratici e
l’associazione No peace without justice, per dare
voce alle posizioni sulla questione turca e farle arrivare
alle orecchie più sorde.
Ma perché è importante parlare
dell’adesione della Turchia? A maggio sono entrati
nell’Unione dieci paesi, altri due, Romania e
Bulgaria, stanno per iniziare il processo di adesione,
ma nessuno ha sollevato tante polemiche. Perché
della Turchia si parla tanto?
Innanzi tutto perché è un argomento
di grande attualità, che in questi giorni sta
vivendo delle fasi decisive per l’apertura dei
negoziati, quindi è bene che l’opinione
pubblica ne sia informata. Sono invece dispiaciuta
del contrario, che a volte non se ne parli affatto
come è successo in Italia durante campagna
elettorale delle ultime elezioni europee, mentre negli
altri paesi ci sono stati dibattiti molto appassionati.
E certamente preferisco un dibattito molto appassionato
al silenzio.
Quali sono, allora, i punti della discussione
che fanno il dibattito così importante?
Per prima cosa è importante che il dibattito
ci sia perché aiuta noi a porci delle domande
che avevamo smesso di farci. Qual è la nostra
identità? Quali sono i nostri confini geografici
dopo il 2000? La Turchia ci sta dando lo stimolo per
aprire questione che sembravano chiuse in un cassetto
e già questo è un elemento positivo.
Entrando negli aspetti più politici e diplomatici
della questione turca, si dice sempre che sono quattro
i punti principali intorno ai quali ruota il dibattito:
Cipro, i Curdi, la questione armena e i diritti umani.
Certamente aspetti essenziali, ma la verità
è che ci sono degli altri argomenti nascosti,
sembra quasi che non se ne voglia parlare, e invece
sono proprio quelli che maggiormente segnano le posizioni
della discussione. Mi riferisco al fatto che la Turchia
è un paese grande, povero e musulmano. Soprattutto
per quest’ultimo aspetto, la sempre più
accesa identificazione tra Islam fondamentalismo e
terrorismo alimenta sospetti e dubbi. Al contrario,
invece, la Turchia rappresenta proprio una prova della
compatibilità tra democrazia e Islam quando
questo è visto come una religione e non come
uno strumento politico.
L’adesione turca è un argomento
trasversale agli schieramenti politici. La destra
italiana è dichiaratamente favorevole, mentre
in Germania Angela Merkel ha usato parole molto severe
verso l’inizio dei negoziati. Cos’è
che rende i partiti favorevoli o contrari?
Secondo me ci sono due prospettive diverse. La Germania,
ad esempio, è stata sempre molto favorevole
all’allargamento ad est perché guardava
a quella che è sempre stata la sua frontiera,
il suo commercio; dall’altra parte c’è
invece una sensibilità mediterranea che è
diversa dal resto dell’Europa. Io ho sempre
sostenuto di essere contenta che si sia fatta attenzione
alla frontiera orientale dell’Unione, ma ho
anche lamentato che invece la sponda meridionale fosse
vista con minore priorità.
Altro aspetto importante è l’immagine
delle comunità immigrate in ciascun paese.
In Italia la comunità turca è praticamente
inesistente, non abbiamo importanti flussi immigratori
dalla Turchia; in Germania invece il discorso è
esattamente opposto, quindi entrano in gioco delle
componenti emotive. Ma credo che questo genere di
argomenti vadano affrontati con razionalità.
Le radici cristiane dell’Europa non
sono menzionate nel testo della costituzione, la Turchia
musulmana che si avvicina, la vicenda di Bottiglione
alla Commissione europea. Stiamo costruendo un’Europa
veramente e sinceramente laica?
Io spero proprio di sì, perché è
questa l’unica strada per realizzare una politica
rigorosa e tollerante al tempo stesso, una politica
che ci consenta di essere rigorosi senza essere rigidi
ed espellenti.
Certamente l’Italia è ancora un po’
indietro da questo punto di vista, ma se ci guardiamo
in giro vediamo situazioni diverse, dalla Francia
alla Spagna di Zapatero. In Turchia, per esempio,
paese a stragrande maggioranza musulmana, la separazione
tra la politica e la religione è una cosa quasi
automatica. La condivisione di queste realtà
diverse aiuteranno il progresso della dimensione laica
della politica.
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